45° Congresso Pri

Ritrovare le motivazioni per una battaglia comune

Congresso del Pri, Roma, 31 marzo 2007.

di Marcello Attisano

Amiche ed amici repubblicani, un affettuoso saluto a tutti i partecipanti di questo 45° Congresso Nazionale del PRI. In occasione di questo congresso, come non dedicare due parole alla lunga storia, e alle radici lontane che questo piccolo grande partito ha. E, come non sottolineare il grande peso che ricade su ognuno di noi.

Ancora una volta siamo qui impegnati a difendere e portare avanti, in un confronto sicuramente serrato, quei valori, le idee, gli ideali di fede liberale e di convinzioni liberaldemocratiche di cui la politica italiana ha immensa necessità.

Amici, i risultati di questo governo, a meno di nove mesi dalla sua elezione, sono sotto gli occhi di tutti.

E subito, da imprenditore, vorrei chiedere che fine ha fatto il cuneo fiscale.

Del resto, una classe politica schiacciata da un egemonia marxista nei fatti è sempre ostile alle imprese.

La stessa maggioranza ha poco da rallegrarsi o da protestare, quando una posizione del proprio ministro degli esteri viene bocciata al Senato o quando, poi, passa con l'aiuto dell'UDC, dimostrando di non raggiungere la cosiddetta maggioranza politica di 158 senatori.

O quando, ancora, prima il Presidente del Consiglio, stigmatizzando su tutto e su ogni questione, rilancia l'azione di governo con i propri alleati, con dodici punti scritti su mezza paginetta.

Ma scusate, le 283 pagine del documento programmatico, gli incontri, i ritiri, che fine hanno fatto?

Tra i 12 punti, non possono mancare il Mezzogiorno, la Famiglia e l'Università.

Il problema del Mezzogiorno e dell'economia al Sud non si risolvono stigmatizzando appunto come fa Prodi o come fa il Ministro Mastella che sposta ad esempio la scuola di Magistratura da Catanzaro a Benevento, o come fa il Ministro Bianco che vuole una metropolitana di superficie o come l'On.le Misiti che prevede un referendum per lo sviluppo.

Ancora non si è capito che lo sviluppo del Mezzogiorno passa attraverso una fiscalità differita o di vantaggio, un normale accesso al credito e un collegamento strutturale, ma diretto, con i più importanti distretti industriali che esistono sul nostro territorio.

Tutto questo, rafforzerebbe la legalità, frenerebbe la massa di capitale umano che anno dopo anno si perde per il mondo e darebbe ossigeno all'Italia ottimizzando i costi di alcune produzioni.

Secondo l'Istat la disoccupazione al Sud è scesa: non è vero è un dato sconcertante preso in modo virtuale che non si basa sulla economia reale.

Perché sicuramente, questo dato, prende in considerazione l'occupazione dei Call Center, euro 300 al mese. I dati Eurispes del resto parlano chiaro: in Italia i salari più bassi d'Europa; e, a questo, si aggiunge la sfiducia di tantissime donne che rinunciano a iscriversi nelle liste di disoccupazione nei Centri per l'Impiego.

Non sono nemmeno convinto della ripresa dell'economia italiana, anche questo mi sembra un dato virtuale, in effetti, i consumi sono scesi, tante aziende si stanno ridimensionando, delocalizzando, dove il costo del lavoro rispetto al nostro è pari al 3%.

E poi, se le cose vanno così bene, sono in contrasto con tutti gli aumenti che gli italiani stanno sopportando. Oltre le tasse locali in crescita al 6%.

A tutto questo però c'è una verifica naturale, con le entrate fiscali nel 2008: quelli sì, saranno dati veri, staremo a vedere!

E per quanto riguarda le liberalizzazioni o decreto Bersani: se da un lato obbliga all'apertura di un conto corrente, dall'altro non interviene a far abbassare i costi.

Oggi il costo sulle banche è di euro 204,00 cioè il 50% in più della media UE, ma vorrei sapere se Draghi sa che un bonifico oggi costa euro 8,50 cioè 17 mila lire.

Cioè da un lato si parla di liberalizzazione, dall'altro si è obbligati a far pagamenti con bonifici, mentre poi nell'economia reale si è costretti a pagare una normale tangente legalizzata.

Le banche giornalmente effettuano milioni di queste transazioni e questa liberalizzazione ha un unico percorso, quello di far diventare più potenti le banche.

E poi, vorrei sapere, se non possiamo usare 2 pezzi da euro 500, perché la Banca centrale le ha emesse?

Per quanto riguarda i DICO e la famiglia vorrei esprimere il mio giudizio.

I repubblicani sono laici, anticomunisti e antifascisti ma, come sosteneva Spadolini, noi siamo l'anello di congiunzione con il mondo cattolico. Infatti, rispettiamo i percorsi e le scelte che ognuno vuole intraprendere.

Ma più di altri, dobbiamo salvaguardare il valore della famiglia fatta da un uomo e una donna sanciti dalla Costituzione.

Il sostegno alla famiglia parte dall'infanzia e arriva fino agli anziani, ma è particolarmente sensibile quando un giovane arriva all'Università, è necessaria, in quel momento storico, la presenza dello Stato accanto alla famiglia; e l'aiuto economico va dato con una detrazione per ogni universitario, direttamente dal reddito complessivo.

Amiche ed amici repubblicani, il minimo storico nel PRI è passato da un pezzo e in tanti hanno riconosciuto al segretario Nucara la capacità e la passione che egli ha dato al PRI in tutti questi anni per portarlo aldilà del guado.

Sono fortemente convinto, che c'è un unico percorso.

Bisogna finirla di giocare al tiro alla fune e tutte le forze vanno unite, per una strategia comune.

Vedete, tante volte fa più male una guerra intestina che una guerra ideologica, almeno lì il nemico è riconoscibile.

Ma c'è un altro fattore più preoccupante, mentre si sta a litigare: fuori il mondo continua la sua corsa, altri prendono posizioni efficienti per affrontare questioni globali, si confrontano su tematiche, risolvono problemi.

Noi perdiamo ritmi e proiezioni della nostra lunga storia, che, prima degli altri, ha creduto in idee ed ideali già dal lontano Risorgimento fino alla visione dell'Europa. Infatti, noi siamo i figli naturali dell'Europa, di quella Europa di cui oggi tutte le forze politiche si vantano, ma, nella quale, tanti di essi, non hanno mai creduto!

E assistiamo ai festeggiamento del 50° anniversario dei Trattati di Roma del 1957 come spettatori e non come attori.

Il futuro di un partito passa attraverso i suoi dirigenti, e alle strategie che essi sanno intraprendere nel risolvere problemi, tematiche e problematiche; ed investono il Paese, sia sul piano interno che su quello internazionale.

Ma prima di tutto questo, c'è la collaborazione, collaborazione che questo partito sembra aver dimenticato, e che deve essere ritrovata: questo 45° congresso può e deve essere da collante affinché questo piccolo grande partito possa uscire forte e riprendere il suo percorso naturale che grandi statisti hanno saputo percorrere, ponendosi al centro della storia della politica italiana, come Ugo La Malfa o Giovanni Spadolini: non peraltro fu il primo Presidente del Consiglio non democristiano della storia d'Italia.

Ponendo queste riflessioni, condivido la relazione del segretario Francesco Nucara, sostengo con forza il suo percorso.

Proposte per risolvere le emergenze abitative

Congresso del Pri, Roma, 31 marzo 2007.

di Santino Camonita

Una volta si diceva casa dolce casa, sia in affitto che in proprietà ed era il sogno degli italiani. Passano gli anni, dalla lira passiamo alla moneta unica europea, mutano le condizioni socio-economiche e sempre più ci accorgiamo che la politica della casa è assente sia a livello europeo che italiano. Se nel settore abitativo, la normativa comunitaria è carente per mancanza di direttive omogenee, nel nostro Paese la politica della casa deve essere affrontata con incisività, con un piano strutturale di interventi, sia nel pubblico che nel privato, che interessi cittadini sia italiani che immigrati. Ma la strada non è facile, è necessario promuovere un percorso sostenibile sulla cultura della qualità abitativa. Il bene casa ed il settore immobiliare, in Italia, hanno bisogno e meritano la giusta attenzione con certezze, una volta decisa in sede politica la priorità degli interventi ed individuati gli strumenti normativi. Se la tassazione in Italia è stata in generale stimata attorno al 60%, quella sulla casa raggiunge percentuali superiori e costituisce il principale motivo del "caro affitti" ed un freno ai lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione. Ma il mercato immobiliare continua a tirare anche se con alcune flessioni, e nel frattempo crescono le sofferenze bancarie per rate di mutuo non pagate ed a complicare il panorama è il mercato della locazione che fornisce segnali inequivocabili perché scendono i rendimenti per tutte le tipologie immobiliari raggiungendo i livelli minimi dopo i massimi che si datano alla fine degli anni novanta ed aumentano in modo clamoroso gli sfratti per morosità. Sono in aumento gli acquirenti stranieri, soprattutto nelle province e al nord e non solo nelle località storicamente interessate, ma anche nei centri urbani meno importanti dove comunque si prevede uno sviluppo dell'edilizia dovuto ai prezzi ancora interessanti ed accessibili, soprattutto in funzione di un intervento a medio e lungo termine. Tra gli acquirenti stranieri troviamo in prima fila gli immigrati che sono ancora una minoranza ma che anche per loro la scelta dell'acquisto sta diventando un'alternativa sempre più ottimale e praticata rispetto all'affitto. Nel recente passato è subito iniziata una politica tendente unicamente a punire le classi medie, i liberi professionisti, i proprietari di case, i tradizionali risparmiatori mai riscontrato nei precedenti governi della Repubblica Italiana. Non si parla più di riduzione dell'ICI, una immorale ed incostituzionale imposta, ma al contrario si è disposta la revisione degli estimi catastali che, probabilmente, farà naturalmente lievitare i costi per una parte di cittadini, per finanziare i lavori pubblici dei comuni. Ultimamente non si parla più della tassazione unica delle rendite finanziarie al 20%, ed in questa categoria sembrava dovessero collocarsi anche i redditi da locazione di immobili. Se per qualcuno è sembrato uno scampato pericolo, probabilmente perché l'operazione ha un costo intorno al miliardo di euro, in pochi hanno capito che tassare con aliquota fissa, pur ragionevole, i proventi degli alloggi dati in locazione non sarebbe stato uno svantaggio. Infatti le aliquote Irpef (ora Ire) variano da un minimo del 23% ad un massimo del 43%. Quindi, per qualsiasi proprietario immobiliare che paga le tasse, un'aliquota secca potrebbe essere una prospettiva da discutere e valutare. Speriamo in questo artificio fiscale nella prossima estate e comunque trattato nel ddl di delega per la riforma delle rendite finanziarie per tutti i redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria. Ma politica della casa sembra stia facendo passi indietro con la reintroduzione di una proroga degli sfratti con un recente provvedimento che, ora come allora, continua a far discutere. Comprendendo le situazioni più che mai comprensibili, perché gli oneri devono gravare sui proprietari di case? Ed è comodo fare politica sociale con i soldi degli altri. Nel futuro, gli enti locali dovranno definire piani pluriennali di edilizia sovvenzionata e agevolata per superare l'emergenza abitativa, limitatamente alle fasce disagiate e prevedere un piano nazionale straordinario per creare uno stock aggiuntivo di alloggi da destinare all'affitto a canone concordato. Nel frattempo, qualcosa si sta muovendo ed alcune regioni guardano con favore al "social housing". In pratica non sono più pensabili le occupazioni abusive degli alloggi. E' necessaria una effettiva programmazione territoriale per la vivibilità delle nostre città con il coinvolgimento dei cittadini, delle istituzioni locali e centrali per favorire in generale il mercato abitativo, dalla fiscalità alla gestione in un sistema economico moderno, per pensare ad una vera politica dell'abitare.

L'Edera, il partito di una economia ecologica liberale

Congresso del Pri, Roma, 31 marzo 2007.

di Giovanni Pizzo

L'evoluzione ambientalista internazionale

La questione ambientale nei paesi avanzati è maturata rapidamente in questi ultimi anni: gli eventi recenti che hanno dato una notevole spinta a questa maturazione sono l'entrata in vigore del protocollo di Kyoto (febbraio 2005) e la pubblicazione del rapporto Stern (ottobre 2006). L'ombra del disastro climatico pesa sul futuro del nostro sistema economico: autorevoli studiosi e leaders politici cominciano ufficialmente a prendere atto dell'entità del danno potenziale da cambiamento climatico che non è solo una questione ambientale ma un problema di rilevanza economica e finanziaria. I grandi leaders mondiali hanno imboccato la via di un ambientalismo liberale, concreto, laico, riformista, capace di aggregare il consenso necessario per di abbattere le resistenze di chi prospera con gli attuali assetti e far virare questo sistema di 180 gradi verso la rotta della sostenibilità, senza doverlo distruggere. E' l'ambientalismo di Al Gore, capace entusiasmare milioni di spettatori e di vincere un premio Oscar con un documentario (una scomoda verità) che spiega ciò che sta succedendo per effetto del riscaldamento globale in corso (dovrebbe essere obbligatorio vederlo in tutte le scuole medie e superiori); è l'ambientalismo di Tony Blair che ha varato, unilateralmente, un progetto di legge rivoluzionario che andando ben oltre i parametri di Kyoto, stabilisce che le emissioni di anidride carbonica in Inghilterra devono essere ridotte almeno del 60% entro il 2050 e fissa obiettivi vincolanti e "bilanci di emissione di carbonio" quinquennali; è l'ambientalismo di Schwarzenegger che ha imposto una riduzione del 30% entro il 2014 sulle emissioni inquinanti delle automobili vendute nello stato della California, attirandosi gli strali dei costruttori americani di automobili. Scrive Machiavelli nel Principe: E debbasi considerare come non è cosa più difficile a trattare, né più dubia a riuscire, né più periculosa a maneggiare, che farsi capo ad introdurre nuovi ordini; perché lo introduttore ha per nimici tutti quelli che degli ordini vecchi fanno bene, e ha tepidi defensori tutti quelli che degli ordini nuovi farebbero bene.

Il Protocollo di Kyoto, che interessa paesi che producono più del 55% delle emissioni di gas serra, nonostante la mancata adesione di importanti produttori, è un evento di portata storica che influenzerà l'economia mondiale dei prossimi decenni; oggi siamo solo alle fasi iniziali, ma, come tutti i grandi blocchi commerciali che la storia ricorda (Bretton Wood, GATT – WTO, OPEC) nel tempo diventerà crescente e inesorabile la spinta ad entrarvi. Il prezzo di mercato dei crediti di carbonio, cioè delle misure compensative per annullare gli effetti negativi dell'emissione dei gas serra, è di circa 20 euro per tonnellata di anidride carbonica; questo prezzo (e le sue variazioni in base alla evoluzione delle condizioni future) avrà sull'economia mondiale lo stesso effetto che ebbe la parità dollaro – oro o l'effetto che ha avuto e avrà il prezzo del petrolio. In fondo il protocollo di Kyoto potrebbe diventare un antidoto ai cartelli petroliferi.

Il rapporto "The economics of climate change", (ottobre 2006) preparato sotto la direzione dell'ex capo economista della Banca Mondiale Nicholas Stern (rapporto Stern) su richiesta del governo britannico, individua gli effetti dal punto di vista economico e sociale del surriscaldamento del clima. Attraverso l'utilizzo di modelli econometrici, stima che sarà necessaria una somma forchetta che varia tra il 5 ed il 20% del PIL (5,5 trilioni di euro), per riparare i danni provocati dall'effetto serra. Il rapporto analizza uno scenario al 2100 e paragona la crisi economica mondiale derivante dalla mancata azione di lotta ai cambiamenti climatici, alla crisi del 1929. Secondo Stern, una cifra pari all'1% del PIL mondiale dovrebbe essere destinata fin da oggi ad azioni e politiche di mitigazione e questa sembra la strada che il governo Blair si appresta ad imboccare. Aumento della tassazione di voli economici, carburanti ed autoveicoli altamente inquinanti, ed utilizzazione del ricavato per l'introduzione di nuovi strumenti e politiche di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra. Attraverso la tassazione ed i sistemi di Emissions Trading sarà possibile individuare il prezzo della CO2 in modo da rendere pubblico il costo sociale della mancata azione contro l'effetto serra. Le altre azioni riguardano lo sviluppo tecnologico e l'introduzione di prodotti a bassa emissione di anidride carbonica ed altamente efficienti, la rimozione delle barriere allo sviluppo dell'efficienza energetica ed un'adeguata informazione ambientale. La conclusione è tuttavia ottimista: la comunità internazionale, sia scientifica che politica, ha a disposizione risorse e conoscenza adeguate per intervenire. Ma la conclusione più importante arriva a pagina 127 dell'ultimo capitolo: "siamo ancora in tempo!" Al di là della disputa sui numeri, il rapporto Stern ha un indubbio merito: quello di porre il dibattito sul riscaldamento globale in una prospettiva puramente economica, di comparazione dei costi e benefici attesi delle diverse strategie. L'effetto serra è visto come un rischio che le economie di mercato devono affrontare e gestire, misurato per quello che è.

Stiamo entrando nell'economia "post carbonica" del cambiamento climatico. In questa economia i risultati non si potranno più misurare attraverso la crescita del PIL; in attesa che un Keynes del terzo millennio rifondi le basi delle teorie economiche e definisca i nuovi strumenti della politica di una economia sostenibile, noi suggeriremmo di usare un altro indicatore: il KyotoPIL ovvero il PIL realmente prodotto meno la quota prodotta con emissioni di CO2 superiori a quelle dell'obbiettivo fissato. Tanto per chiarire il concetto, e capire come sta messa l'Italia, se il PIL italiano fosse stato calcolato con questo indicatore la crescita del PIL dal 1990 al 2004 non sarebbe stata del 21% ma del 2,9%!

L'Italia, che aveva l'obbligo di ridurre entro il periodo 2008 – 2012 le emissioni del 6,5% (rispetto al dato del 1990) oggi si trova a più 12%! Sono 97 milioni di tonnellate di eccedenza annua che ci costeranno cari, anche perché, in assenza di misure correttive, la situazione peggiorerà. Nel periodo in cui scatteranno le sanzioni (tra il 2008 e il 2012) arriveremo a 614 milioni di tonnellate, portando a 128 milioni di tonnellate la distanza dall'obiettivo fissato. Moltiplicando i 128 milioni di tonnellate di anidride carbonica emessi in violazione del protocollo di Kyoto per 20 euro/tonn. si arriva a 2,56 miliardi di euro l'anno.

Il quadro italiano

L'Italia, nonostante gli sforzi del Ministro Pecoraio Scanio per laicizzare i Verdi, è rimasta indietro rispetto a questa evoluzione liberale dell'ambientalismo; a partire dagli anni ottanta, anche per l'errore di sottovalutazione dei partiti di centro – destra, il monopolio dell'ambiente è stato assunto per motivi ideologici ed elettorali dai partiti di cultura marxista anche se, è bene ricordarlo, la sinistra marxista ancora nei primi anni 80 usava slogan del tipo: "L'uomo, non il lupo, è l'animale più braccato del Parco d'Abruzzo" e taceva davanti alla catastrofe ambientale sia nelle fabbriche in Europa, sia nei Paesi comunisti dell'Europa dell'Est, (perché il marxismo come la Chiesa Cattolica teorizzava la superiorità dell'Uomo sulla Natura). Eppure le riflessioni sulla necessità di raggiungere l'equilibrio fra il progresso economico e la capacità di tenuta dell'ambiente hanno lontane radici nel pensiero economico liberale da Malthus a Stuart Mill a Pigou. Lo spazio politico sempre più importante legato ai problemi dell'ambiente è stato occupato solo da coloro che propongono una lotta radicale ed elitaria il cui obbiettivo è di realizzare una discontinuità rispetto all'attuale modello economico; monopolizzato da una "ideologia verde" che, puntando sulla drammatizzazione emotiva dei problemi ecologici, ha avallato un ambientalismo buono solo a denunciare il mercato capitalista strizzando l'occhio a tutti quegli umori statalisti e collettivisti che ancora pervadono la società italiana. Tutte le frange riformiste e liberali del movimento ambientalista degli anni Ottanta sono state soffocate da questa ideologia rosso verde e molti hanno abbandonato l'impegno nei partiti: illuminante è la denuncia di Mario Signorino: "Senza paura: l'ambientalismo oltre Cassandra" (XI congresso nazionale Amici della Terra Milano 2004).

Il nuovo PRI per una ecologia liberale

Oggi queste forze non hanno una rappresentanza politica ed il Partito Repubblicano, che storicamente è stato sempre particolarmente attento ai temi dello sviluppo economico e della distribuzione della ricchezza, è in grado, meglio di altri, di cogliere i mutamenti di scenario e può contribuire alla costruzione degli strumenti di governo della nuova economia; con le sue ferme radici nel pensiero liberale e le fronde rivolte verso una nuova economia equa ed ambientalmente compatibile, (per usare una immagine di Spadolini) può diventare il riferimento politico per un "nuovo ecologismo", un "ambientalismo antropocentrico", in cui l'uomo è parte indissolubile della natura e che, di conseguenza, le sue azioni, mai disgiunte dai principi della sostenibilità e della ecocompatibilità, sono elementi caratterizzanti della sviluppo della natura.

I Repubblicani, in materia di politica economica e politica di sviluppo, possiedono un bagaglio di storia e di esperienze unico nell'attuale panorama politico; "siamo il nucleo dell'avvenire" e "consideriamo nostro compito vedere più avanti, proporre soluzioni anticipatrici, ascoltare le voci della società, del suo mondo intellettuale e produttivo, in uno sforzo di rendere uniforme (e sostenibile) lo sviluppo del Paese e più giusta la distribuzione dei redditi e delle possibilità all'interno di esso". Se riusciranno a cogliere gli elementi essenziali per elaborare strategie e proposte adeguate alle necessità del nuovo secolo, potranno continuare ad essere l'avanguardia culturale per gli sviluppi dei prossimi anni e contribuire alla elaborazione delle politiche per orientare in direzione della "sostenibilità" i processi di sviluppo economico di cui il Paese avrà bisogno. La nuova filosofia ambientale deve contrapporre alla visione integralista, tipica della cultura rosso-verde, una posizione che guarda alla modernizzazione ed allo sviluppo compatibile, per superare la cultura dei vincoli, all'insegna dello sviluppo eco-compatibile, come d'altronde sancito già nel 1992 alla conferenza di Rio de Janeiro. Hi-tech e natura, tradizione e modernità devono essere le coordinate culturali attraverso le quali indirizzare la politica ambientale che punti, dunque, a coniugare la tutela del patrimonio con la modernizzazione e la fruibilità.

Questi principi, se opportunamente "travasati" nella nuova economia ecologica danno al PRI strumenti privilegiati per elaborare nuove idee per il governo dei problemi economici del futuro, in un momento in cui si avverte chiaramente il limite degli approcci classici, non solo nell'incomunicabilità con le nuove generazioni, ma, anche in termini di risultati. In poche parole il PRI può costituire punto di riferimento politico dell'ambientalismo liberale e diventare il partito della "politica economica per lo sviluppo sostenibile" con lo scopo di trasformare le esigenze di rispetto dei vincoli ambientali in motore per l'innovazione, creare così nuovi sbocchi economici, spezzare la correlazione fra crescita economica e degrado ambientale, utilizzando, in ultima analisi, le energie del mercato per il miglioramento delle condizioni ambientali e della qualità della vita.

Devono essere superati i sistemi vincolistici e di negazione ideologica con i quali si è creduto di arginare la valanga dei problemi ambientali. Non vogliamo i futili divieti di circolazione domenicali, vorremmo scegliere liberamente, in base alla nella nostra funzione di utilità, di non usare l'automobile e di usare i mezzi pubblici a idrogeno!

Il quadro di regole, teorie e principi di intervento in economia, ed in particolare nei processi di sviluppo economico territoriale, dovrà essere rivoluzionato avendo presente ciò che ha detto un grande economista del novecento, Marshall, per il quale l'economia è una branca dell'ecologia.

Il PRI sostiene il principio "chi inquina paga", dal quale discende l'altro principio secondo cui la responsabilità del produttore dovrebbe essere individuale anziché condivisa dalla collettività. Questi principi rappresentano un incentivo per i produttori a sviluppare prodotti più rispettosi dell'ambiente. Liberalizzazione e concorrenza dovranno costituire gli strumenti per il conseguimento delle finalità ambientali purché siano effettivamente instaurate condizioni uguali per tutti. Le distorsioni dei mercati fungono spesso da disincentivo ai comportamenti ecologici. Nel mercato dell'energia, per esempio, fonti non rinnovabili e inquinanti vengono fortemente sovvenzionate e i costi di ordine ambientale non sono inclusi nel prezzo pagato dal consumatore bensì coperti dal bilancio pubblico: alle fonti rinnovabili viene così attribuito un enorme svantaggio competitivo. Il PRI deve sostenere pertanto la piena inclusione dei costi ambientali anche attraverso l'uso della leva fiscale, e la rimozione di tutti gli incentivi perversi e i disincentivi ai comportamenti ecologici.

Si tratta di una sfida complessa con tempi necessariamente lunghi durante i quali il "Transatlantico" della nostra economia di mercato, senza doversi fermare, deve realizzare una variazione di rotta e indirizzare la prua - oggi rivolta contro una barriera costituita dalla insostenibilità ambientale - in una direzione tale da garantire la continuità della navigazione anche per le generazioni future.

Gli egregi risultati del Pri ottenuti nella città di Trieste

Congresso del Pri, Roma, 31 marzo 2007

di Sergio Pacor

Cari amici, è con commozione che partecipo a questo congresso, in quanto l'attenzione che la platea ieri ci ha riservato, la platea degli ospiti, significa che il lavoro che la Segreteria ha compiuto per riportare il partito all'attenzione politica nazionale non è andato perduto.

Finalmente siamo rientrati tra gli interlocutori di un di-scorso politico, pur essendo sempre stati come programma, come storia, come iniziativa, all'attenzione delle élites culturali: oggi siamo di nuovo una forza politica che suscita l'attenzione degli alleati e degli avversari.

Con le nostre tematiche, quelle che abbiamo seguito negli antichi anni, sia quella che ci ha visto unici protagonisti dell'intero arco politico italiano a votare contro la estradizione di Abbas, e che ci ha visto sfortunati protagonisti del 20% che acquisimmo nel referendum sul nucleare del 1998. Questi sono i temi che dobbiamo riprendere, e bene ha fatto il segretario nazionale a fare riferimento a questi obiettivi per indicare la collocazione politica del Partito.

Specialmente quello del rapporto leale con Israele, avamposto culturale occidentale in un mondo islamico che purtroppo ha dimostrato ai tempi nostri una forza di contestazione e di infiltrazione che ci deve far stare attenti, che ci deve rendere vigili – anche se non in modo totalmente acritico - verso un mondo che è la negazione dei principi di occidente e di modernità. Altro punto che il Segretario ha sottolineato - e per cui la Federazione del Friuli Venezia Giulia è d'accordo - è quello del rapporto privilegiato col mondo occidentale e con la politica - anche questa da assumere in modo non acritico - del nostro alleato preferenziale, gli Stati Uniti d'America e dunque i rapporti che vengono intessuti all'interno dell'Europa.

A Trieste, con una politica repubblicana di avanguardia, abbiamo ottenuto un risultato che non posso non dire straordinario - da me imprevisto, dato che sono certe volte un pessimista – per il quale siamo tornati in Consiglio Comunale, abbiamo conquistato la Presidenza del Consiglio, e in pochi anni abbiamo quadruplicato gli iscritti, aumentato le sezioni e ripreso una presenza sul territorio che ci riporta all'attenzione della politica, anche regionale.

Stiamo facendo le liste per alcune città importanti capoluogo di provincia, Gorizia su tutte, dove abbiamo ricostituito anche la sezione, e speriamo di essere presenti in questa realtà regionale con la caratura, l'importanza e le linee politiche che la Segreteria nazionale ci ha indicato.

Un'altra osservazione, per quanto riguarda gli schieramenti. E' giusto dire "non diamo nulla per scontato, siamo un partito di frontiera, stiamo male sia da una parte che dall'altra", perché le linee politiche e la storia nostra, i nostri modi di approccio ai problemi ci paiono cosi diversi da quelli di tutti gli altri, sia di qua sia di là: per cui costituiamo un unicum, mi pare, nello schieramento politico italiano, che mal si colloca - ripeto - e da una parte e dall'altra.

Mi pare però che l'esperienza del Governo Berlusconi, la possibilità che abbiamo avuto di esprimere sia con il Ministro La Malfa che con il Vice Ministro Nucara una presenza insperata e importante, indichi allo stato la praticabilità migliore di quello schieramento; e quindi, ripeto, senza svenderci, senza sottoscrivere cambiali in bianco, mi pare che quella esperienza possa essere proseguita.

Dicevo ancora che la politica italiana, con due grandi schieramenti al 50% circa che si fronteggiano, dando forza a composizioni di politica marginale ricattatoria, ci indica che occorrerà cambiare i modi dell'approccio politico.

Non si può governare un paese con 50% in maggioranza e 50% in opposizione. Esistono forze valide che possono trovare una sintesi in prospettiva. Ma finché però la situazione si connota come quella attuale, occorrerà trovare dei nuovi modi di approccio politico, che permettano sintesi forse avveniristiche, ma i repubblicani hanno sempre saputo anticipare i tempi e indicare prospettive diverse.

Al momento occorre operare con la materia che c'è, con le nostre posizioni di sempre, con la nostra serietà e puntualità, e con un impegno che questa Segreteria politica nazionale ha dimostrato e che va certamente confermato.

Un grazie particolare poi agli amici La Malfa in particolare e Del Pennino, che con la loro presenza a Trieste hanno aiutato moltissimo e determinato il successo di cui vi ho detto.

Speriamo di ripeterlo a Gorizia, e speriamo che sia Giorgio La Malfa che altri amici possano venire a darci quella forza e quelle indicazioni di continuità che sono la condizione per futuri successi.

Non solo un simbolo ma anche un laboratorio di idee

Messaggio inviato al Congresso del Pri

di Fulvio Giulio Visigalli

Care amiche e cari amici del Partito Repubblicano, purtroppo non sono presente in mezzo a tutti voi durante le giornate del Congresso. Un imprevisto mi costringe a seguire il Congresso attraverso le telefonate degli amici ma tuttavia mi sento vicino, sempre più vicino a tutti a voi. Ora non vi parlerò di economia. Dopo tutto, penso di averne già scritto abbastanza durante gli ultimi due anni tramite le pagine della "Voce Repubblicana". Non vi illustrerò neppure i programmi e delle speranze dei giovani repubblicani: ci penserà il nostro segretario Giovanni Postorino a farlo. Oggi, semplicemente, ho solo intenzione di affermare che il Partito Repubblicano Italiano non è solo un partito politico. Il PRI è un laboratorio di idee, una bottega artigiana in cui spesso operano maestri di vita che, senza presunzione, si adoprano affinché l'arte pura della politica possa essere appresa dalle nuove generazioni. Un autentico patrimonio per la crescita culturale ed umana dei giovani che si sentono motivati a lavorare per il Paese, e devono sempre essere motivati e incoraggiati dall'attuale classe dirigente del Partito. E' una grande famiglia la nostra: certo, ci sono elementi di discordanza, ci sono litigi, ci sono rotture ma ci sono anche i grandi abbracci fraterni che saranno l'elemento caratterizzante di questo nuovo incontro tra tutti i Repubblicani Italiani. La politica nazionale è una cosa seria. E' una faccenda da prendere sul serio. E oggi, il PRI, deve essere in grado di passare dalla fase della sopravvivenza politica, alla fase della rappresentatività del voto. E in questo senso le nuove attività intraprese dal Segretario On. Nucara non possono che essere un fatto concreto da apprezzare. E per far questo occorre acume, intelligenza politica, una buona dose di pragmatismo e un sano realismo. Il caro Giovanni Spadolini, durante il suo intervento al 36° Congresso a Firenze, ovvero proprio vent'anni fa esatti (era il mese di aprile del 1987) , disse che " la politica è una forma di azione culturale e civile, e siccome non c'è cultura senza messaggio civile, non c'è politica senza messaggio culturale e civile". Il messaggio è chiaro anche oggi: il Partito esiste perché ha sempre avuto qualcosa da dire. E soprattutto perché è sempre stato capace di farsi capire. Ma oggi, ricordiamolo ancora, abbiamo bisogno di crescere e necessitiamo urgentemente di nuova linfa. Io sono ottimista. E, comunque vada, sono sicuro che gli anni dell'oblio stiano finendo. Un caro saluto a tutti.

Il buon lavoro di Nucara in un periodo difficile

Congresso del Pri, Roma, 31 marzo 2007

di Achille Ragazzoni

Porto i saluti a questa assemblea, del nostro Presidente della Provincia di Bolzano, del Partito Repubblicano, di Rolando Boesso che, per motivi professionali, non ha potuto partecipare a questo congresso ma è sempre stato l'alfiere del repubblicanesimo in Alto Adige. Un cordiale saluto.

Sarò molto breve. Per quanto riguarda la relazione del nostro Segretario, ritengo che verso la fine si sia un po' troppo cosparso il capo di cenere. Ho sbagliato, ho fatto gli errori, siamo tutti esseri umani, gli errori li facciamo tutti e chi lavora è più soggetto a commettere errori di chi non fa niente, però ritengo che Nucara in questi ultimi anni, dall'ultimo congresso di Fiuggi, abbia condotto il partito piuttosto bene. Errori ne ha fatti, un errore che mi permetto di segnalare amichevolmente è quello di non aver mandato il partito a partecipare alla grande manifestazione della Casa delle Libertà che ha avuto un fortissimo effetto mediatico, avrebbe potuto far vedere a tutta l'Italia il simbolo del nostro partito, perché sono tanti i giovani purtroppo che non legano più l'edera, il nostro glorioso simbolo dell'edera, all'idea repubblicana. Dobbiamo farci conoscere perché il nostro partito merita di essere conosciuto soprattutto dalle giovani generazioni. Avrà fatto altri errori, ma non deve Nucara cospargersi il capo di cenere, perché tutto sommato la sua conduzione del partito non mi sembra così malvagia.

Ha dovuto lavorare in una difficilissima situazione e ha fatto il meglio che ha potuto, per cui io lo ringrazio. Spero che venga confermato, perché ritengo che possa continuare ad operare sostanzialmente bene.

Dirò ciò che penso per quanto riguarda la nostra collocazione a livello nazionale. A livello locale Nucara lo ha già detto: lavorare con chi riteniamo che possa rappresentare le istanze per governare meglio il nostro Comune, la nostra Provincia, la nostra Regione. Per quanto riguarda la collocazione nazionale, noi di Bolzano siamo per rimanere assolutamente nel centrodesta e nella Casa delle Libertà dove abbiamo potuto operare.

Noi andiamo molto d'accordo a Bolzano con gli amici degli altri partiti della Casa delle Libertà e vogliamo continuare a stare lì e speriamo di stare lì anche a livello nazionale perché a noi, a Bolzano, i comunisti e i loro amici, e i loro eredi ancora sporchi dei calcinacci del muro di Berlino, non sono mai piaciuti.

Poi ci sono delle questioni: anche noi siamo in una zona di confine come pure l'amico Pacor; ci sono anche questioni patriottiche in mezzo, e purtroppo gli unici che hanno difeso l'italianità dell'Alto Adige, a parte i repubblicani che l'hanno sempre difesa, sono stati i partiti di centrodestra e noi ci troviamo bene con loro.

Per quanto riguarda la politica estera, dobbiamo stare assolutamente con l'occidente, con gli stati Uniti d'America, però, proprio perché noi siamo leali alleati, qualche critica dobbiamo anche farla.

Per esempio: mi riferisco all'Iraq, alla situazione irachena. Non possiamo essere così acritici, soprattutto per la gestione del dopoguerra iracheno. Nessuno rimpiange Saddam Hussein, ci mancherebbe che un repubblicano possa rimpiangere un dittatore - come ha detto molto bene ieri Nucara - però pensate cosa sarebbe successo in Italia, in Germania, se finita la guerra avessero eliminato dalla pubblica amministrazione tutti quanti, chi fossero, tanto o poco compromessi con il regime fascista o con il regime nazista. Saremmo precipitati nel caos, come lo è l'Iraq attualmente.

Quindi ritengo che si possa fare, si debba, non si possa non fare qualche critica alla gestione del dopoguerra in Iraq. Non penso che tutti i membri del partito Baath di Saddam Hussein fossero dei delinquenti, tutti dei criminali di guerra: bisognava lavorare con il materiale umano che c'era, usare chi non si era macchiato di crimini, e cercare di condurre piano piano l'Iraq verso la democrazia, perché la democrazia non arriva da un giorno all'altro, c'è bisogno di un lavoro di educazione, neanche noi in Italia siamo perfettamente democratici, eppure abbiamo avuto gli effetti della Rivoluzione Francese, gli effetti del Risorgimento, gli effetti di tanti anni di Repubblica. Però la democrazia perfetta non c'è neanche in Italia: pretendiamo forse che arrivi una democrazia perfetta in un paese che non ha avuto fenomeni come l'illuminismo, il romanticismo, e così via?

E chiudo qua il mio intervento.

Avevo portato due ordini del giorno che gradirei che l'assemblea approvasse, poi li lascio alla presidenza dell'assemblea.

Due brevissimi ordini del giorno che mi permetto di leggere.

Un ordine del giorno riguarda la questione Alto Atesina: è stato approvato un ordine del giorno simile anche al congresso di Fiuggi, ha avuto molta eco sulla stampa locale dell'Alto Adige e ha mostrato che il Partito Repubblicano si interessa della questione Alto Atesina, quindi vi leggo l'ordine del giorno:

"Il 45° congresso del Partito Repubblicano Italiano si unisce agli italiani dell'Alto Adige, auspicando la trasformazione dell'Autonomia Provinciale da Etnica in territoriale per una effettiva fratellanza tra i gruppi linguistici là residenti affinché tutti possano godere i vantaggi di tale autonomia". Spiego questo ordine del giorno che ho letto, perché purtroppo in Alto Adige, con la scusa di proteggere le minoranze, la vera minoranza siamo diventati noi italiani che abbiano meno diritti dei nostri concittadini di madre lingua tedesca.

Noi non siamo contro l'autonomia, vogliamo godere tutti quanti dei vantaggi di questa autonomia.

Questo è il primo ordine del giorno.

Il secondo ordine del giorno non riguarda una questione politica di grande attualità, noi sappiamo che quest'anno è l'anno bicentenario della nascita di Garibaldi. Noi proveniamo dal Risorgimento, la nostra tradizione è risorgimentale e ritengo giusto che il congresso esprima omaggio formale, ma sentito, alla memoria di Garibaldi.

E cosi l'ordine del giorno:

"Il 45° Congresso del Partito Repubblicano Italiano nell'anno bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi renda onore al generale della libertà al difensore dei popoli oppressi a colui che diede un contributo fondamentale al compimento dell'unità nazionale trasfondendo nell'azione il pensiero di Mazzini".

Spero che l'assemblea voglia approvare anche questo ordine del giorno, che peraltro è perfettamente in linea con la nostra tradizione.

I Repubblicani sono il partito più antico d'Italia, siamo nati nel 1895 unendo delle formazioni politiche preesistenti, tanti hanno cambiato nome, tanti devono vergognarsi del proprio passato, noi repubblicani non abbiamo mai cambiato nome e non abbiamo nulla di cui vergognarci nel passato prossimo e nel passato remoto.

Viva il Partito Repubblicano Italiano.