Nucara a S. Pietro in Campiano

Una condotta "giusta" non può prescindere dalla "giustezza" dei valori

Questo è l'intervento che il segretario del Pri Francesco Nucara ha tenuto domenica scorsa ai repubblicani di S. Pietro in Campiano.

Sono qui, come ormai da diversi anni, per festeggiare l'amico Bruno De Modena. Voglio però, proprio in onore di Bruno, uscire dall'usuale retorica sull'amicizia e comunicare a lui e ai suoi e miei amici un pensiero libero sulla politica e su cosa può significare il valore aggiunto dell'amicizia in politica, perché con Bruno di questo si tratta.

Cito uno scrittore che non amo molto. Secondo Alberoni, che a sua volta cita Confucio, ci sono cinque relazioni interpersonali riconducibili alla definizione di amicizia.

In quattro casi i rapporti sono gerarchici o familiari, nel quinto caso sono rapporti di parità.

Per stabilire questi rapporti bisogna che si distingua il giusto dall'errato, non come semplice comunicazione di opinioni, bensì come costante impegno etico.

È uscito in libreria, solo da qualche giorno, il "Manuale di Epitteto".

Chi era Epitteto? Un filosofo stoico vissuto nel primo secolo dell'era cristiana, che aveva influenzato molto Adriano, l'imperatore che con grande anticipo aveva preconizzato la decadenza dell'impero romano.

Il terreno della politica è per elezione il campo in cui l'uomo, essere raziocinante, può al meglio esercitare la ricerca della giustezza, all'interno della ricerca che egli continuamente deve fare su se stesso per il suo operato.

Secondo Epitteto gli uomini non devono stancarsi mai di esercitarsi sulla ricerca della linea discriminale tra "coscienza" delle proprie possibilità e certezze, e "incoscienza" delle stesse.

Intendendo per "coscienza" l'instancabile attenzione a ciò che è alla nostra portata e di nostro imprescindibile dominio e, di contro, per "incoscienza", l'ignoranza di quanto sopra.

Se cerchiamo di realizzare obiettivi che non dipendono da noi ma da altri o da circostanze non condizionabili dalla nostra volontà o dalla nostra possibilità di intervento, ci allontaniamo sempre di più dalla "giustezza" del nostro agire.

Da buoni laici non possiamo che fare nostra l'affermazione che bisogna praticare con esercizio costante la distinzione tra "ciò che dipende da noi e ciò che non dipende da noi".

Spesso accade nella vita, e soprattutto nella vita politica, di attaccarsi a ciò che non è dipeso da noi, non riuscendo a capire "che le cose a cui ci leghiamo sono doni provvisori".

Ora, cari amici, mi sorge il dubbio che il Pri non sia stato fondato nel 1895, se già nel primo secolo dell'era cristiana si conoscevano, paradossalmente, mi sia concesso, gli accadimenti che hanno contraddistinto la vita del nostro partito in questi ultimi anni.

Accadimenti che peraltro sono il leit motiv dell'intera classe dirigente di questo paese.

I repubblicani da sempre si considerano diversi e diversi ci ostiniamo a dire che lo sono.

Bisognerebbe capire se si può ancora sperare che la loro "diversità" possa ricondurli ancora a fare generosamente e dignitosamente parte di una "specie" politica, affrancandoli una buona volta dall'appartenenza, invece, alla odierna "fauna" politica.

Io credo che nella politica, come nell'amicizia, bisogna essere disposti più a dare che a ricevere.

E invece la realtà è esattamente il contrario.

Finché potrò riterrò sempre mio dovere combattere contro questa realtà.

Se impariamo quindi a perseguire la "giustezza" dei nostri giudizi di valore, la nostra condotta sarà anch'essa "giusta".

Roma, 11 settembre 2006