Il partito politico nell'ordinamento giuridico italiano

Il problema del "partito" nell'ordinamento giuridico italiano. Bisogna togliere il "partito" dalla sua attuale condizione di associazione non riconosciuta

di Antonio Del Pennino

Il problema della definizione del ruolo del partito politico nell'ordinamento giuridico italiano nasce da lontano ma non ha ancora trovato un'organica risposta legislativa.

Già nel dibattito alla Costituente era emersa l'esigenza di disciplinare nella Carta costituzionale la posizione giuridica dei partiti, quali strumenti per la partecipazione dei cittadini alla vita politica sia pure rinviando alla legge ordinaria il compito di precisarne le attribuzioni e di stabilire le forme di accertamento dei requisiti richiesti per l'esercizio di tali attribuzioni.

Ma il tentativo di introdurre in modo esplicito il principio del riconoscimento giuridico dei partiti e dell'assegnazione agli stessi di compiti di carattere costituzionale si scontrò con la dura opposizione del Pci.

Come ebbe a dire esplicitamente Concetto Marchesi in seno alla Prima sottocommissione, la sinistra temeva infatti che l'adozione di norme che consentissero un controllo sulla vita dei partiti potesse divenire strumento per mettere fuori legge il Pci.

A dimostrazione che tale preoccupazione era reale e non espressa solo per coprire l'esigenza di tutelare il sistema del "centralismo democratico" su cui si fondava l'assetto interno del Pci, i comunisti avrebbero negli anni successivi portato l'esempio della Repubblica Federale Tedesca, dove l'introduzione nella legge fondamentale del 1949 della norma che affidava alla Corte Costituzionale Federale la possibilità di dichiarare incostituzionali i partiti che "...mirino a intaccare o rovesciare il libero ordinamento democratico oppure a minacciare l'esistenza della Repubblica Federale Tedesca" consentì di porre fuori legge il Partito comunista.

Quali che fossero le ragioni dell'atteggiamento del Pci, esso comunque portò allora a una formulazione come quella contenuta nell'art. 49 della Costituzione che rappresenta una norma di puro principio, priva di ogni contenuto precettivo.

Finita la stagione costituente, il problema del riconoscimento della personalità giuridica dei partiti si riaffacciò nelle aule parlamentati solo nel 1958 con un disegno di legge presentato da don Sturzo al Senato. Ma nemmeno l'estrema semplicità delle procedure previste dal senatore Sturzo per consentire il riconoscimento giuridico dei partiti fu sufficiente a fugare le preoccupazioni di quanti – da destra e da sinistra – paventavano che si potesse in tal modo offrire alla maggioranza strumenti di controllo sui partiti di opposizione; e il disegno di legge del senatore Sturzo non fece alcun passo avanti.

Il problema dei partiti venne invece affrontato nella prima metà degli anni Settanta in Parlamento, sotto un profilo del tutto diverso: quello relativo all'opportunità di assicurare un finanziamento pubblico ai partiti. E l'art.49 venne invocato col consenso questa volta di tutte le parti politiche, a giustificazione della legittimità costituzionale di un simile intervento.

Ma proprio nel momento in cui l'art. 49 veniva richiamato a sostegno della correttezza politico-istituzionale del finanziamento dello Stato ai partiti, si negò da parte della grande maggioranza delle forze politiche (con l'esclusione dei soli liberali e repubblicani) che una volta entrati nell'ordine di idee di garantire il finanziamento pubblico da questo derivasse la necessità di una regolamentazione giuridica dei partiti stessi.

Si arrivò addirittura ad affermare da parte del relatore, onorevole Galloni, che non essendo alcun limite "previsto dalla Costituzione, questo significa non solo che nessun altro limite può essere posto dal legislatore ordinario in attuazione della Costituzione" ma che se altri limiti fossero posti dal legislatore ordinario, potrebbe dubitarsi che essi finirebbero per violare il principio di libertà di associazione costituzionalmente garantito.

Questa aberrante impostazione, propria di una stagione politica in cui la pervasività e l'onnipresenza dei partiti facevano considerare ogni limitazione degli stessi come indebita intrusione, fu rivista criticamente negli anni successivi, attraverso il lavoro della Commissione Bozzi e con alcune iniziative legislative prese nel corso della IX e X legislatura, che testimoniarono un nuovo indirizzo rispetto alle più restrittive interpretazioni dell'art.49 che avevano caratterizzato il dibattito politico del decennio precedente.

Ma il problema dell'adozione di una normativa organica sul partito politico è tuttora irrisolto. Né sono venute a cadere le obiezioni, se ancora negli scorsi giorni, durante l'esame della proposta di regolamento del Consiglio dell'Unione Europea relativa allo statuto e al finanziamento dei partiti politici europei da parte della Giunta degli Affari della Comunità Europea e della Commissione Affari Costituzionali del Senato, sono emerse riserve proprio sulla previsione inserita nel regolamento su richiesta del Parlamento Europeo di attribuire personalità giuridica ai partiti politici europei riconosciuti.

Ritengo invece che proprio nella nuova condizione politica italiana sia necessario portare il problema della regolamentazione giuridica dei partiti e della definizione dei requisiti minimi per il loro riconoscimento al centro del dibattito sui temi istituzionali.

Un sistema elettorale maggioritario, tanto più se basato su collegi uninominali come il nostro, se vuole consentire reali forme di partecipazione alla vita politica e non affidare ogni decisione a scelte oligarchiche, ha assoluto bisogno di togliere il partito dalla sua attuale condizione di associazione non riconosciuta per prevedere forme di garanzia e di controllo nella formazione delle sue decisioni.

La stessa ipotesi di elezioni primarie per la scelta dei candidati, di recente avanzata dall'attuale presidente della Camera, non sarebbe minimamente realizzabile in presenza di coalizioni di partiti (quali sono quelle su cui si reggono gli attuali schieramenti politici), se questi partiti rimanessero privi di ogni regolamentazione.

Il riconoscimento dei partiti, la definizione di procedure interne certe e omogenee è infatti la condizione per disciplinare correttamente anche le forme di rappresentanza della coalizione.

Senza un intervento su questo terreno non è possibile garantire la piena tutela del diritto dei cittadini a concorrere alla formazione delle scelte dei partiti e quindi alla determinazione della politica nazionale: assicurare loro cioè il pieno status activae civitatis, per usare una terminologia dello Jellinek e della dottrina giuspubblicistica tedesca.

"l'ircocervo" n° 1 luglio 2002