Lettera di Giorgio La Malfa a "Il Foglio" di sabato 28 settembre

"Quale stabilità?"

All'Europa non serve "un pilota automatico". Allentare i vincoli del Patto non basta

Signor direttore,

in una lettera del 20 agosto scorso (che lei con bonaria ironia ha intitolato "Io l'avevo detto") scrivevo che da molti anni sostengo che le regole di Maastricht per la politica monetaria ed il Patto di stabilità per la finanza pubblica sono eccessivamente rigidi ed alla lunga insostenibili e che, per questo, è indispensabile rivedere completamente l'assetto istituzionale della politica economica dell'Unione Monetaria Europea. Nella lettera avevo riassunto alcune proposte di modifica che avevamo proposto, all'inizio di luglio, in un Rapporto della Fondazione La Malfa, scritto insieme con Enzo Grilli, Paolo Savona ed altri, aggiungendo che non tutte le modifiche di cui si discuteva erano utili e che ve ne erano alcune che presentavano dei seri rischi per il funzionamento dell'UME. In sintesi dicevo che modifiche utili erano quelle che andavano nella direzione di un aumento dei poteri di decisione collegiale delle autorità europee: la Commissione e il Consiglio dei Ministri dei paesi euro. Modifiche pericolose erano quelle che puntavano, sic et simpliciter, alla restituzione ai paesi membri dei poteri di decisione sui loro bilanci pubblici.

Poi la Commissione Europea, dopo avere tuonato per molti mesi contro ogni modifica del patto, ha improvvisamente e platealmente mollato. Essa ha annunciato che l'obbligo di pareggio dei bilanci pubblici, originariamente previsto per il 2004 (già attenuato, per decisione dei ministri dell'ECOFIN, in obbligo di portare i conti pubblici "close to balance", cioè "vicini" al pareggio) viene rinviato al 2006. Naturalmente, per salvare la faccia, la Commissione ha anche aggiunto che essa sorveglierà che, nel frattempo, i governi compiano delle riduzioni ‘strutturali' dei deficit mentre uno dei suoi funzionari ha aggiunto che, invece, per l'Italia l'anno del pareggio doveva considerarsi il 2005 e non il 2006, salvo essere subito smentito dai suoi superiori. Noto anche che la nuova posizione della Commissione ha trovato il pronto consenso da parte di alcuni commentatori, in passato ostili a qualunque proposta di modifica del Patto.

A costo di apparire come uno che non è mai soddisfatto, desidero dirle che, seppure mi faccia piacere che l'Italia possa affrontare con meno angoscia la preparazione della prossima legge finanziaria, la decisione della Commissione Europea mi sembra molto pericolosa. Essa non segna un miglioramento delle regole di politica economica europea, bensì la loro tendenziale dissoluzione. Il problema non è quello di attenuare, puramente e semplicemente, i vincoli del Patto di Stabilità. E' invece quello di introdurre una flessibilità nelle deliberazioni di politica economica dell'area dell'euro consentendo e promuovendo politiche monetarie e di bilancio più espansive quando l'economia europea attraversa, come oggi, una grave fase di rallentamento della quale ancora non si intravede la fine ed invece costringendo a politiche più restrittive quando le condizioni del ciclo lo richiedono. Serve cioè una testa alla politica economica europea, non un pilota automatico che mantenga meccanicamente la rotta indipendentemente dalle condizioni del ciclo economico e dalla specifica natura dei problemi che debbono essere affrontati.

La decisione della Commissione non va affatto in questa direzione. Con essa di fatto la Commissione riconosce di non avere la forza di imporre una politica di restrizioni fiscali a paesi che per effetto del cattivo andamento economico rischiano di sfondare i limiti del Patto di Stabilità. Ma il riconoscimento di una debolezza non è una politica: rischia semmai di essere un incoraggiamento al lassismo delle politiche di bilancio. Ed a sua volta il lassismo delle politiche di bilancio rischia di provocare politiche monetarie restrittive da parte della BCE che a loro volta ritarderebbero ulteriormente la ripresa economica. Francoforte, la sede della BCE, ha taciuto dopo l'annuncio della Commissione e forse continuerà a tacere per non creare polemiche fra organi europei. Penso, però, che il silenzio della Banca nasconda una preoccupazione che considererei giustificata e forse un risentimento per un voltafaccia improvviso della Commissione.

Il problema è che la BCE e la Commissione Europea, essendo organismi di tipo burocratico, hanno difficoltà a comprendere che non si possono affidare a organi tecnici o a meccanismi automatici decisioni che influiscono sulla vita di centinaia di milioni di europei. Fino a quando i governi nazionali restano i punti di riferimento dei loro elettorati, essi non possono non reagire quando le condizioni economiche divengono difficili.

L'Unione Monetaria Europea, per sopravvivere, ha bisogno di un completamento di ordine politico. Se questo completamento non è possibile o non è voluto, alla lunga essa è destinata a dissolversi in modo più o meno formale. Avere resistito in questi anni a qualunque proposta di miglioramento, ha portato alla decisione di questi giorni, che io non considero migliorativa. La considero un passo indietro molto pericoloso. Non ancora un segno della dissoluzione dell'Unione Monetaria Europea, ma certo un campanello di allarme molto serio.

Giorgio La Malfa