Perché gli Stati nazionali non vogliono rinunciare ai loro poteri

Europa, l'Unione non fa la forza

di Giorgio La Malfa

Di fronte alla tragedia immane della guerra, il superamento degli stati nazionali appariva come la sola via possibile per l'Europa. Lo avevano scritto, dal confino di Ventotene, Eugenio Colorni, Ernesto Rossi ed Altiero Spinelli. Lo disse Winston Churchill nel 1946 in un famoso discorso a Zurigo. Lo ribadì un grande congresso europeo all'Aia nel 1948. Nel 1950 il ministro degli esteri francese, Schumann, nel proporre una Alta Autorità europea del Carbone e dell'Acciaio aggiunse che "una Federazione europea era indispensabile al mantenimento della pace". In risposta, il Cancelliere tedesco, Adenauer, osservò che l'Europa avrebbe potuto costituire una terza forza fra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica. Nel 1952, in un bellissimo discorso, Jean Monnet spiegò il senso del progetto: "Per l'unione dell'Europa... servono delle regole. Gli eventi tragici che abbiamo vissuto possono averci reso più saggi. Ma gli uomini passano; altri prenderanno il loro posto. Non possiamo lasciar loro in eredità la nostra esperienza. Ma possiamo lasciar loro delle istituzioni, la cui vita, se sono ben costruite, è ben più lunga di quella degli uomini". Così nacque la CECA nel 1952, poi nel 1958 l'EURATOM e il Mercato Comune. Lo strumento fu quello, classico, dei Trattati internazionali, con due novità cruciali: l'istituzione di organi di governo sovranazionali per le materie comuni e la creazione di una Corte di Giustizia Europea. L'esperienza di questa collaborazione avrebbe dovuto, nell'idea di Monnet, preparare i paesi europei a rinunciare progressivamente alla loro sovranità fino a raggiungere la piena unità politica. L'Unione Europea è stata un grande successo: ha garantito la pace e la sicurezza dell'Europa ed ha soprattutto favorito uno straordinario processo di sviluppo economico. Sotto l'impulso di questo successo l'integrazione si è ampliata e il numero dei paesi membri è cresciuto. E' nato il Mercato Unico, poi l'Unione Monetaria Europea. Materie affidate alla cooperazione fra i governi- per esempio l'immigrazione - sono entrate a far parte della politica comunitaria. Ma proprio questo successo, restituendo forza e prestigio agli stati nazionali, li ha resi meno disponibili ai passi successivi. Così, mentre si estendevano le responsabilità delle istituzioni europee, è cresciuta la resistenza degli stati nazionali a rinunciare al loro potere in seno alla Comunità. L'Europa è oggi una entità sovranazionale, ma è fermamente governata dal Consiglio Europeo, un organo confederale regolato tuttora in molti campi dal principio dell'unanimità. L'unità politica dell'Europa è e resta il traguardo annunciato ma la sua realizzazione si sposta nel tempo. Il Trattato di Maastricht del 1992, creando la Banca Centrale Europea, ha sottratto agli stati membri la sovranità monetaria; ha introdotto la cittadinanza europea; ha mutato il nome della Comunità in quello di Unione Europea. Maastricht ha posto dunque di nuovo il problema politico del superamento degli stati nazionali. Ma dieci anni dopo, il problema è ancora irrisolto. Non vi sono le condizioni perché la Convenzione che si riunisce in questi mesi possa risolvere il problema. Essa può, forse, redigere e proporre una Costituzione Europea. Ma in sé una Costituzione non vuol dire il superamento delle sovranità nazionali. In fondo, i giuristi ritengono già oggi l'Unione Europea un ordine legale indipendente implicitamente dotato di una Costituzione. Il problema non è se vi sia un documento chiamato Costituzione: è se l'Europa deciderà che i cittadini europei scelgano il loro governo o se invece al centro dell'Unione resterà il concerto fra i governi nazionali. Questo a me pare il quadro attuale. Circa venti anni fa Stanley Hoffmann scriveva: "Sono ormai lontani i tempi in cui i sostenitori ed i teorici dell'integrazione europea sostenevano o prevedevano che il potere si sarebbe gradualmente trasferito dagli stati nazionali a una nuova entità europea... La realtà odierna è complessa e confusa. Lo stato-nazione sopravvive come il luogo in cui si esercita il potere politico e come il centro al quale fanno riferimento i cittadini; la nazionalità rimane la base del diritto di cittadinanza. E tuttavia lo stato-nazione convive con una realtà europea che detiene poteri limitati ma effettivi e dà prova di notevole solidità". E' la fotografia dell'Europa di oggi. Dobbiamo dunque disperare che si arrivi definitivamente al superamento degli stati nazionali? Croce concludeva così la sua Storia d'Europa del secolo XIX: "Per intanto, già in ogni parte d'Europa si assiste al germinare di una nuova coscienza, di una nuova nazionalità (perché, come già si è avvertito, le nazioni non sono stati naturali, ma stati di coscienza e formazioni storiche); e a quel modo che, or sono settant'anni, un napoletano dell'antico Regno o un piemontese del Regno subalpino si fecero italiani non rinnegando l'essere loro anteriore, ma innalzandolo e risolvendolo in quel nuovo essere, così e francesi e tedeschi e italiani e tutti gli altri si innalzeranno a europei e i loro pensieri indirizzeranno all'Europa e i loro cuori batteranno per lei come prima per le patrie più piccole, non dimenticate già, ma meglio amate". La comune identità europea si sta formando. Essa emergerà nel tempo. Ma, come diceva Goethe: "Ci vogliono giorni, passano anni".

"La Stampa" 31 agosto 2002