Qual è il significato dell'accanimento terapeutico nei casi estremi?/Il caso di Piergiorgio Welby ha riaperto drammatici interrogativi anche nel nostro Paese

Testamento biologico in nome della dignità umana

Il progresso medico e tecnologico dell'ultimo secolo ha reso possibile un miglioramento della qualità della vita ed un notevole incremento della sua stessa durata: le aspettative, anche di una persona malata, sono indubbiamente migliori oggi che in qualsiasi altro periodo della storia. Vi sono situazioni però in cui la medicina non può nulla, se non limitarsi a mantenere in vita ciò che per certi versi vita non è più.

Sono i casi di persone la cui malattia sia giunta ad uno stadio terminale, malati in stato di incoscienza permanente da cui non possono essere risvegliati, o costretti a vivere tra atroci ed insopportabili sofferenze, preludio di inevitabile morte. Come comportarsi in questi drammatici casi? La medicina ben potrebbe intervenire e prolungare ciò che sta inevitabilmente giungendo a compimento. Ma quale significato dare ad un simile intervento che umilia la stessa dignità umana?

In queste ore, a scuotere le coscienze di ognuno di noi costringendoci ad affrontare argomenti tristi ed amari è stato Piergiorgio Welby, il quale rivolgendosi al Presidente della Repubblica è come se avesse rivolto un appello a tutti noi.

È giusto sottoporre una persona ad accanimento terapeutico? Intervenire, in maniera del tutto vana, per prolungare un'esistenza fino a svilirne lo stesso significato e la stessa dignità? Che senso ha la vita spogliata della sua dignità, in cui è umiliato il suo momento più tragico e sublime?

Ci siamo più volte interrogati su queste tematiche e continuiamo a farlo, convinti che qualsiasi risposta che, da un punto di vista morale, etico o religioso, possiamo o vogliamo darci, è sempre contraddittoria e piena di dubbi.

Proprio questa consapevolezza sta alla base della necessità di un intervento legislativo che consenta ad ognuno di scegliere cosa fare, secondo la propria coscienza, o il proprio credo.

Può prospettarsi una soluzione intervenendo sugli aspetti legati alle terapie (e quando queste si tramutano in vero accanimento) attraverso uno strumento in grado far manifestare con certezza la volontà del paziente. Uno strumento in grado di fornire vere disposizioni sul trattamento cui essere sottoposti per l'eventualità e per il tempo nel quale le facoltà cognitive del malato fossero gravemente scemate o del tutto scomparse.

A questo risponde il testamento biologico, o testamento di vita, che ha validi sostegni nei principi della nostra Costituzione. Si tratta di una applicazione del principio sancito nell'articolo 32, relativo all'autodeterminazione nel campo delle cure mediche: fondamento inderogabile nel trattamento delle malattie. Si tratta, in particolare, del diritto riconosciuto ad ognuno di essere protagonista delle scelte riguardanti la propria salute, sia nel senso di accettare, sia nel senso di rifiutare l'intervento medico. Con il testamento biologico, il principio di autodeterminazione sarebbe garantito anche nelle situazioni più difficili ed amare, quando la dignità della vita deve essere maggiormente tutelata e difesa attraverso una dignitosa morte.

In Senato sono presenti diversi disegni di legge sull'argomento, tra cui in particolare uno a firma Del Pennino (co-firmatario il sen. Biondi), presentato nel luglio scorso. Tale disegno di legge era già stato presentato (a firma Ripamonti – Del Pennino) nella passata legislatura, nel corso della quale la Commissione Igiene e Sanità, a conclusione dei suoi lavori, aveva approvato un testo unificato che non appare soddisfacente. Peraltro la convergenza sostanziale che si era verificata nel corso del dibattito aveva evidenziato come il problema sia ormai sentito da un arco vastissimo di forze politiche.

Ovviamente, ci rendiamo conto che il dibattito su questi temi è sempre difficile, e nelle aule parlamentari, con molta probabilità, assisteremo ad uno scontro duro. Ma la risposta legislativa non può mancare e deve essere quanto più chiara e soddisfacente. Occorre, nel pieno e dovuto rispetto delle opinioni di ognuno, colmare al più presto un vuoto normativo, dotando il nostro ordinamento di un istituto che, in ossequio al diritto all'informazione e all'autodeterminazione di ogni individuo in ambito medico, consenta di disporre di se stessi in ogni momento della propria esistenza. Un istituto che consenta di disporre del trattamento medico cui essere sottoposti nel caso in cui si versi in condizioni tali da non poter scegliere: lungi dall'umiliare la vita disponendo la morte del corpo, se ne esalta la dignità, che è libertà della propria coscienza e del proprio volere, anche nel momento in cui la coscienza e la volontà sono già scomparse.

Giovanni Postorino