Al 45° Congresso Giorgio La Malfa traccia un ampio bilancio dagli anni Novanta ad oggi

E ora battersi per superare il bipolarismo all'italiana

Congresso del Pri, Roma, 1° aprile 2007.

di Giorgio La Malfa

Amiche, amici repubblicani, il PRI sta tornando alle sue vecchie tradizioni: alla tradizione per la quale i congressi repubblicani si chiudono a sediate. Io preferirei che invece questo non avvenisse. Ci sono sediate costruttive, ci sono sediate distruttive. Ci sono sediate importanti, quando si discute della linea politica, e sediate meno importanti quando si discute delle tessere. L'amico Francesco Nucara sa che io avevo qualche preoccupazione per lo svolgimento del congresso: non vorrei che andassimo sui giornali solo se facciamo a botte. E questo non deve avvenire. Noi non siamo il Partito socialista, che è andato sui giornali per questo motivo. Noi non finiremo con la rissa. Questo congresso è il congresso di un grande partito politico, che ha una grande tradizione, e quindi tutti gli amici devono impegnarsi a farlo terminare come la grande assise di un partito politico, e non come una rissa di condominio.

Cari amici, dobbiamo ritornare con la mente, anche se è un ricordo doloroso per molti di noi, e in particolare per Francesco Nucara e per me, al ‘93-'94, quando a seguito di un coinvolgimento anche del PRI nelle vicende di tangentopoli, con il coinvolgimento di molti esponenti e del segretario, che allora ero io, il partito ha subito una prima drammatica perdita di adesioni, di consensi, di simpatie.

In quel momento, così già difficile per sé, è giunto il grande cambiamento del sistema politico. Quello che noi avevamo temuto fin da quando, dissennatamente, l'onorevole Craxi, a metà degli anni Settanta, aveva aperto la questione della riforma costituzionale. Sbagliando, Spadolini aveva accennato, nel suo governo, alla necessità delle riforme costituzionali. Chi veniva dalla tradizione politica di mio padre, cioè tutti noi, sapeva che si comincia a parlare di riforme costituzionali e si finisce con le riforme elettorali. Riforme che colpiscono le minoranze, considerate elementi di disturbo. Ma noi sappiamo nella nostra coscienza che una minoranza come quella risorgimentale, antifascista, repubblicana, non ha tolto nulla alla vita democratica del paese, ma l'ha costruita e rafforzata.

Nel '93-'94 abbiamo quindi dovuto affrontare il bipolarismo. Quella che ci era proposta come la grande soluzione bipolare. Ricordatevi del congresso di Marina di Carrara: io uscìi da quel congresso convinto che fosse l'inizio della fine. Sentivo non solo il vento giudiziario, ma anche il vento del bipolarismo. In quel congresso proponemmo il mantenimento del sistema proporzionale e uno sbarramento al 5% - che noi, fra l'altro, non avevamo preso nelle elezioni del '92. Fu un estremo tentativo di difendere il sistema parlamentare contro un'ondata drammatica, dicendo: piuttosto rischiamo di sacrificare noi stessi. Difendendo però il sistema che è il fondamento della vita democratica di un paese occidentale. Poi è cominciato il calvario, perché il sistema bipolare spacca il centro e spacca le forze che si collocano nella frontiera tra destra e sinistra, come si è collocato storicamente il Partito repubblicano, e come ancora oggi si colloca. Non si colloca nella destra, questo è ovvio, lo dico agli amici della Romagna che su questo ci hanno sempre richiamato. Ma il PRI non si colloca nella sinistra in maniera organica. Si colloca nella frontiera. E quella frontiera è stata spaccata. Dalle elezioni del '94 il PRI ha cominciato a perdere i pezzi. Tentammo uno sforzo straordinario, l'ultimo. Tentammo di dire: non andiamo ne di qua, ne di là. Non andiamo né con la "macchina da guerra" di Occhetto, ne con Berlusconi. E perdemmo i primi pezzi. Ne perdemmo a destra: ci sono deputati, senatori di Forza Italia eletti allora, venendo dal Partito Repubblicano, e qualcuno di Alleanza Nazionale. Così pure a sinistra: Visentini, Bogi, Battaglia. Non fu capito il tentativo disperato: la terza posizione era un tentativo difficilissimo. Io non dimentico chi c'era, e chi c'è restato. Tra le persone che sono restate nel partito, ed è una delle ragioni per le quali il mio rapporto con lui è così profondo, c'è il signor Francesco Nucara. Il quale aveva altrettanti guai di quanti ne avevo io. Ne siamo usciti a testa alta, lui più a testa alta di me, perché io ho pure avuto una condanna, lui no. E' stato assolto, io sono stato condannato per il reato di violazione della legge sul finanziamento dei partiti . Ed è una condanna che pesa sulla mia coscienza, anche se fra di me ho sempre detto che, siccome l'avevo fatto per il mio partito, tutto sommato mi ero sacrificato per una causa. Ma questo discorso non lo ha capito mai nessuno nel Partito Repubblicano.

Tornai in campo - mi dispiace fare un discorso personale - alla fine del '93 su invito di Visentini, che mi disse: devi tornare tu, altrimenti si sfascia tutto. Gli risposi: posso tornare in campo ma non con Occhetto, come non posso andare con Berlusconi. Cerchiamo di tenere una posizione intermedia. E so chi c'era, e sono felice di vedere tornare persone che in quel momento non c'erano. Ne sono felice. Ma non mi dimentico chi c'era e chi c'è stato. Io voglio tutelare quei pochi repubblicani che non sono mai venuti meno alla loro fedeltà. Vi faccio un nome per tutti: Currò, il segretario della Sicilia. Ho detto Nucara, ho detto Currò. Altri ce ne sono, non li posso nominare tutti. Ma questa è stata una battaglia lunga.

Nel '96 abbiamo tentato l'accordo con la sinistra. E andammo nel centro sinistra. Dovemmo ottenere con fatica di essere ammessi al tavolo, perché c'erano già i repubblicani con diritto di prelazione. Siamo stati nel centro sinistra. Abbiamo in quegli anni tentato di tenere vivo il partito repubblicano stando nel centro sinistra. Ma a un certo punto, nel '98 ­ '99 mi sono reso conto che per noi sarebbe stata la fine restare nel centro sinistra. E mi ha fatto piacere che un amico come Ugolini, che in quegli anni era schierato su quelle posizioni, ieri lo abbia detto con molta lealtà: "anche oggi starei nel centro desta".

E passiamo al congresso di Bari : non è che al congresso di Bari io abbia detto che stavamo andando nell'Eldorado, facendo l'alleanza con Berlusconi. Ho detto: è difficilissimo. Ci sono alcune cose che possiamo condividere, come la politica estera. E quanto avevamo ragione nel dirlo. Potevamo condividere altri punti, come la riduzione delle tasse, che ci sembra una politica seria in un paese malato di spesa pubblica. Naturalmente c'erano tanti altri punti che non potevamo condividere. Quante posizioni non condividevamo e non abbiamo condiviso negli anni. E' per questo, Francesco, che io ho detto "no" sul voto costituzionale. Quello era uno dei punti di fondo della nostra filosofia, che avevamo difeso negli anni con Berlusconi. Un punto sul quale non avevamo dato un voto, come non lo avevamo dato alla riforma della sinistra. Questa è la difesa disperata della nostra identità, pur nelle alleanze. Non ho bisogno che la signora Zitelli mi dica cosa dobbiamo fare sui DICO. Abbiamo già detto che noi i DICO li votiamo malvolentieri, perché ci sembrano troppo poco avanzati. Ma ovviamente li votiamo. Non apriamo una polemica con la chiesa cattolica, perché non abbiamo bisogno di aprire una tale polemica. Perché qualcuno deve anche costruire dei rapporti con il mondo cattolico da posizioni lontane come le nostre: questa è la ragione per cui non ci sentirete mai polemizzare col cardinale Bagnasco. Non abbiamo bisogno di questo. Non dobbiamo affermare nulla. Siamo laici, non dobbiamo affermare un'ostilità verso la chiesa che non sentiamo. Siamo sufficientemente distanti dalla chiesa per poter parlare con la chiesa.

Quando nel 2001 ci fu il drammatico congresso di Bari, io dissi agli amici della Romagna: vi ringrazio se mantenete la posizione. Una posizione di critica, intanto perché ci serve. Che qualcuno critichi una direzione politica è giusto, è utile, è necessario. E può darsi che voi indichiate una strada per il domani. Cioè voi costituite un ancoraggio. E uno dei miei motivi di gratitudine verso Nucara è che egli è riuscito a intessere un dialogo con questa componente del partito, meglio di come avrei potuto farlo io, che avevo dovuto compiere lo strappo. Il fatto che gli amici della Romagna siano presenti qui nel partito, costituisce un elemento di forza per il PRI, non un elemento di debolezza. La nostra collocazione non sarà mai organica a uno schieramento, né di destra, né di sinistra. Che se lo mettano in testa tutti. Noi abbiamo una ragione di fondo da difendere, e quindi quando collaboriamo con la destra abbiamo in noi gli anticorpi di questa collaborazione, così come quando collaboriamo con la sinistra. Questa non è una materia sulla quale si possa scherzare, amici. Difendere una forza di minoranza richiede la capacità di esprimere un mondo più ampio di quello che noi siamo. Quindi le opinioni di dissenso che circolano in questo partito sono la linfa repubblicana, sono la forza del partito, sono la sua possibilità, domani, di parlare ad altre forze politiche, ad altri ceti, ad altre categorie. Abbiamo dentro di noi uno schieramento politico più largo.

E abbiamo fatto la scelta di Berlusconi.

Ci ha detto Guidazzi: perché non avete fatto un bilancio? Credo che un bilancio possiamo farlo, ci sono le luci e le ombre. Quando ci stavamo dentro sembravano più ombre che luci, adesso col governo Prodi diventano più luci che ombre. Io tutto pensavo tranne che il governo Prodi potesse danneggiare i rapporti dell'Italia con gli altri paesi europei. Poteva danneggiarli con gli americani, con gli inglesi, ma che la Merkel venisse a Roma chiedendosi cosa l'Italia stesse facendo, e parlava a proposito del rapimento Mastrogiacomo. Ma ora l'isolamento europeo del governo Prodi è la novità. E chi lo avrebbe detto? Hanno accusato il governo Berlusconi di essere anti europeo e invece ci ritroviamo un governo Prodi isolato dall'Europa. E per quanto riguarda il rifinanziamento delle missioni, ci siamo astenuti. Ma era un voto sulla missione militare? Il voto sulla missione militare ovviamente sarebbe stato un sì. E' ovvio che dobbiamo sostenere i soldati italiani che sono all'estero. Ma fra il voto alla Camera e quello al Senato c'è stato il rapimento Mastrogiacomo. E non c'è forse stata una gestione del rapimento Mastrogiacomo? E quando è venuto il Sottosegretario alla Camera (D'Alema era a raccogliere gli allori negli Stati Uniti) abbiamo sentito dire dal rappresentante del governo che, cito dal verbale, "noi abbiamo adempiuto a tutte le condizioni dei Talebani". Gli altri colleghi del centro destra erano ancora alla fase delle congratulazioni per l'esito del sequestro Mastrogiacomo, ma il piccolo Partito Repubblicano si è chiesto: cos'è questa storia? E quali erano queste condizioni? E non sappiamo ancora quali siano. E, per esempio, la proposta di Fassino di includere nella conferenza di pace i Talebani, è forse parte di queste condizioni? Quando il rappresentante del governo italiano dice "tutte le condizioni", dopo che sono stati liberati cinque Talebani, ciò vuol dire che ce ne sono anche di natura diversa? L'italiano lo sappiamo leggere. Ma allora: la liberazione era forse una delle condizioni? C'è ne sono altre? La politica estera di questo governo noi non la abbiamo votata al Senato. non l‘ha votata Del Pennino, non l'ha votata Forza Italia, non l'ha votata Casini. Quando D'Alema è andato a dire di essere autosufficiente sulla politica estera, e non c'era ancora il sequestro Mastrogiacomo, il giudizio di tutta l'opposizione è stato quello di dire: questa politica estera è inaccettabile.

Poi è venuto il rapimento.

Amici che sostenete che noi dovevamo votare "sì", guardate cosa è successo al povero Fassino. Ha dovuto dire che nel sequestro Moro avevano sbagliato. Ma c'è qualcuno disposto a dire qui che dovevamo negoziare con le BR? Se c'è, si alzi. Pensate che una frase simile sia scappata a Fassino? Ha dovuto dirla. Ma come fate a sostenere che bisogna trattare con i Talebani? C'è forse qui un repubblicano disposto a dire che bisognava trattare per Moro? Quando questo significava trattare con le BR, dare loro una convalida? C'è qualcuno che si dimentica la nostra storia?

Sul rifinanziamento, noi che cosa dovevamo fare? Casini ha votato in un altro modo. Io gli ho mandato una lettera dicendogli: non riesco a capire. Alcuni dicono: ma come ne è uscito bene. Ma secondo voi ne è uscito bene uno che all'indomani è andato a dire al Quirinale che Prodi doveva comunque andarsene? Vi è sembrato un successo politico quello di Casini che, pur sostenendo Prodi, vuole che se ne vada? Ma cosa è questa? Una cosa che non ha senso. Avremmo potuto fare la stessa cosa noi? No! Ecco il perché del voto. Però noi abbiamo una solidarietà con Casini, perché egli è impegnato in una battaglia importante, forse vitale per la democrazia italiana, per il superamento del bipolarismo all'italiana. Il bipolarismo all'italiana significa una cosa sulla quale sono d'accordo Prodi e Berlusconi: il cittadino va alle urne e vota per un governo e una maggioranza parlamentare. Essi su questo sono d'accordo, ma noi lo consideriamo un vuluns alla democrazia. In questo paese di analfabeti ci si dimentica che ci sono due grandi modelli costituzionali su cui si fonda la libertà. Il modello presidenziale americano in cui i cittadini eleggono direttamente il capo dell'esecutivo e, in data diversa, i deputati e i senatori i quali hanno in genere l'abitudine di votare contro il Presidente della Repubblica. E quindi c'è una dialettica. Poi ci sono i sistemi parlamentari, nei quali i governi dipendono dalla fiducia del Parlamento. Ma se dipendono dalla fiducia del Parlamento, quella fiducia non gli può essere assegnata nel momento in cui eleggono il governo. In quel caso non si elegge un Presidente del Consiglio, ma si elegge il "caudillo". L'Italia, come diceva mio padre, parte per il Nord America e finisce con il Sud America. Qui si pensa che sia una grande trovata quella di dire: il cittadino con un solo colpo ha risolto tutti i problemi. Presidente, programma, maggioranza. Quale modello di governo vogliamo? Un governo parlamentare. Perciò siamo disposti ad accettare delle leggi che limitino la frammentazione politica. Metteteci lo sbarramento, anche al 5%, ma non ammazzate il parlamento. Questa è una grande battaglia politica che ci separa dalla destra e dalla sinistra, e forse ci avvicina a Casini. Ma da Casini ci allontaniamo subito per i DICO. Alleati sì, ma con limiti, con garbo. Ciascuno compone il suo bouquet come vuole: un po' di sistema elettorale, un po' di vescovi. Dobbiamo essere autonomi anche rispetto a Casini. Ma non è detto che Casini vinca. Se debbo fare una previsione, ci sarà un accordo fra Prodi e Berlusconi per sbarrargli la strada. Perché questo sarebbe il sistema con cui il centro diventa il perno dei governi. Ma Fini è contrario. Alla stessa Rifondazione piace molto il premio di maggioranza, perché sa che una volta sì, una volta no, va al governo, così pure questo accade per la Lega.

Così non è escluso che alle prossime elezioni ci sia un confronto tra destra e sinistra. Se c'è questo confronto, noi ci troveremo il problema di dove collocarci. Ma se dovessimo decidere oggi, io direi di collocare il partito nel centro destra, anche se saremo sempre liberi di valutare questa collocazione. E quello che è importante in questo congresso è che ci siamo ritrovati, e che siamo un po' più di prima. Quando andremo ad un tavolo di trattative, ad una scelta, saremo in grado di valutare da una prospettiva migliore. In altre parole, se riusciamo a sfasciare il sistema bipolare abbiamo risolto il problema, e possiamo considerare chiusa la lunga fase di crisi che abbiamo attraversato, e si riapre una fase del Partito Repubblicano. E in più noi abbiamo un legame europeo, che ci consente di avere una identità che gli altri non hanno. Guardate che pasticcio c'è tutti i giorni nel Partito democratico, tra Margherita e DS, sul posto in cui collocarsi in Europa. Un problema che noi non abbiamo.

Ma questa fase intermedia non è finita e non finisce subito. E, se non sbaglio, vi dico che non finisce in questa legislatura. Secondo me Casini non vince la battaglia, giusta, per il sistema elettorale parlamentare. Una battaglia giusta. Se non fanno l'accordo sulla legge elettorale, si va al referendum. Un referendum bipolare nettissimo, che obbliga addirittura a fare due partiti, non solo due schieramenti. Allora il partito non si può considerare fuori dalla crisi, nonostante vada meglio di prima: più vivacità, più gente, più giovani. Ma la crisi è lunga, il cammino è lungo. Troveremo difficoltà lungo la strada. Ci serve un partito che abbia una forza di lotta estesa nel tempo.

Su un punto voglio mettere in guardia l'amico segretario. Sono d'accordo con lui nel dire che bisogna avere una certa latitudine di alleanze. Se ad esempio a Carrara, stanno meglio con questo o con quel candidato, noi non dobbiamo vincolarli ad accettare una certa alleanza. Se a Ravenna gli amici ritengono che la collaborazione con il centro sinistra sia proficua, lasciamo libertà di alleanza. Anche se tale libertà di scelta può crearci dei problemi. In ogni caso sono d'accordo su questo. Ma non sono d'accordo che si cambi lo statuto in questo senso. No, lo statuto no. Su questo punto ha ragione l'amico Visco Gilardi della Lombardia. E se mettiamo questo nello statuto, vuol dire che non c'è più la politica nazionale. Certo, esploriamo le alleanze possibili con una certa latitudine. Ma manteniamo l'idea di fondo che il nostro è un partito nazionale. Altrimenti cosa diventiamo? La lega repubblicana? Diventiamo un vestito di Arlecchino, e i vestiti di Arlecchino si strappano.

Noi siamo il Partito Repubblicano Italiano con una grande capacità di riconoscere agli amici che stanno in periferia il giudizio sulle loro scelte. Ma abbiamo anche una politica nazionale. E su questo tema vorrei essere tranquillizzato.

Per il resto si è parlato molto negli ultimi tempi del Presidente e del Segretario del PRI. Quando Francesco mi ha detto di voler fare il congresso, io, in Consiglio Nazionale, ho detto: facciamo il congresso. I segretari hanno il diritto di sbagliare o di far bene, il giudizio lo daremo dopo. Io mi auguro che Francesco non abbia sbagliato, e può darsi che non abbia sbagliato. Non vorrei che facessimo notizia solo se io e lui litighiamo. Adesso abbiamo l'alternativa: non litighiamo noi due ma litigano i laziali.

Io mi sento non vecchio, però un poco logorato, si. Sono troppo anni che faccio politica e ho detto: cerchiamo di preparare una successione. E noi non litigheremo, mi spiace per i giornali, ma non faremo notizia. Voglio però spiegarvi una cosa che ritengo difficile. Io ho una grande passione politica, anche se ritengo di non poter più svolgere il ruolo di leader del partito. Ma io la politica la faccio comunque. Che il partito sia d'accordo o no con le mie idee, ho sempre fatto in questa maniera. Anche se mi trovassi in disaccordo col partito, io andrei avanti con le mie idee. Però non posso fare politica senza l'obiettivo di un Partito Repubblicano. Io ho bisogno di voi. Io debbo augurarmi che le cose che dico servano a far crescere voi. Se non ci foste voi io non avrei più ragione di continuare nella lotta politica. Non ne avremmo avuto ragione né io né Francesco nel '92-'93. Avevamo molti motivi per ritirarci dalla battaglia politica, non lo abbiamo fatto perché c'eravate voi.

E ci dovete essere voi. Per me questo partito è la vita. Questa è una cosa che noi non possiamo rompere, abbiamo un dovere, tutti. Il dovere di sapere che questa cosa ci è stata trasmessa. Possiamo consegnarla un po' più danneggiata di come l'abbiamo ricevuta, ma dobbiamo consegnarla, perché ci sono dei giovani che quando prenderanno le loro responsabilità devono avere almeno una piccola base di partenza su cui costruire. Una base piccola nelle sue dimensioni, ma grande nella sua storia e nei suoi ideali. C'è una cosa che diceva quello che fu un buon Presidente del partito, non come me, vale a dire Guglielmo Negri.

Egli ricordava in un congresso dei versi di Montale: "E senti allora, se pur ti ripetono che puoi fermarti a mezza via, o in alto mare, che non c'è sosta per noi, ma strada e ancora strada, e che il cammino è sempre da ricominciare".

Viva il Partito Repubblicano Italiano!