Dichiarazione di voto dell'on. Giorgio La Malfa sul Documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF) 2003/2006
Signor Presidente, nel dichiarare il voto favorevole del gruppo Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI, sulla risoluzione Alberto Giorgetti n. 6-00027, vorrei svolgere alcune brevissime considerazioni di carattere generale suggerite dall'esame del documento di programmazione economico-finanziaria. Ancora pochi anni fa - i colleghi lo ricorderanno - noi votavamo, con il documento di programmazione economico-finanziaria, la legge finanziaria ed il bilancio, il CIPE stabiliva i flussi monetari e creditizi ed il Governo e la Banca d'Italia decidevano le politiche del cambio. Quindi, il Parlamento era investito dell'insieme degli strumenti di politica economica e finanziaria: il cambio, la politica monetaria e quella del credito, le politiche di bilancio e fiscali. Oggi, siamo entrati - e sembra quasi che non ce ne rendiamo conto - in una fase completamente diversa, nella quale sono venuti meno tutti, o quasi, quegli elementi che davano concretezza e sostanza all'esame della politica economica da parte del nostro Parlamento. Forse, signor Presidente della Camera, dovremmo chiederci se sia ancora opportuno questo tipo di discussione o se, invece, non sia il caso di aggiornare, in qualche maniera, gli strumenti di impostazione di questi documenti. Oggi, il tasso di cambio non ci appartiene più poiché, all'interno dei quindici paesi europei (che rappresentavano e rappresentano metà del nostro commercio internazionale), il cambio è fisso per definizione e nemmeno ci appartiene la politica monetaria, stabilita dalla Banca centrale in totale autonomia dai Parlamenti nazionali, dal Parlamento europeo e dai singoli Governi, mentre il patto di stabilità limita al 90 per cento del PIL il debito (nel caso dei paesi con un forte debito pregresso, al 110 per cento) e, in tal modo, non ci dà neanche il fiato per respirare! In questa situazione, il documento di programmazione economico-finanziaria riguarda i dettagli di una politica economica, mentre ciò di cui abbiamo bisogno è l'impostazione della politica economica, che non appartiene più, dobbiamo prenderne atto, all'ambito nazionale dei Parlamenti, ma a quello internazionale dei Governi. Però, vorrei aggiungere, procedendo per sintesi estreme, allo scopo di non superare il brevissimo tempo concessomi, che da questo dibattito sarebbe dovuta emergere anche qualche indicazione al Governo (se ci fosse il ministro dell'economia e delle finanze ad ascoltare, come sarebbe suo dovere, gli interventi per dichiarazione di voto). Ci sarebbe, ad esempio, l'indicazione di porre ai colleghi ministri dell'economia e delle finanze europei il seguente tema: se non sia necessario, oggi, porre agli Stati Uniti ed al Giappone il problema di una sorveglianza multilaterale del cambio. Non possiamo pensare che il tasso di cambio tra l'euro e il dollaro possa portare il dollaro molto in basso e l'euro molto in alto quando in Europa vi è un'alta percentuale di disoccupazione! Dobbiamo esaminare, ministro Tremonti, una gestione internazionale delle zone di cambio tra yen, dollaro ed euro. Vogliamo parlare di questo problema? In secondo luogo, vogliamo affrontare con serietà, a livello europeo, il problema dei mercati finanziari e dei riflessi che la crisi nel mercato finanziario americano potrà avere in Europa? Vogliamo apprestare meccanismi europei di sorveglianza della stabilità e della trasparenza dei mercati finanziari prima che questa crisi che riguarda l'America (ma temo possa riguardare anche l'Europa) arrivi da noi? Vi è, poi, il problema della revisione del patto di stabilità, non soltanto nel senso che voi ministri dell'economia e delle finanze avete stabilito a Siviglia, dove avete affermato che bilancio in equilibrio equivale a bilancio più o meno in equilibrio (che è già qualcosa): occorre anche stabilire che gli investimenti pubblici produttivi non possano essere soggetti alle stesse regole di equilibrio di bilancio che, giustamente, si applicano alle spese correnti. Per esempio, io accetterei una regola per la quale fosse la Commissione economica europea a giudicare se un progetto di investimento infrastrutturale di un Governo possa essere sottratto al vincolo del pareggio di bilancio in base a una valutazione dell'utilità, ai fini delle infrastrutture europee, del progetto medesimo. Cioè immaginerei l'ipotesi di un bollino europeo sugli investimenti. Il senso degli obiettivi del DPEF, il 2,9 crescita, e l'1,4 di inflazione, rappresenta oggi più che mai un traguardo programmatico. Non è una previsione che richiede uno sforzo molto ampio di politica sociale. In questo senso, e concludo, è politicamente cruciale il fatto che un gran numero di organizzazioni economiche sociali e sindacali abbiano convenuto su questa impostazione di carattere generale. Roma, 25 luglio 2002 |