Spadolini commemorato dal presidente della Camera/A 10 anni dalla scomparsa

Seppe richiamare i partiti al loro senso di responsabilità

Riproduciamo il testo del discorso di commemorazione di Giovanni Spadolini che il presidente della Camera Pier Ferdinando Casini ha pronunziato lo scorso mercoledì 4 agosto a Firenze nella sede del Consiglio Regionale Toscano.

di Pier Ferdinando Casini

Sono sinceramente lieto di avere l'opportunità di rendere questa testimonianza alla memoria di un grande italiano e di un grande amico quale fu Giovanni Spadolini, nel decimo anniversario della sua scomparsa.

Ringrazio per questo il presidente del Consiglio regionale della Toscana, Riccardo Nencini, e ringrazio altresì, nella persona del professor Cosimo Ceccuti, la Fondazione che porta il nome di Giovanni e dell'amatissima signora Lionella e che, insieme alla meritoria prosecuzione della pubblicazione della "Nuova Antologia", perpetua il patrimonio ideale e documentario di Spadolini.

E' un ringraziamento che rivolgo a loro ed a tutti gli intervenuti alla cerimonia odierna non senza una punta di commozione, al pensiero di trovarci così vicino a quella che fu la dimora fiorentina di Giovanni Spadolini.

Un pensiero che richiama istintivamente alla memoria la sua dimensione umana, tanto burbera quanto ingenua, talora severa talora scanzonata, sempre fervida ed appassionata: grande è il rimpianto che la sua scomparsa ha lasciato e lascia ancora nell'animo di noi tutti; così come vivo è il senso della mancanza per il suo spirito forte e libero che avvertono tuttora coloro che gli sono stati vicini ed hanno avuto il privilegio della sua amicizia.

Grande storico, giornalista brillante, statista integerrimo: Giovanni Spadolini ha saputo raggiungere in ognuno dei campi in cui si è cimentato le vette più ambite. Nella vita accademica, fu il primo professore ad insegnare storia contemporanea nelle università italiane, a soli 25 anni. In quella giornalistica, oltre al "Resto del Carlino" diresse il principale quotidiano italiano, il "Corriere della Sera", richiamandosi costantemente alla lezione di rigore del suo fondatore, Luigi Albertini. Nella vita politica, fu il primo Presidente del Consiglio non democristiano dai tempi di Ferruccio Parri e fu quindi Presidente del Senato per due legislature.

Le tappe della sua biografia testimoniano naturalmente il prevalere ora dell'una ora dell'altra attività: ma in ciascuna di esse egli seppe portare una comune ispirazione etica e politica, sorretta da una inesauribile passione civile e da una vera e propria religione del dovere.

Del resto, Giovanni Spadolini è stato il protagonista di una fase della vita italiana del secondo dopoguerra in cui politica e cultura si sono trovate sovente fuse in un legame assai stretto, in cui l'una alimentava l'altra e viceversa. Da uomo di cultura, egli seppe sottrarsi alla tentazione, sempre ricorrente tra gli intellettuali italiani, di rinchiudersi in un atteggiamento di sterile autosufficienza. Da uomo politico, non si lasciò irretire dal piccolo cabotaggio e si misurò soprattutto con le grandi prospettive del futuro.

L'attività di giornalista lo aveva richiamato al confronto con la società civile ed alla valorizzazione dell'opinione pubblica come fattore determinante delle scelte più impegnative del Paese. Da giovanissimo collaboratore del Messaggero con Mario Missiroli e del Mondo con Mario Pannunzio, trovò nella carta stampata la tribuna ideale per riproporre il problema della formazione della classe dirigente italiana, alla luce dell'esperienza storica. Da direttore, alimentò un giornalismo colto e riflessivo, non urlato, ma non per questo remissivo.

Parallelamente, la ricerca storica lo aveva condotto a tratteggiare l'itinerario di una classe politica ed intellettuale che aveva in comune il valore del Risorgimento, come fattore dell'inserzione del nostro Paese nell'età moderna e nel contesto europeo.Protagonista del suo mondo storico era l'Italia di minoranza, laica e civile, "l'Italia della ragione", in cui si erano sempre identificati tanti degli uomini che avevano contribuito a determinare il progresso politico, sociale, economico e culturale del nostro Paese.

Sull'esperienza giornalistica ed accademica si innestò quindi una lunga e brillante esperienza politica, che si intersecò felicemente - e direi quasi naturalmente - con un altrettanto prestigioso percorso istituzionale.

Eletto per la prima volta al Senato nel 1972 a Milano nelle liste del Partito repubblicano, la cui guida avrebbe ereditato da Ugo La Malfa, Spadolini fu dapprima Capogruppo e Presidente di Commissione parlamentare, quindi fondatore del Ministero per i beni culturali ed ambientali e Ministro della Pubblica istruzione.

Quando nel 1981 fu chiamato a presiedere il Consiglio dei Ministri, esauritasi la fase della solidarietà nazionale, il sistema politico era investito dallo scandalo della P2, l'inflazione correva nell'ordine delle due cifre e la minaccia terroristica incombeva in tutta la sua tragica virulenza.

In quel quadro tormentato, Spadolini apparve come l'homo novus, il cui rigore morale avrebbe potuto frenare la deriva del Paese, richiamando le forze politiche tutte al senso di responsabilità. Fu quella senza dubbio l'esperienza più straordinaria della sua vita. Vi si dedicò con entusiasmo, richiamandosi al monito di Gaetano Salvemini: trasformare le proteste in riforme.

L'immediato scioglimento della loggia massonica deviata, la sempre più intransigente lotta al terrorismo - che portò tra l'altro alla liberazione del generale Dozier - le misure di contenimento della spesa pubblica, il saldo ancoraggio all'Occidente furono tutti segnali di fiducia che il governo Spadolini riuscì ad imprimere nel Paese.

Ma anche dopo la conclusione della sua esperienza alla guida dell'Esecutivo, Giovanni Spadolini non mancò di assicurare il suo contributo alla difficile opera del governo del Paese, ricoprendo l'incarico di Ministro della difesa dopo le elezioni del 1983, in cui tra l'altro il Partito repubblicano raggiunse il suo massimo storico.

Oggi, a distanza di dieci anni dalla sua scomparsa, possiamo vedere con chiarezza la linea di continuità che unisce le tappe del suo percorso nella politica e nelle Istituzioni: al centro delle sue preoccupazioni fu e rimase sempre la questione nazionale.

Lo conferma, quasi all'estremo della sua vita, uno dei suoi ultimi bloc-notes, apparso nel dicembre del 1993 sulla Stampa di Torino, in cui si avverte l'angoscia per la crisi politico-istituzionale, senza tuttavia che la speranza venga soffocata dall'amarezza: "La nostra" - sono le parole di Spadolini – "è la storia di una nazione che si è fatta gradualmente e in un processo che appare miracoloso, ma che in realtà è stato faticoso, pieno di sacrifici, in qualche parte deludente. Tutto è stato pagato a caro prezzo. La nostra fiducia è che, ancora una volta, sapremo superare le difficoltà e, nel travaglio incessante e ineliminabile di una storia difficile, crescere e diventare adulti".

In queste parole c'è il senso della storia, a cui non sempre la politica presta la debita attenzione. C'è il senso della continuità dell'identità nazionale - costruita sulla forza della lingua e della cultura - che aveva anticipato e sorretto la formazione dello Stato unitario. C'è la consapevolezza dell'insegnamento ricevuto dai grandi statisti della storia d'Italia, che furono costante punto di riferimento per la sua parabola politica ed esistenziale.

Giovanni Giolitti, in primo luogo, con la sua aspirazione ad inserire nella compagine nazionale le masse popolari cattoliche e socialiste che ne erano rimaste ai margini e con la sua cultura di governo antiretorica e nutrita di realismo.

Ma anche Alcide De Gasperi, cui Spadolini ascrisse il merito principale della ricostruzione post-bellica e della collocazione europea ed atlantica dell'Italia, ravvisando nell'esperienza del primo Presidente del Consiglio democratico cristiano la definitiva saldatura con la nazione del movimento cattolico ed il riconoscimento della sua capacità di governare il Paese senza suggestioni confessionali.

E ancora Aldo Moro ed Ugo La Malfa, pure diversissimi tra loro: dal primo, Spadolini trasse la lezione della ricerca del consenso e dei terreni che uniscono; dal secondo, l'intransigenza sui grandi princîpi ideali, che si riflette sul piano della responsabilit? della classe politica; da entrambi, infine, il senso della politica come missione.

Furono questi i grandi riferimenti ideali che ne alimentarono la straordinaria capacità di essere uomo di parte e, insieme, uomo delle istituzioni.

Egli era consapevole che i partiti avevano innervato la democrazia in Italia nel secondo dopoguerra, mentre era stata la loro debolezza ad avere precedentemente aperto la strada al fascismo. Credeva dunque nei partiti, così come nella possibilità che essi potessero autorigenerarsi, a condizione che si mantenessero fedeli al loro ruolo di interpreti insostituibili delle istanze dei cittadini ed evitassero di rinchiudersi nelle dinamiche sterili interne ai gruppi dirigenti o alle correnti. E tuttavia non mancò mai di custodire sempre gelosamente – da Palazzo Chigi come da Palazzo Madama – l'autonomia delle Istituzioni rispetto alle derive della partitocrazia e del pragmatismo senza ideali, battendosi sino alla fine dei suoi giorni per una democrazia concepita come "casa di vetro".

E' questo il lascito politico e culturale che lega oggi il Paese a Giovanni Spadolini in un vincolo di riconoscenza che non sarà facile estinguere e che affida a chi ha deciso di dedicarsi alla vita pubblica un patrimonio prezioso di valori che debbono essere non solo preservati, ma praticati quotidianamente nella difficile ricerca del bene del Paese.

Sono i valori del dialogo, che egli seppe praticare superando gli steccati fra laici e cattolici che la storia aveva eretto, in uno spirito di reciproca e positiva comprensione; della ricerca della mediazione, che talora gli fu semplicisticamente rimproverata come vocazione al compromesso nel nome di una concezione sciocca e vuota della politica, che non sa riconoscere nella dura pratica del compromesso - quando si misura con le idee e con i valori - una delle forme alte dell'esercizio della politica; i valori del primato delle funzioni istituzionali, da esercitare nel rispetto delle diverse posizioni politiche, ma nell'intento di servire prima di tutto la Repubblica.

Sono valori di cui ho sempre apprezzato il significato nella quotidianità dell'impegno pubblico. Ma ancora di più ne apprezzo la forza da Presidente della Camera dei deputati, nel ricordo dello stile istituzionale con cui Giovanni Spadolini, leader del più antico partito politico italiano, seppe presiedere il Senato nella X e nella XI legislatura

Proprio da Presidente del Senato egli visse purtroppo con crescente ansia la crisi politico-istituzionale dei primi anni Novanta, sino alla profonda delusione che causò in lui la mancata rielezione in quella stessa carica. Tutti ricordiamo la tensione di quel giorno, in cui un solo voto fu decisivo. A dieci anni di distanza, chi gli fu vicino avverte ancora il peso dell'amarezza che egli dovette subire per non aver potuto continuare, come avrebbe voluto, a stemperare il clima politico ed a favorire il dialogo da un luogo istituzionale di tanta autorevolezza, indipendentemente dal fatale decorso della sua malattia.

A Giovanni Spadolini - il cui nome avevo imparato a leggere da ragazzo a Bologna sulle colonne del "Resto del Carlino" - mi ha legato una sincera stima ed amicizia personale. La nostra conoscenza aveva avuto come sfondo la terra di Romagna, l'antica roccaforte repubblicana che gli riservava autentici bagni di folla, e per me, in particolare, la mia militanza nella Democrazia Cristiana e l'esperienza di Vicepresidente della Commissione di inchiesta sul terrorismo e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi.

La mia prima elezione alla Camera, proprio in quella circoscrizione, coincise con il suo successo elettorale del 1983. Forse furono proprio le comuni esperienze bolognesi e la frequentazione romagnola a far sì che Spadolini mi abbia con generosità considerato benevolmente. Questa disposizione favorevole, che ancora mi accompagna idealmente, è per me un riferimento prezioso. Ma, insieme ad essa, sono rimasti vivi e forti in me i segni del suo rigore e della sua serietà nell'affrontare uomini e problemi e del rispetto di coloro che si facevano portatori di istanze che egli non condivideva.

Ho detto poc'anzi del debito di riconoscenza che il nostro Paese ha contratto con Giovanni Spadolini: io sono convinto che, per provare a ripagarlo, la sola cosa che dobbiamo fare è continuare ad amare l'Italia, rispettandone la storia, la cultura e la gente con quella stessa fiducia nell'avvenire in cui egli ha sempre creduto. E' un rispetto che oggi chiede a tutti un supplemento di impegno nel superare litigiosità e contrapposizioni esasperate e nel recuperare l'interesse del Paese come unico punto di riferimento per decidere del suo futuro.

In fondo, è questo il senso della "religione del dubbio", in cui Giovanni Spadolini intravedeva l'essenza stessa della laicità e che non significa certo astenersi dalle scelte. E' un'idea che esprime i limiti della condizione umana, ma anche la grandezza della sfida continua cui essa è chiamata: trovare la via per comporre le diversità, nella consapevolezza che la strada è spesso stretta e difficile, ma che il confronto aperto, sereno ed equilibrato resta sempre il modo più efficace per percorrerla fino in fondo.

In un'epoca di falsi miti e di millantate certezze, non si tratta di cosa da poco: vi è racchiusa la ragione ultima dell'impegno civile in cui Spadolini ha creduto e per cui ha vissuto e che ha contribuito a rendere migliore l'Italia e più liberi gli italiani.

E' un impegno al quale debbono guardare con attenzione e con rispetto coloro i quali ritengono di poter liquidare la cosiddetta "Prima Repubblica" in un giudizio sprezzante, tutto al negativo e senza appello. La figura e l'opera di Giovanni Spadolini - la loro vitalità, la loro inestimabile ricchezza - sono la risposta più chiara ed eloquente a questi commentatori improvvisati. Una risposta che evidenzia quanto quel giudizio sia superficiale ed ingeneroso e quanto il Paese abbia ancora un grande bisogno di uomini come lui per orientare con sicurezza verso il futuro il proprio cammino di democrazia e di libertà.