Intervento di Del Pennino al Senato sul conflitto d'interessi

Signor Presidente, colleghi senatori,

nell'affrontare la vexata quaestio del conflitto di interessi, la cui soluzione normativa giunge oggi al nostro esame, credo che dobbiamo fare tutti uno sforzo per liberarci da impostazioni pregiudiziali e da ogni spirito di parte, per ricercare un punto di equilibrio coerente con i princìpi costituzionali.

Certo, tutte le ipotesi e le proposte avanzate si basano su motivate considerazioni giuridiche e sul richiamo ad esperienze in atto in altri Paesi, ma, francamente mi è difficile non cogliere come prevalente, in alcune di esse, l'intenzione di fare di questo tema soprattutto uno strumento di battaglia politica.

Personalmente, mi sono avvicinato alla materia - lo dico con molta franchezza - sotto l'influenza di un illustre giurista, recentemente scomparso, che mi onorava della sua amicizia e con il quale ho avuto negli scorsi mesi varie occasioni di ragionare sui diversi aspetti del problema: il professor Vincenzo Caianiello. E ancora oggi, riflettendo sulle possibili soluzioni legislative, resto convinto che l'indicazione data da Caianiello nel parere pro veritate reso alla Presidenza della I Commissione della Camera resta la più equilibrata e la più rispondente ai nostri princìpi costituzionali.

Vorrei ricordare brevemente i punti essenziali di quella proposta per valutare poi se, e in che misura, il testo oggi al nostro esame rifletta tale impostazione e per sviluppare alcune considerazioni relative alle ipotesi alternative avanzate dai colleghi dell'opposizione.

Caianiello indicava cinque punti che avrebbero dovuto caratterizzare la normativa in materia di conflitti di interessi:

1. Il divieto per l'interessato di intromettersi nella gestione diretta dell'impresa (dovendo egli restare mero proprietario, senza assumere alcun compito di amministrazione);

2. La previsione di adeguate forme di pubblicità delle proprietà, della titolarità di beni e di aziende di chi assume cariche di Governo attraverso l'obbligo di rendere un'apposita dichiarazione;

3. La previsione di uno specifico controllo da parte dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato che registri gli effetti e le conseguenze delle scelte governative e sia volta a impedire ogni interferenza tra interesse pubblico e interesse privato;

4. La previsione di uno specifico controllo da parte dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni tale da assicurare la correttezza, la completezza e l'imparzialità dell'informazione. Questo controllo avrebbe dovuto esplicarsi dal basso verso l'alto per evitare forme ingiustificate di sostegno privilegiato al Governo;

5. L'eventuale rafforzamento dei poteri sanzionatori verso le imprese e di segnalazione informativa al Parlamento.

Cosa ritroviamo dei cinque punti indicati da Caianiello nel testo licenziato dalla 1a Commissione del Senato e oggi al nostro esame?

Forse non tutto, ma certo assai di più di quanto era previsto nell'articolato pervenutoci dall'altro ramo del Parlamento, su cui si erano incentrate non poche critiche del Presidente emerito della Corte costituzionale.

Viene confermato per il titolare di cariche di Governo il divieto - già contenuto nel testo della Camera - di esercitare compiti di gestione in società aventi fine di lucro o in attività di rilievo imprenditoriale (art. 2).

E' esteso, oltre che al titolare di cariche di Governo, anche al coniuge e ai suoi parenti entro il secondo grado l'obbligo di dichiarare all'Autorità garante della concorrenza i dati relativi alle loro attività patrimoniali, ivi comprese le partecipazioni azionarie. E' inoltre previsto che tali dichiarazioni siano rese anche all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni quando la situazione di incompatibilità riguardi i settori delle comunicazioni sonore e televisive, della multimedialità e dell'editoria, anche elettronica (art. 5).

E questo è un primo punto su cui il testo oggi al nostro esame corregge significativamente quello approvato dalla Camera.

E' stabilito, poi, all'articolo 6 - anche qui innovando rispetto alle previsioni contenute nell'articolato pervenutoci dall'altro ramo del Parlamento - che l'Autorità garante della concorrenza, previa diffida, commini una sanzione pecuniaria, commisurata al vantaggio patrimoniale conseguito, all'impresa che ponga in essere comportamenti diretti a trarre vantaggio da atti adottati od omessi dal titolare di cariche di Governo in situazione di conflitto di interessi.

Viene poi introdotta, all'articolo 7, la previsione, che la Camera non aveva considerato, di un controllo da parte dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dal basso verso l'alto, per evitare ingiustificate forme di sostegno del Governo. Viene altresì stabilito che la stessa Autorità, previa diffida, commini all'impresa che ha sostenuto in modo privilegiato il Governo adeguate sanzioni, fra cui vi è anche la sospensione e addirittura la revoca della concessione a trasmettere, come ha rilevato oggi sul quotidiano "la Repubblica" il collega senatore Manzella, che, pur criticando il testo di legge, riconosce, che con il nuovo progetto cerca per la prima volta di portare il discorso sul piano delle garanzie oggettive proprie di uno Stato di diritto.

Da questa sia pur sintetica analisi del testo al nostro esame appare che esso, in larga parte, recepisce le proposte del professor Caianiello. Ma vorrei aggiungere che, per altro verso, esso accoglie anche alcune delle considerazioni critiche che, nel corso dell'indagine conoscitiva sulle problematiche inerenti la disciplina per la risoluzione dei conflitti di interesse, il presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, professor Tesauro, aveva espresso rispetto all'articolato licenziato dalla Camera.

Ricordo, per brevità, solo la previsione in base alla quale l'atto che realizza il conflitto di interesse non è solo quello adottato dal titolare di cariche di Governo, ma anche quello omesso, se dovuto. Si è recepita, così, l'osservazione del professor Tesauro sul fatto che scelte in grado di favorire le imprese collegate ai titolari di cariche di Governo possono consistere anche nell'inerzia.

Signor Presidente, colleghi senatori, onorevole Ministro, non ho voluto con le considerazioni poc'anzi esposte affermare che questo sia il migliore dei provvedimenti possibili in materia di conflitti di interessi, né che esso non sia perfettibile. Ho voluto solo motivare la mia convinzione che l'impianto che lo regge è quello più aderente ai nostri princìpi costituzionali.

Quali sono, colleghi della sinistra le vostre proposte alternative? La cessione obbligatoria della proprietà? Il blind trust? Esse non mi appaiono, francamente, convincenti.

La cessione imposta per legge rappresenta una soluzione che contrasta con i princìpi costituzionali: non si tratta di una vendita effettuata in condizioni di libero mercato - quel libero mercato cui anche voi tributate continuo omaggio! -, bensì di una cessione che pone l'alienante in una posizione di assoluta debolezza rispetto all'acquirente, alterando così la parità di condizioni garantita dalla Costituzione.

Inoltre, l'obbligo di vendita non può rientrare nella previsione degli articoli 42 e 43 della Costituzione, perché non si tratta di espropriare un bene privato per fini di interesse generale, ma solo di trasferire la proprietà privata da un soggetto a un altro. E l'articolo 43 della Costituzione ammette solo l'espropriazione dell'impresa a favore dello Stato, di enti pubblici o di comunità di lavoratori o di utenti.

Il blind trust, poi, è un istituto che concerne esclusivamente beni aventi carattere di ricchezze mobiliari o che in ricchezze mobiliari possono essere agevolmente convertiti.

Una gestione cieca non è possibile nel caso di una specifica realtà imprenditoriale! La gestione di un'impresa di rilevanti dimensioni economiche è evidente anche al soggetto proprietario, pure in presenza di un blind trust, sicché egli può ben conoscerne condizioni e assetti contingenti.

Se queste considerazioni hanno - come credo - qualche fondamento, non mi sembra che insistere in una pregiudiziale battaglia di principio da parte dei colleghi dell'opposizione abbia fondamento.

Partendo dal testo propostoci dalla Commissione è possibile certamente, anche in questa fase del dibattito parlamentare, apportarvi correzioni e modifiche che meglio garantiscano la trasparenza dell'attività di Governo e superino ogni possibilità di insorgenza di conflitti di interesse. Scegliere la strada dello scontro frontale e la conseguente ipotesi di ricorso al referendum non risponde all'esigenza di ricercare una corretta soluzione del problema: corretta soluzione che non si raggiunge affatto attraverso lo stravolgimento dell'impianto del disegno di legge oggi al nostro esame.

Roma. 18 giugno 2002