Progetto di unione dei liberaldemocratici

Mettendo da parte la questione generazionale, che da anni vede battersi tenacemente i giovani repubblicani e sulla quale continuiamo comunque ad insistere, riteniamo che debba farsi un'analisi di prospettive politiche in merito a quello che può essere il futuro del partito ed il suo ruolo politico.

Partiamo allora con una domanda ovvia: quale futuro può avere il PRI nello scenario italiano?

Ebbene, per poter rispondere occorre fare una premessa. Come abbiamo già affermato in diversi interventi apparsi nel corso di questi anni sul quotidiano del partito, la politica italiana sta tendendo, e a nostro avviso deve, verso una semplificazione di tipo europeo.

Ma l'approdo a tale semplificazione, che vede come principali protagonisti tre partiti (uno di stampo socialista, uno popolare ed uno liberaldemocratico), per la specificità della politica italiana è difficile da raggiungere. E lo è soprattutto per un'area che mai nella storia politica del nostro Paese è riuscita a compattarsi: l'area liberal-democratica.

Quale via?

Riflettendo sul nostro ruolo, la via liberal-democratica è una prospettiva politica, che ovviamente noi dobbiamo battere. Magari provando, proprio noi, a farci promotori e protagonisti di un processo di aggregazione intorno ad idee e programmi concreti rappresentativi di quell'idem sentire liberale che può essere il denominatore comune delle forze liberali in Italia.

Va però compreso appieno cosa voglia dire battere questa via. Vuol dire spingersi fino alla creazione di un'ipotesi terzista rispetto a due poli di cui non possiamo prevedere le evoluzioni future? Quale vantaggio avremmo a prospettare una via terzista che oggi la legge elettorale frustrerebbe e che siamo convinti anche la futura legge, qualsiasi modello verrà adottato, nell'ipotesi di accordo tra i partiti maggiori, andrà a frustrare?

Siamo convinti che il bipolarismo attuale sia quanto di più irrazionale possa aver prodotto la politica italiana. Di fatto, però, occorre fare i conti con la realtà per la quale il bipolarismo è entrato nella logica della politica e difficilmente un ritorno al passato potrà verificarsi.

L'ipotesi poi di un sistema in grado produrre il "taglio delle estreme" comporterebbe oggi un aggregarsi al centro che di fatto ci farebbe scomparire dallo scenario politico.

Paradossalmente il nostro partito può sperare di continuare a vivere solo se, in un sistema bipolare, può contribuire con la manciata di consensi di cui gode, alla vittoria di una coalizione piuttosto che dell'altra. Ecco allora la prospettiva politica che dobbiamo assolutamente perseguire. Quella della creazione di una componente liberaldemocratica in grado di portare non necessariamente, e soprattutto non in tempi brevi, ad una soluzione terzista. Insomma, un'ipotesi di area liberaldemocratica agganciata ad uno dei due poli ed in grado, dall'interno, di aggregare le forze che si riconoscono in un progetto ed in un insieme di valori comuni, e quindi provare a far sentire la propria voce, ad acquisire visibilità, a costituire un soggetto dall'identità ben marcata.

Quello che si dovrebbe realizzare allora è proprio ciò che è riuscito a fare l'UDC di Casini: partendo dall'inserimento del proprio simbolo dentro quello di partiti maggiori, costruendo nuova classe dirigente nelle istituzioni locali e nazionali, poi legandosi fedelmente ad una coalizione ed infine (dopo anni di "gavetta") avviando processi di autonomia prima identitaria, poi politica e in futuro probabilmente elettorale.

Al contrario, a nostro avviso, battere oggi un'opzione terzista non comporterebbe di per sé la nascita di una componente liberaldemocratica nel nostro Paese.

Qui sta, a nostro parere, l'errore di quanti ritengono che rappresentare il riferimento italiano dei liberaldemocratici europei debba inevitabilmente ripercuotersi su di uno sganciamento dai due poli. Perché non si può rappresentare la cultura LibDem in una delle due coalizioni, se questo impone l'architettura elettorale? Non abbiamo sempre svolto questo ruolo negli ultimi 10 anni? O almeno, non ci abbiamo provato? Se qualcuno ritiene che il PRI negli ultimi anni abbia snaturato la propria identità causa alleanza nella coalizione sbagliata, allora la questione è diversa e più complessa. Ma se assumiamo che ciò non sia avvenuto, allora non si comprende questa relazione causa effetto tra l'essere LibDem e l'essere terzisti.

Peso e significato

Un'opzione terzista ha bisogno di peso e significato politico. Ed oggi questi due elementi mancano del tutto. E comunque, siamo proprio sicuri che un PRI terzista, slegato dalla logica bipolare e debolissimo elettoralmente, venga percepito come soggetto in grado di svolgere il ruolo di centro gravitazionale di tale processo?

L'idea della scorciatoia, secondo cui basta liberarsi dalle coalizioni e mettersi la maglietta LibDem insieme a qualche altro sopravvissuto, appare francamente poco convincente. Al contrario giusta e coerente è l'idea della prospettiva LibDem, se ciò significa:

in chiave interna, l'avvio di una fase di ripensamento intorno alla questione identitaria e alle forme di rappresentanza del PRI (come chiede da anni la FGR);

in ottica esterna, un rafforzamento dei legami con i nostri riferimenti europei (convinti che il piano della politica tenderà nei prossimi anni a migrare inevitabilmente sul livello comunitario) e del dialogo con i partiti più avanzati e innovativi del panorama liberale italiano.

In questo significato, allora tutte le opzioni appaiono possibili, a patto però di avere sempre ben presente l'attuale scarsa capacità del PRI di poter incidere sulle dinamiche politiche italiane.

Andare oltre

Bisogna tener presente che non possiamo più accettare, come in passato, accordi prettamente elettorali, improvvisati, slegati dalla nostra tradizione e senza prospettiva politica. Occorre andare oltre, senza fughe in avanti che il nostro "fiato corto" non potrebbe mai sostenere.

Partiamo allora da una ricerca di tutti coloro che si rivedono nei valori liberaldemocratici che il repubblicanesimo incarna. Aggreghiamo personalità, forze politiche e il mondo accademico e culturale di stampo liberale intorno a questo progetto, senza mai svendere la nostra tradizione o addirittura l'intero partito ad interessi o ambizioni di personaggi ambigui.

E allora, occorre partecipare al dibattito sul partito moderato? Forse ne vale la pena, proprio spinti dalla ricerca di strategiche sinergie con le componenti liberali lì presenti. Provando a far sentire una voce, presente nel centro-destra e che è uscita delusa dalla passata legislatura. Provando a costruire dall'interno un vero argine alla deriva filoclericale che umilia la laicità dello Stato ed in questo il pensiero liberaldemocratico.

Se l'identità del PRI-LibDem sarà solida e rinvigorita, allora la preoccupazione della contaminazione è del tutto irrilevante. Al contrario se l'operazione LibDem si dovesse risolvere in una scorciatoia elettorale, fagocitata dalla speranza ad un ritorno al proporzionalismo prima repubblica e dalla retorica vetero-repubblicana, allora il rischio di rimanere completamente e debolissimamente isolati sarà immenso.

Giovanni Postorino e Alessandro Papini