45° Congresso Pri

Aparo candidato alla segreteria

"Bisogna sostituire un incapace, dannoso per il Pri"

Congresso di Roma, 31 marzo 2007.

di Mauro Aparo

Coloro che serbano il ricordo dei congressi repubblicani, chi ne rappresenta la continuità storica, coloro che hanno contribuito a tessere la trama e l'ordito della stoffa di queste bandiere adorne dei simboli dell'illuminismo, si riconosco nel valore della razionalità, nell'analisi priva di pregiudizio, nello spirito e nei valori che sono giunti a noi più volte rinnovati e rifondati, dall'‘800 fino ai nostri giorni. Questi nostri giorni particolarmente difficili perché dobbiamo apprestarci a mio avviso a rifondare, rilanciare, riqualificare e rinnovare il Partito, ed è in tale quadro di rinnovata passione che ci confrontiamo in questi giorni congressuali.

Come richiesto dalla relazione del Segretario pubblicata sulla "Voce" tenterò di esprimermi senza porre questioni personali a meno che da esse non derivino valutazioni politiche in senso proprio. E' senza pregiudizio nei confronti di chicchessia che intendo offrirvi la mia analisi sulla situazione politica dell'Italia, su quella che io vedo rispetto al nostro popolo, su quella internazionale ed europea, sulla situazione che io giudico molto grave del Partito.

Devo offrirvi un quadro necessariamente sommario non essendo mio compito esporre ancora una relazione di cui forse percepiamo emotivamente l'esigenza, poiché quella pubblicata sulla "Voce" è manchevole di troppo, così come quella ascoltata in apertura dei nostri lavori. Su questo siamo stati tutti dello stesso avviso.

Manterrò tuttavia intero l'obiettivo di fornirvi lo spunto per una riflessione sul domani e una visione delle azioni più urgenti, a mio avviso, da porre in essere per correre ai ripari da una deriva che non è "Cesarista", come mi sono sorpreso nel leggere nella relazione del Segretario, ma rischia di porre in seria discussione l'esistenza politica del PRI come partito politico, e di questo mi sia consentito di dire più avanti nel corso dell'intervento.

Sia chiaro a tutti che la mia opinione è che i partiti sono insostituibili e fondamentali nello sviluppo di ogni democrazia. Quando poi si produrrà l'avvento della cosiddetta E- Democracy forse non sarà più così, ma questo è un tema che meriterebbe una riunione apposita.

A riguardo della relazione del segretario nelle discussioni avute nella Regione del Lazio e con gli amici di altre Regioni ci siamo ritrovati concordi nel ritenere degno di nota l'unico contenuto politico ravvisato all'interno di essa: mi riferisco alla necessità espressa dal Segretario di estendere e incrementare l'autonomia delle federazioni locali.

Tuttavia non comprendiamo come egli sia giunto a tale determinazione visto che per quanto riguarda il Lazio ogni federazione è stata commissariata con la sola eccezione della federazione di Rieti nella quale il segretario Saletti è scampato al clima da "Pogrom" che si è coltivato nei confronti dei dirigenti politici in funzione di un disegno di presunto rafforzamento del partito che non si è realizzato come certo viene dichiarato e nulla ha avuto a che fare con i principi di rinnovamento e pulizia.

E' quindi motivo di particolare soddisfazione che il Segretario sia giunto sulle posizioni di chi si è dimesso dalla Direzione nazionale per denunciare e per provocare un dibattito sulla necessità di far rispettare l'articolo 17 dello statuto relativo la convocazione della direzione regionale che non era riunita dal Segretario regionale nonostante la richiesta degli amici della direzione stessa. Gli amici del Lazio sono stati accusati di disimpegno elettorale e di molto altro in lettere, interventi in direzione nazionale, articoli sulla "Voce", ma non è mai stato assicurato loro un diritto di replica.

Avevamo ancora voluto credere e sperare che tale mancanza fosse stata ispirata da una considerazione di non opportunità di rendere evidente all' esterno del partito il dissenso interno nei riguardi del segretario nazionale e nei riguardi dell'ex segretario del Lazio poi dimessosi facendo invidia a Rocambole.

Per una sorta di decoro borghese, così lo possiamo definire.

Allo stesso modo avremmo desiderato venisse valutata la non opportunità e l'inutilità per il corpo del PRI che il segretario convocasse questo congresso. E lo convocasse poi con una relazione impostata sulla valutazione personale del "binomio che si rende monomio" per usare l'espressione contenuta nella relazione.

Una relazione che francamente avremmo sperato densa di spunti e di analisi politica, così come eravamo abituati a ricevere in un tempo ormai troppo lontano per sperare davvero, ma il punto politico contenuto nella relazione lo abbiamo già richiamato positivamente, d'altro non possiamo dirci favorevoli o contrari per il motivo che altro non c'è.

Noi crediamo che uno dei doveri di un uomo politico sia riuscire a calcolare con una buona approssimazione le conseguenze delle proprie azioni. La cosa peggiore è creare situazioni impreviste, incontrollabili o di vuoto.

Questo è ciò che si è prodotto e rischia di aggravarsi con questo congresso.

E' che l'ironia la si utilizza quando si avverte nell'interlocutore una tensione ideale fondata su argomenti e concetti non sulla capacità organizzativa e burocratica che pure rileva, ma dopo.

Dal '92 ad oggi abbiamo vissuto eventi che ci hanno più volte fatto rischiare oltre alla discriminazione elettorale e della nostra classe dirigente, la chiusura delle case del popolo e la progressiva perdita del voto d'opinione prima e della conoscenza stessa del nostro partito in larghi strati dell'opinione pubblica italiana.

Se c'è una fase difficile per il PRI è proprio quella che stiamo vivendo, più difficile di quella vissuta nel biennio'92-'94 quando tutto crollava e l'intero sistema politico senza eccezioni salvo per il PCI- PDS, che sperava di raccoglierne le spoglie, veniva posto comunque in discussione, e nella quale lo stesso Parlamento come istituzione rischiava di perdere la propria centralità ed autorevolezza, come poi ha perduto in parte fino ai nostri giorni. A questo si aggiunge la difficoltà esterna al PRI sul quale è opportuno riflettere andando oltre per un momento alle considerazioni sul partito.

Più grave ancora poiché oggi viene scosso ancora una volta il sistema dalla consapevolezza che quella fase non ha prodotto nulla né sotto il profilo del rinnovamento morale, né su quello istituzionale , né su quello della legge elettorale.

Certo il sistema ha evitato la disgregazione istituzionale, si è certo stabilizzato il processo di partecipazione democratica di forze considerate antisistema, e che un mutato clima culturale ed internazionale ha consentito di vedere pienamente rappresentate i parlamento e nella vita dei Governi.

Tuttavia il sistema così allargatosi mostra tutte le proprie contraddizioni nell'ambito delle maggioranze succedutesi. Il tema centrale diviene ora quello della capacità di governo del Paese a fronte delle sfide imposte dalla cosiddetta globalizzazione per un più moderno paese industriale, ed esso si pone con un tono e con echi che potrebbero anche rendersi drammatici qualora risposte seguitassero a non giungere.

In questo mutato scenario e in questa nuova consapevolezza da parte di settori sempre più ampi della società il PRI rischia di essere del tutto assente.

L'Italia conosce un aumento delle incertezze, un approfondimento delle disuguaglianze sociali, un'estensione delle aree di povertà e dell'esclusione, senza che questo fenomeno sia accompagnato, come negli altri paesi europei, da una crescita economica netta, da una esasperazione della competitività delle imprese e da investimenti considerevoli nella ricerca e nell'innovazione.

L'Italia vede anche accentuarsi le storiche disparità regionali e territoriali che rafforzano quella "sindrome da disgregazione del corpo sociale" nel suo insieme, addirittura nella nazione.

Non era un argomento di poco conto il diverso parere espresso nel Partito rispetto al referendum del 25 - 26 giugno del 2006 rispetto ad una riforma costituzionale che avrebbe aggravato le distanze, tra il Nord e il Centro Nord ed il resto del paese, riducendo ulteriormente la solidarietà nazionale, avrebbe rafforzato il potere del Presidente del Consiglio, trasformato il senato in un'assemblea federale, limitato le prerogative del Parlamento, accordato competenze esclusive in materia di politiche sociali, di educazione, di sicurezza.

Questo è il quadro della vera sfida che va posta al nostro Congresso. Come unire questa visione, questa emergenza di Governo del Paese con la possibilità di seguitare ad offrire un nostro contributo politico autonomo, di analisi politica, rispetto alle scelte da operare in tema di formazione della classe dirigente, del ruolo insostituibile del partiti politici, della nostra valutazione circa la centralità del Parlamento rispetto a tutte le derive presidenzialiste o pseudo presidenzialiste.

Gli amici tuttavia mi consentano di andare oltre: Noi crediamo di dover affrontare il tema del rinnovamento posto dal segretario in un modo non fine a se stesso. Noi siamo per la cultura del fare così come tu dici salvo non essere stato fino ad oggi conseguente rispetto al rinnovamento. Su questi temi dobbiamo aprire il confronto e individuare la sintesi, per fare questo occorre una squadra.

Nucara ci ha detto al C.N. di luglio che il rinnovamento andava preparato, che per farlo occorreva un congresso, che esso non può che essere la conseguenza di scelte meditate in anticipo. Ma in anticipo rispetto a cosa? La delegazione laziale offre a questo Congresso un'indicazione che mi onora candidandomi alla segreteria nazionale assieme all'amico Ciro Polidori, e con l'idea di formare una squadra ampia aperta ai contributi delle Regioni, e nella quale l'amica Stella Finozzi sarebbe a mio avviso indispensabile in qualsivoglia segreteria del Partito: come donna e come consigliera del proprio comune ha dimostrato grande coraggio, ed è unita nella comune valutazione della componente di Idea repubblicana che il bilancio presentato a questo congresso sia insufficiente ad affrontare le sfide che si presentano a noi con una progressione tremenda, in continuazione.

Le risposte offerte nel cosiddetto bilancio di Natale pubblicato dal segretario ci hanno indotto preoccupazione, né consola la presenza dei trecento giovani e forti della federazione giovanile per seguitare a sperare di fare politica negli anni futuri.

Avevamo diversamente valutato anche a tal proposito le dimissioni del Presidente del Partito come un'assunzione di responsabilità davvero molto importante.

Se c'è un uomo politico cui dobbiamo tutto, come spesso ricordava Nucara, per spessore dell'elaborazione politica e programmatica, intellettuale e storica, per senso politico e visione, per impegno e passione civile, questo è Giorgio la Malfa. Ora l'interpretazione offerta da Nucara di quelle dimissioni del Presidente è quella contenuta nella relazione che conoscete tutti e che non intendo riproporre, perché sottende una sua valutazione non politica , ma personale, che eviterei.

Quelle dimissioni erano a nostro avviso il modo per consentire un cambiamento e un passaggio generazionale sentito come necessario, nel momento in cui il Partito aveva riguadagnato quella "visibilità" con Giorgio nuovamente Ministro della Repubblica, la cui assenza aveva rappresentato sino a quel momento il lamento di quei consiglieri che oggi qui mi sono ostili, sempre amici, ma ostili.

Erano dimissioni che permettevano al Segretario di restare comunque nella posizione apicale di presidente lasciando magari ad non eletto, e un non eletto sotto le insegne di Forza Italia, la possibilità di ritrovare se ritenuta utile, e nei tempi e nei modi ritenuti corretti dal partito, una maggiore autonomia di confronto politico.

Diremo che non sono state capite, nella migliore delle ipotesi, o sono state strumentalizzate, e anzi interpretate come una rottura, se è vero ciò che molti amici riferiscono e ripetono, come convincimento di Nucara, di dover andare al Congresso per la necessità di darci un Presidente, visto che La Malfa ormai non conta, e il PRI ha bisogno di un presidente. Ma qualcuno crede davvero che il PRI senza La Malfa possa crescere più che con la presenza di Giorgio, qualcuno ritiene davvero che i quattro ritorni scalcinati valgano La Malfa.

Voi preferite dei traditori, gente pronta a tutto per inseguire il bisogno di un miserabile favore a La Malfa ? Gente che mentre noi eravamo in trincea e pagavamo prezzi anche altissimi per la nostra coerenza se ne stava comodamente nelle file di altri? Ma quante volte ci siamo candidati per sentirci dire "Ancora con questi repubblicani?". Eppure noi eravamo lì, poi qualcuno di noi ha detto "Adesso cambiamo" E ha subìto l'ostracismo, ha ricevuto lettere che hanno offeso chi le ha scritte, certo non chi le ha ricevute, eppure siamo rimasti e siamo qui a fare la nostra battaglia per il rinnovamento. E voi volete davvero credere che senza La Malfa si sarebbe tutti più liberi? Forse sì, ma di sbagliare registro, posizione, momento, visione , politica.

Sta tutta qui la miopia politica che ci troviamo oggi ad affrontare nello psicodramma della relazione congressuale che abbiamo letto.

Nessuna comprensione delle conseguenze degli atti dell'uomo politico, e nessuna comprensione della situazione di vuoto nella quale rischiamo definitivamente di cadere a causa dell'assenza della principale virtù dell'uomo politico che è sempre la visione.

Desidero anche dire che nell'ultimo C.N. mi ha indotto a riflettere ciò che amici come Torchia o come De Angelis hanno detto circa le dimissioni di Giorgio perché se essi ritengono, o vi fosse qualcuno tra noi che abbia ritenuto in perfetta buona fede che senza Giorgio La Malfa avrebbe finalmente potuto esprimersi senza la pressione intellettuale che egli esercita e alla quale ci costringe, e che pertanto tutto sarebbe andato per il meglio, si è sbagliato totalmente.

E' facile, lo sappiamo tutti che è più facile confrontarsi con coloro che non ci sollecitano una riflessione più attenta, che non ci avvertono circa la maggiore complessità delle cose, senza avere la costanza del dubbio.

Certo ci sentiremmo tutti più bravi non è vero ? Bene, sarebbe la più cretina delle illusioni, la più sciocca delle conclusioni possibili perché coinciderebbe con la conclusione, la fine del PRI.

Il Segretario preferirebbe che tacessimo e poiché assieme agli amici del Lazio insistiamo nell'esprimere idee diverse dalle sue, egli ci avverte che parliamo troppo, che è inutile farlo senza avere una maggioranza in consiglio nazionale. Che è tempo e fiato sprecato. Che il Partito non cresce perché siamo contro il segretario.

Io vi chiedo se è possibile essere repubblicani senza parlare, se per esprimere un'idea si debba chiedere il permesso, se questo è ancora il Partito in cui abbiamo militato per tutta la vita.

Tuttavia voglio dire con molta chiarezza che il segretario ha anche fatto cose importanti in questi anni e sarebbe sciocco non riconoscerlo, e per questo vorrei che egli non fosse ricordato in futuro come il segretario che ha portato il PRI alla sua dissoluzione, vorrei che egli venisse ricordato da tutti noi per l'amore che egli ha per il partito, e avrà modo di dimostrarlo seguitando ad assicurare la propria voce e la propria azione come Presidente del Partito.

E' con vivo disappunto, e con profonda inquietudine che ritrovo interamente il senso dell'intervento che resi al CN di luglio nel quale avvertivo la necessità di scongiurare il pericolo di un' ennesima disarticolazione nel PRI e chiedevo di poter salire sulle spalle di entrambi i vertici per proseguire la battaglia.

Abbiamo perso tanto tempo e seguitiamo a perderne se non stabiliamo da oggi che non è con un modo "conservatore" che rilanciamo il PRI.

Nell'ultimo CN richiamavo invece gli amici e il segretario sul tema del conservatorismo: vi chiedevo di riflettere assieme se non fosse conservatore colui che sappia tutto del presente o tutto del passato.

Ora vi chiedo alla luce di quel tema espresso in sintesi se non è quantomeno conservatore quel Segretario che interpreti il confronto congressuale come un confronto di tessere? Conservatore nel senso di restare pervicacemente ancorato all'esclusiva logica del passato dei signori delle tessere? Vorrei dirgli di andare oltre, di guardare oltre. E' un partito di carta che si vuole o ricerchiamo assieme un partito di contenuti, di proposte, di posizioni anticipatrici ?

Si abbia riguardo ai casi di Velletri dove chi rientra dopo anni nel partito lo fa con disprezzo per chi è rimasto al proprio posto, a quelli di Roma, della Sicilia, della Sardegna, di troppe parti d'Italia per non pensare anche alla Calabria dove i voti diminuiscono in modo rilevante e gli iscritti salgono.

Voi ve lo figurate Blair che fa il conto degli iscritti della sezione di Oxford o di Cambridge? Oppure Gerhard Schroder o il cancelliere Kohl alle prese con gli iscritti della sezione di Berlino? Certamente essi non hanno mai trascurato di arricchire le proprie posizioni e certo hanno sempre offerto ai propri sostenitori, per dirla con Mazzini, un'idea forza sulla quale concentrare le energie disponibili. Non c'è una sola idea forza nella relazione congressuale, non c'è un programma, forse crediamo di essere a congresso ma nei fatti non c'è un congresso politico, ma organizzativo, una riunione di quadri.

Voi credete che un leader di partito possa essere ancora così proiettato sul tesseramento da porre in seconda battuta la necessità di immaginare il futuro di una fase politica, trascurando completamente le necessità di proiezione politica della propria organizzazione ? Forse sì, qualora si sentisse protetto in un alveo sicuro, in un porto che non sia quello delle nebbie. Nel quale si descrive il partito come uno dei tanti cespugli da estirpare dal sistema.

Volete farvi estirpare, è questo ciò che vogliamo? Ovviamente no! Guai se restassimo a ciò che esiste, se ripartissimo da questo Congresso con il piccolo cabotaggio legato al mantenimento di qualche posizione di potere, allora sì Presidente Berlusconi saremmo solo un piccolo cespuglio, dei nanetti della politica. Noi non siamo secondi a nessuno sul piano delle idee

C'è un tempo per la semina e un tempo per raccogliere come ricorda sempre il mio amico Mariano Leli, c'è un tempo per una squadra e c'è un tempo per quella che deve raccogliere il testimone.

Mi spiace amici, ma vorrei condivideste che quel tempo deve giungere adesso ed è con tale consapevolezza che molti amici hanno già condiviso queste posizioni che vi esprimo, con passione, preoccupazione, partecipazione democratica, l'esigenza di un cambiamento sostanziale nella direzione di una ripresa del nostro metodo .

Sono certo che il segretario saprà interpretare le sollecitazioni che gli vengono dal Congresso guardando alto e lontano senza porsi problemi che non siano nell'esclusivo interesse della crescita del partito repubblicano italiano. Se sarà così noi saremo con lui e lui sarà con noi.

Ad essere cambiata e politicamente impoverita è l'Italia tutta, non solo la propria classe dirigente pescata dalle file delle aziende di proprietà del Presidente Berlusconi. Da qui il senso di disagio e di insofferenza dell'opinione pubblica che la porta a rigirarsi prima su di un fianco e poi sull'altro senza peraltro trovare rimedio ai propri mali.

Noi comprendiamo questo disagio che abbiamo il dovere di lenire dichiarando senza mezzi termini che l'epoca del bipolarismo foriero di maggioranze costrette ad ogni costo a stare assieme non serve alla democrazia , non serve al Paese.

Servono maggioranze più ampie o condizioni che sottraggano il Governo all'incapacità di governo di quelle forze che non sanno AMMINISTRARE L'ITALIA.

Un Paese che in nome delle posizioni più radicali della sinistra è costretto a porre nelle mani di un medico a capo di una discussa organizzazione non governativa la liberazione di un proprio cittadino rapito e costretto da una banda di criminali assassini, fanatici e integralisti che non hanno esitato a decapitare un innocente davanti agli occhi del mondo, è un Paese nel quale si è perso il senso del diritto, della politica estera e di sicurezza, la dignità dei propri cittadini .

Su questo il Governo di centrosinistra verrà giudicato dalla Storia.

Noi allora dobbiamo tornare ad offrire il nostro contributo sui temi nei confronti dei quali abbiamo mostrato ultimamente non solo di non conoscere e studiare, ma che appaiono straordinariamente urgenti.

La politica dei parolai, di coloro che distinguono con nettezza competenza tecnica e capacità politica sta per concludersi. La politica dei dinosauri fatta di dichiarazioni quotidiane le une contro le altre non potrà essere la chiave di volta per sorreggere l'edificio di una nuova e più moderna politica del fare, dell'amministrare nel quadro delle esigenze prioritarie del paese.

Il tema centrale non può essere la legge elettorale e il referendum elettorale dell'On. Segni e compagni, lo è assai più quello del debito pubblico: per le implicazioni relative alla competitività dell'Italia nel quadro delle nazioni e del livello di servizi possibili al cittadino.

Occorre spendersi per tentare di richiamare forze maggiori delle nostre alla rifondazione di un intero sistema di valori e di motivazioni all'interno di una società e di un ceto politico che appare ancora orientato alla difesa dello statu quo.

Io temo che l'Italia sia sotterraneamente percorsa da una spinta rivoluzionaria che soltanto il permanere dell'Italia in Europa consente di non far emergere in tutta la sua portata distruttrice, e che potrebbe essere diversamente ed erroneamente percepita come salutare ed opportuna, si guardi in tal senso la recrudescenza dell'azione terroristica.

L'intero mondo giovanile è distante anni luce dai nostri discorsi che appaiono più come fortificazioni nostalgiche che elementi di novità e di interesse.

Certo la legge elettorale è comunque parte dell'agenda politica dei prossimi mesi, ma la mia idea è che si deve richiamare l'Italia a partire da questo congresso, che altrimenti resterà una mera riunione politica, sulla necessità di AMMINISTRARE L'ITALIA in modo nuovo, del tutto nuovo, ragionevolmente nuovo.

Amministrare ora che i contrasti nella società intesi come conflitto di classe si sono attenuati, ora che le condizioni del paese coincidono con la necessità di mantenere un benessere diffuso, ora che le forze antisistema sono acquisite alla democrazia realizzandosi forse uno dei sogni di Ugo La Malfa in quella politica tesa ad allargare gli spazi della partecipazione democratica nel paese e per il Paese.

Ora se il paese si gira su un fianco e poi sull'altro quasi per lenire così i propri mali, come già la descriveva Dante Alighieri, senza tuttavia trovare ristoro è perché questo e quello "per me pari sono" per dirla con Rigoletto. La percezione del popolo della differenza tra centrodestra e centrosinistra si misura in ragioni millimetriche.

Oggi, a mio avviso, la politica si vuole che assuma un ruolo che è di "prevalente amministrazione dei risultati ottenuti", ottenuti dal lavoro delle generazioni che ci hanno preceduto.

Si tratta di preservare il risultato di quel lavoro, di non disperderlo o annullarne gli effetti virtuosi nella democrazia, nella società in tutti i suoi segmenti. Come nelle imprese industriali il rischio è che i figli di chi le ha fondate disperdano quanto realizzato dai padri.

Ecco perché dico Amministrare l'Italia.

AMMINISTRARE L'ITALIA con senso politico, facendo propri il maggior numero di temi, e facendo ricorso a persone dall'indiscussa competenza e valore tecnico: non si tratta di far venire meno il primato della politica bensì impedire che tale primato divenga lo schermo e lo scudo di ogni aggressione indebita alle ragioni dei cittadini e alla difesa degli interessi generali.

AMMINISTRARE l'ITALIA significa fermare il ricorso all'indebitamento da parte delle Regioni, recuperare autenticamente efficienza nella spesa sanitaria delle Regioni, introdurre principi di emulazione nella dirigenza pubblica, premi retributivi connessi ad obiettivi condivisi.

Occorre aumentare il numero dei magistrati in servizio ancor prima di discutere la separazione delle carriere, rendere alla Giustizia il senso vero del termine, chiarendo una volta per tutte che la giustizia civile e penale richiedono una attenzione che francamente non viene data.

I tempi della giustizia sono una piaga che il Paese non merita, che può essere curata a partire da pochi e indifferibili provvedimenti di buon senso.

Che ha conseguenze sul piano economico assai rimarcabili e delle quali non si parla.

AMMINISTRARE L'ITALIA deve essere lo slogan repubblicano con cui ripartire sin dalle prossime consultazioni amministrative. E poi oltre, fino alle elezioni europee e politiche. Una squadra nuova, dei volti nuovi, un linguaggio diverso, alto nei toni, pacato nelle proposte.

AMMINISTRARE L'Italia come una casa di vetro dove tutto diviene trasparente al cittadino e dove il singolo individuo è fabbro del proprio destino.

Per restituire la centralità indiscussa del Parlamento contro ogni deriva presidenzialista e qui sì, caro Nucara, ogni deriva Cesarista.

Amministrare l'Italia per contrastare l'ennesimo possibile ed imminente rifiuto della Politica che porterebbe l'Italia nuovamente in una grave condizione di vuoto, di "Sgoverno", senza trovare più quella diga del '94 rappresentata dalla discesa in campo del Presidente Berlusconi, cui tutti noi dobbiamo quantomeno il riconoscimento di aver posto un limite politico alla volontà di egemonia e di prevaricazione dell'allora PCI-PDS.

Non ci siamo mai posti nei confronti di nessuno con atteggiamenti deferenti o ruffiani, non vorremmo cominciare ad assistervi ora. Vogliamo confrontarci muniti solo delle nostre forze elette sotto le bandiere comprate alla UPIM? O vogliamo aggiungervi una pattuglia, una squadra ulteriore? Che trovi ed offra una speranza al Paese e osservi la regola del rispetto nei confronti della Storia del PRI?

Vogliamo pensare come rimedio esclusivo ai 300 giovani e forti, il cui numero è anche allusivo d'altro, e che sono comunque una goccia d'inchiostro smarrita nel blu del Mediterraneo? Se ne siamo convinti!

La decisione che attende questo congresso è questa, e per questo io non avrei convocato un congresso, per una questione di linea politica sì, per la colletta del tesseramento fantasma no, per introdurre una discontinuità nel gruppo dirigente nemmeno, bastava il Consiglio nazionale.

Sarebbe stato più utile prendere le decisioni utili nel Consiglio Nazionale di Luglio. Vedi Francesco, se tu avessi mantenuto in quella occasione il garbo di un uomo cresciuto nella sofferenza autentica del Mezzogiorno, che rivendica la propria crescita personale come il frutto di un impegno quotidiano asservito ad una regola intellettuale, questo congresso non lo avresti mai dovuto convocare, e se lo hai così strenuamente proposto il motivo non è per comporre un disagio, che se è cosa personale si appiana in altri modo, il motivo è politico: tu hai ritenuto che questo partito potesse prescindere dai propri uomini, cercandone altri o richiamando coloro che se ne sono andati e che forse se ne riandranno come è stato per Italico Santoro; il partito non è solo un'idea, è la capacità di far muovere le idee attraverso le persone che lo compongono ed esse vanno scelte sulla base della loro coerenza, onestà, rispetto delle regole che ci siamo dati.

Il congresso non è il luogo dell'affermazione dell'individuo, esso è il momento più alto della vita di un partito e il momento in cui si annuncia al proprio Paese che qualcosa va fatto e subito. Nella tua relazione c'è il deserto delle idee, e nel deserto si può andare per ritrovare se stessi e la propria anima kantiana, non per generare un consenso politico.

Vorrei dirvi di più. Vorrei dirvi delle Pensioni e di come sia stato ipotecato il futuro della mia generazione, il mio presente sia stato ipotecato dalla sconsideratezza di chi ci ha preceduto.

Vorrei dirvi dei temi che assillano la crescita morale e civile dell'Italia, le illusioni del consumismo esasperato sulla cui critica la chiesa ritrova il proprio potere temporale, la fuga nell'irrazionale e dunque nell'impossibile di intere componenti giovanili, vorrei dirvi di come riorganizzerei il partito, di come vorrei le città italiane e il loro sviluppo urbanistico, vorrei dirvi dell'Europa politica da costruire .

Vorrei dirvi di quanto si ascolta viaggiando su treni che costano come in Europa e seguitano a funzionare come due secoli fa, la sintesi perfetta di uno stato che interviene per ripianare i conti e poi si aspetta che le aziende funzionino come in un libero mercato.

Vorrei dirvi delle aziende italiane, della competitività fatta sulle spalle dei meno garantiti, dei posti senza garanzie per il futuro.

Vorrei dirvi delle case che sono di proprietà per l'80% delle famiglie italiane, ma si dimentica che nelle famiglie ci sono i figli che la casa non potranno comprarla mai.

Vorrei dirvi della popolazione anziana di questo paese che è ingiustamente abbandonata dallo Stato. Vorrei dirvi della sanità che non possiamo più permetterci, della scuola, dei dico e dei diritti civili negati, vorrei dirvi delle battaglia possibili e di quelle vinte come quella dei genitori separati del diritto a non avere figli e figliastri,

Vorrei dirvi della sicurezza negata nelle città, della cultura che non c'è e quando c'è è marginalizzata.

Vorrei dirvi di come abbiamo perso un deputato europeo, di come gli amici del Lazio sono stati vessati assieme a quelli della Sicilia, della Sardegna e di tante altre realtà da una visione delle cose frutto della conservazione.

E riprendo con quanto ho detto in apertura.

Io credo che uno dei doveri di un uomo politico è riuscire a calcolare con una buona approssimazione le conseguenze delle proprie azioni. La cosa peggiore è creare situazioni impreviste, incontrollabili o di vuoto.

Questo vuoto si è prodotto e va ora colmato, io vorrei provare a riempirlo insieme a Voi, a Voi il compito di discuterne e decidere assieme prima che sia troppo tardi. Abbiamo perso molto tempo. E' già molto tardi, e ci attende un compito difficile , ma non impossibile.

Abbiamo impiegato tempo e tante energie senza un solo obiettivo politico che non fosse la conservazione, ora è necessario andare oltre la mera sopravvivenza.

Talleyrand ha lasciato scritto che "le cose esagerate diventano insignificanti" e che si sia esagerato nei toni precongressuali mi pare rischi di rendere insignificante la ragione della nostra presenza. Si è talmente esagerato nel presentare rendiconti di tesseramento, ritorni e presenze a questo congresso da rischiare di rendere tutto davvero insignificante. Democraticamente insignificante.

Un partito si sviluppa all'insegna della velocità, del dinamismo, dell'efficienza, nessuno, dico nessuno, di questi principi si pone in contrasto con i principi di libertà e di correttezza democratica, ma la correttezza democratica è stata minata da modi che il PRI con questa intensità non ha mai conosciuto al suo interno.

Aiutatemi, insieme ritroveremo il senso e le ragioni del nostro impegno di sempre

Vorrei continuare a vivere il mio Paese, il mio Partito, la mia Storia.

Consentitemi di essere ancora con Voi.

Viva il PRI

Viva la Repubblica

Viva l'Italia.

Un'assemblea che ha dato ragione a Nucara

Congresso di Roma, Hotel Ergife.

di Carlo Pasqualini

La grande partecipazione, la passione e lo spessore degli interventi hanno dato ragione a coloro, per primo il Segretario Nucara, che ritenevano utile chiamare i repubblicani a discutere del loro avvenire per essere pronti a cogliere le opportunità di una fase politica di grande movimento, che può preludere ad una auspicata ricomposizione degli assetti politici. Da parte nostra credo sia opportuno contribuire a tutte le iniziative che mirano a superare l'anomalo sistema bipolare italiano che passa necessariamente per una nuova legge elettorale proporzionale, anche con sbarramento, che sollevi il paese dai ricatti delle forze estremiste.

Questo Congresso si sta dimostrando importante soprattutto perché è maturata unanime la consapevolezza della necessità per il Partito di rafforzare la propria autonomia dai due poli.

Per questa maturazione va dato riconoscimento all'opera paziente svolta dal Segretario Nazionale Nucara che, pur con tutte le cautele necessarie, ha posto il tema all'esame del Congresso con sue dichiarazioni e da ultimo con la Relazione congressuale.

Questa nuova fase politica pone al Partito nuove e maggiori responsabilità: la necessità di elaborare in tempi rapidi una propria piattaforma politica, un complesso di iniziative e di proposte che diano corpo e possano costituire punti di riferimento alla visione diversa che del Paese e del futuro hanno i repubblicani.

Non intendo qui fare l'elenco dei temi da trattare e delle soluzioni ampiamente conosciuti e su molti dei quali il consenso all'interno del partito è ampio. Mi limiterò solo ad alcuni accenni e ad alcuni temi.

La politica estera incentrata sulla solidarietà occidentale ed in particolare sull'amicizie con gli USA e sulla difesa di Israele, è storicamente una discriminante per noi Repubblicani. È una linea che condivido da sempre, che occorre sforzarci di non renderla acritica e fonte di ulteriori divisioni nell'ambito UE. È nostro dovere essere amici leali ma franchi, e lavorare, perché questa linea costituisce anche una scelta politica unanime nell'ambito dei Paesi UE.

L'altro argomento sul quale credo che il Partito debba urgentemente impegnarsi è quello di impedire che il decentramento dei poteri alle Regioni, anziché costituire un processo di avvicinamento dei poteri decisionali laddove si pongano le reali esigenze del Paese, e quindi costituire un importante progresso democratico, dia la stura, come da più parti sta avvenendo, alla costituzione di uno Stato arlecchino con diverse politiche estere, e con relative sedi, commerciali, sociali, fiscali, ecc. L'ultima formulazione del Titolo V della Costituzione contribuisce ad acuire i problemi. Allo stato in moltissimi settori e materie le competenze regionali sono esclusive. Se vogliamo evitare e bloccare pericoli di deriva ritengo che il Partito dovrebbe impegnarsi ad elaborare - per settori e per materie leggi quadro di soli principi all'interno delle quali debba operare la fantasia, o trovare soluzioni più adeguate alle specifiche esigenze - la legislazione regionale.

Infine una riflessione approfondita il Partito dovrà effettuare in materia di privatizzazioni.

Sono per uno Stato leggero che detta e fa rispettare le regole; ma di interesse pubblico non vi è solo la moneta, la difesa, la politica estera, la scuola, la giustizia.

Sono state fatte privatizzazioni senza liberalizzazioni: abbiamo creato monopoli privati in luogo di quelli pubblici.

La riflessione che suggerisco non è per le produzioni di beni e servizi, ma per le reti. Le reti elettriche, telefoniche, trasmissione dati, le vie di comunicazione, vie autostradali, i binari ferroviari, elementi che qualificano il livello di modernità di una paese non possono, a mio giudizio, essere rimessi, alle valutazioni economiche e di convenienza dell'imprenditore privato.

Senza la nazionalizzazione dell'energia elettrica a suo tempo non avremmo avuto la fornitura dell'energia nelle campagne perché antieconomica.

È difficile per me accettare la tesi che quel che è pubblico è inefficiente.

È opera della politica rendere la gestione dei servizi pubblici e della pubblica amministrazione efficiente.

La riforma della pubblica amministrazione sia a livello centrale che negli enti locali è un'araba fenice da più di un trentennio. I vari tentativi esperiti sono stati affetti o da disegni grandiosi, di difficile realizzazione, o da timidezze politiche che hanno sortito solo l'effetto di produrre interventi di mera facciata.

Per affrontare seriamente la riforma della pubblica amministrazione occorre ripartire dagli inapplicati decreti Bassanini che puntavano alla piena responsabilizzazione dei dirigenti pubblici quali gestori di pubblici servizi, aggiungendo però seri metodi di misurazione - non solo finanziaria - delle attività, affidata ad organismi esterni e non agli stessi operatori, e un sistema premiale fortemente selettivo. Come detto il problema della riforma della P.A. non riguarda solo la struttura centrale: maggiori inefficienze si riscontrano forse in gran parte degli enti locali, nella sanità e nella scuola.

Per chiudere ma non ultimo intendo esprimere tutto il mio plauso al ripristino dei rapporti con il ELDR ed alla prospettiva strategica lanciata nella relazione del Segretario della promozione della Costituente Liberaldemocratica in Italia che ritengo possa contare, se supportata da adeguate proposte politiche, sul consenso di gran parte di coloro, e sono tanti, che non si riconoscono nel centrodestra e centrosinistra.

Questa opzione strategica deve avere l'ambizione di mostrare al Paese la qualità diversa e alta della concezione della politica europea rispetto al provincialismo di quelle propinata in Italia dalle grandi forze politiche. È anche lo strumento attraverso il quale intendiamo contribuire alla costituzione dell'Europa politica che era il sogno dei padri fondatori ma anche da sempre il sogno di noi Repubblicani.

L'impegno per l'Edera comincia in sezione

Congresso di Roma, 31 marzo 2007.

di Paolo Bertuccio*

Raccolgo l'invito pubblicato sul sito internet del Partito ed invio il testo del mio breve intervento al 45° Congresso Nazionale, che scrivo per questa occasione, essendomi avventurato, la sera del 31 marzo, in una improvvisata esposizione orale.

Dopo aver preso le mosse dalla constatazione dell'ottimo risultato congressuale, considerate la grande partecipazione di delegati provenienti da ogni parte d'Italia e la buona qualità degli interventi che avevo ascoltato, passavo ad elencare alcune perplessità che ritengo frenanti dell'azione politica del Partito.

Penso, forse erroneamente, che la scarsa visibilità ed incisività dell'azione politica del PRI dipenda in gran parte dalla poca azione e dall'inazione di numerose Sezioni.

Alcuni Amici lasciano intendere che la nostra scarsa visibilità ed incisività dipendano in buona parte dagli Organi centrali del nostro Partito. Sono di parere opposto ed espongo le seguenti considerazioni, senza tuttavia dimenticare che "in medio stat virtus".

Brucia ancora la ferita provocata dal non aver potuto presentare, lo scorso anno, nella regione in cui vivo, una lista col nostro simbolo per partecipare alle elezioni al Senato. La constatazione che anche in numerose altre Regioni gli Amici repubblicani non siano riusciti in questo intento, non mi dà conforto, ed anzi rafforza la mia opinione di partenza: a livello locale facciamo troppo poco.

Quand'anche Nucara, Del Pennino, La Malfa, apparissero in televisione per due ore al giorno ciascuno, equamente distribuiti tra mattino, pomeriggio e sera, resta innegabile il fatto che la presentazione delle liste (formazione delle stesse, raccolta firme e connessi ulteriori adempimenti) dipende solo ed esclusivamente dalle Sezioni territoriali e fa carico solo ed esclusivamente alle medesime.

Da qui discende il mio convincimento (ripeto, forse erroneo e forse eccessivo) che ci si compiaccia sovente di fare tanti discorsi tra di noi in punta di fioretto, quasi fossimo sempre tranquillamente seduti in salotto, dimenticandoci troppo spesso dei rapporti con l'esterno e cioè dimenticandoci proprio dei destinatari dell'azione politica che intendiamo divulgare. Soltanto se ci conoscono meglio, gli elettori possono ricordarsi di noi ed assegnarci la propria fiducia e cioè il voto.

E' cambiato il modo di fare politica, bisogna finirla col criticare sempre tutto e tutti. Occorre essere propositivi e farsi conoscere come persone che hanno idee (per la verità queste non mancano mai) e le sanno applicare alle varie realtà di tutti i giorni.

Il Napoli calcio, anni orsono, non avrebbe vinto lo scudetto se avesse messo in campo undici Maradona. Quella squadra aveva la fortuna di poter schierare un vero fuoriclasse, ma accanto a lui giocavano contemporaneamente altri calciatori con caratteristiche diverse dalle sue: chi per agire di punta, chi per conquistare palla a centrocampo, chi per difendere e così via.

Anche un partito politico deve poter contare e deve organizzarsi schierando persone diverse, con compiti diversi, persone che tutte quante insieme e secondo le rispettive attitudini cercano di vincere o piazzarsi al meglio nel campionato che stanno disputando in quel momento. Ed in modo analogo dev'essere organizzata una sezione locale, una consociazione, oppure un gruppo regionale.

L'aspetto preliminare a tutto questo resta tuttavia uno solo: per ottenere attenzione e visibilità occorre metterci la propria faccia.

Cari Amici, come possiamo pretendere di essere ascoltati dal grande e piccolo pubblico se bisbigliamo in sordina, uscendo allo scoperto solo di tanto in tanto?

Quante volte ci siamo sentiti rispondere dall'elettore al quale avevamo chiesto il voto frasi che suonano più o meno così: "Perché dovrei votare per voi? Siete così pochi, praticamente invisibili! E non raggiungete mai risultati apprezzabili sul territorio nazionale!"

In questo preciso momento, se vogliamo ancora portare avanti un'azione politica appena degna di questo nome, abbiamo il dovere morale di tornare in piazza, parlare con la gente, mostrare le antiche e gloriose bandiere con l'Edera, partecipare con il nostro simbolo a tutte le tornate elettorali che via via si presentano. E, per favore, cerchiamo di non pretendere il tutto e subito: potremo pensare di raccogliere qualcosa solo dopo anni di intenso lavoro.

Quante Sezioni hanno un Consiglio direttivo funzionante? Quante Sezioni hanno un Segretario che in ultima analisi non sia solo il Segretario di se stesso? Quante volte al mese si riuniscono i componenti di una Sezione? Quante volte nel corso di un anno viene organizzata una serata in trattoria/pizzeria per fare conoscenza con gli altri iscritti e con i simpatizzanti esterni al Partito?

Se la risposta a queste semplici, ma importanti domande, vi crea imbarazzo, temo dobbiate convenire con me che anche nelle cose banali di tutti i giorni, l'attività sociale, prima ancora che politica, langue paurosamente. E' allora possibile saltar fuori di tanto in tanto per pontificare e parlare di massimi sistemi?

Fossi io il Segretario Nazionale, organizzerei corsi di motivazione e relazioni umane per i repubblicani in non più giovane età. Mi consentite una battutaccia? Chissà che Nucara non vi abbia già pensato ed abbia accantonato l'idea valutando prossimo allo zero il risultato finale!

Gli Amici oggi stanchi per aver combattuto migliaia di battaglie politiche sono sicuramente da comprendere; però chiedo loro di non continuare a vivere in un limbo d'oblio, che contempla solo ricordi del passato e non lascia spazio ai sogni per il futuro. Chi non se la sente più di continuare lo dica chiaramente e passi la mano, non senza aver prima individuato ed educato il proprio successore.

In questo modo sapremo anche su chi potremo contare, perché è inutile, anzi dannoso credere di essere un certo numero e ritrovarsi, al momento della verità, in uno sparuto drappello di creduloni che rischiano di raccogliere solo brutte figure, pagando in prima persona il disimpegno di tanti altri.

Cari Amici, il patto che dobbiamo stringere tra di noi a questo Congresso consiste in almeno due anni di contemporaneo impegno politico a tutti i livelli ed in tutta Italia, in modo che ritrovandoci tra due anni al prossimo Congresso, potremo dire con soddisfazione: eravamo allo 0,6%, ora siamo al 2,6%

*Segretario della Sezione Leone Garbarino, Chiavari