Procreazione medicalmente assistita/Intervento di Del Pennino Riproduciamo ampi passi dell'intervento del senatore Antonio Del Pennino su "Norme di procreazione medicalmente assistita" nella seduta pomeridiana del 1° ottobre 2003. Del Pennino è relatore di minoranza. Signor Presidente, sono stato a lungo incerto sull'opportunità di svolgere questa replica o di presentarmi in Aula con un tampone in bocca, a significare l'inutilità di sviluppare qualsiasi ragionamento di fronte alla decisione, adottata dalla maggioranza della Conferenza dei Capigruppo, di relegare il dibattito sul disegno di legge sulla procreazione medicalmente assistita in sedute marginali, prevalentemente svolte in ore notturne, durante le quali minima, per non dire nulla - e non lo dico per rispetto ai presenti - era la presenza dei colleghi. La senatrice Baio Dossi nel suo intervento in discussione in generale ha affermato che il provvedimento su cui siamo chiamati a discutere e che dovremmo approvare chiede ai senatori un quid di sapienza in più. Condivido questo giudizio della collega, ma il quid di sapienza in più richiede a sua volta la possibilità di conoscere le ragioni che sostanziano le diverse posizioni. Potremmo richiamare Luigi Einaudi, "conoscere per deliberare". I tempi e i modi imposti dalla maggioranza dei Capigruppo a questo dibattito sono stati invece volti ad impedire ai senatori di conoscere i complessi aspetti del problema. Per il collega D'Onofrio, e per coloro che si sono piegati alla sua richiesta di strozzare i tempi, si dovevano forse creare le condizioni per porre i senatori sullo stesso piano delle tre scimmiette che non sentono, non vedono, non parlano, per evitare che in loro sorgessero dubbi o motivi di riflessione. Per fortuna, a queste tre si aggiunge una quarta scimmietta che fa gli scongiuri sperando nello scrutinio segreto. E per fortuna, c'è stato un intervento dell'onorevole Fini che questa mattina, sconfessando i teorici del ne varietur, primo fra tutti il sottosegretario Cursi, ha ribadito l'opportunità di rivedere almeno la norma che prevede il divieto di revoca del consenso da parte della donna dopo la fecondazione dell'ovulo nei casi di malformazione dell'embrione e che quindi sembra indicare la volontà del leader di Alleanza Nazionale di non ritenere inutile uno sforzo ulteriore di approfondimento di questo disegno di legge. Per questo ed anche di fronte alle dichiarazioni del ministro Prestigiacomo, che ha sottolineato opportunamente la necessità di rivedere non solo il divieto di revoca del consenso, ma anche la norma relativa all'obbligo di produrre non più di tre embrioni destinati ad un unico e contemporaneo impianto, ho ritenuto di vincere quell'incertezza che avevo inizialmente e di utilizzare i tempi consentitimi dal Regolamento per la replica, per ribadire le ragioni che sostanziano la richiesta di una modifica del testo al nostro esame e per confutare alcune affermazioni, francamente improprie, fatte, nel corso del dibattito, dai sostenitori di questo testo di legge. Partirò da alcune affermazioni addotte contro l'ipotesi di consentire la fecondazione eterologa, dal momento che su questo punto non mi ero intrattenuto né nella relazione, né nell'illustrazione della questione sospensiva. Secondo il collega Tredese, apprezzato relatore di maggioranza, in Italia, "dopo la riforma del diritto di famiglia del 1975, l'unico bambino al quale non vengono garantiti i più elementari diritti sociali è quello nato con le tecniche di riproduzione assistita. - Lo testimoniano, continua la relazione del collega Tredese,- diversi casi giudiziari di disconoscimento della paternità da parte di padri che avevano acconsentito all'inseminazione della moglie con seme di donatore." Questa considerazione è stata poi ripresa nel corso del dibattito anche dal collega Danzi, secondo il quale, nel caso di una coppia che ricorra alla procreazione eterologa, il padre può disconoscere la paternità in quanto il nascituro non è geneticamente riconducibile al suo patrimonio genetico. E questo, sempre secondo il collega Danzi, può costituire dal punto di vista psicologico un fatto traumatizzante, inaudibile, terribile e non augurabile a nessuno, soprattutto ad un bambino che si trovi a sentir dire che quello che ritiene essere il padre non è suo padre. Il collega Tredese e il collega Danzi sono autorevoli medici, ma - è un dato oggettivo - non sono giuristi. Non voglio quindi far loro colpa del fatto che ignorino la sentenza della Corte di Cassazione n. 2315 del 16 marzo 1999, che avevo già ricordato nella mia relazione introduttiva di minoranza. Quella sentenza ha affermato che "il marito, che abbia validamente concordato, o comunque manifestato il proprio preventivo consenso alla fecondazione eterologa, non ha azione per il disconoscimento della paternità del bambino nato in seguito a tale fecondazione". L'esistenza di tale sentenza non autorizza in alcun modo l'affermazione secondo la quale per i figli della fecondazione eterologa non vengono garantiti gli elementari diritti. Ma vi è di più: a rendere impossibile tale circostanza per il futuro sta, oltre la pronuncia della Cassazione poc'anzi richiamata, che potrebbe sempre essere in linea teorica rivista, proprio l'articolo 9 del disegno di legge al nostro esame, prevedendo che in caso di procreazione di tipo eterologo il coniuge o il convivente, il cui consenso è ricavabile dai concludenti, non può esercitare l'azione di disconoscimento della paternità nei casi previsti dall'articolo 235 del codice civile. Sempre con riferimento alla procreazione eterologa, il collega Tredese ha affermato che l'utilizzo di gameti di donatori può provocare la frammentazione delle figure parentali, con danni per il nascituro di natura parasociale. Tale affermazione è stata esplicitamente smentita, nel corso delle audizioni conoscitive svolte dalla Commissione Sanità di questo ramo del Parlamento, dalla Presidente del Tribunale dei Minori di Milano, dottoressa Livia Pomodoro, la quale ha asserito che non esiste, in base alla sua esperienza, per quanto riguarda i riflessi sul minore, differenza tra i casi di procreazione omologa e quelli di procreazione eterologa, perché tutto in realtà dipende solo dalla responsabilità genitoriale. (…) Altri colleghi hanno sollevato l'obiezione che, in caso di fecondazione eterologa, non si garantirebbe al concepito un'identità biologica, concretizzantesi nella conoscibilità del patrimonio genetico, e che tale mancata conoscenza potrebbe essere di nocumento in caso di cure da effettuarsi. In realtà, si tratta di un'affermazione del tutto teorica. Si dimentica, infatti, che la fecondazione eterologa è consentita in tutti gli altri Paesi europei dove le coppie interessate potranno andare. E mi sia consentita sul punto una digressione per ricordare al collega Pedrizzi, che purtroppo non vedo presente, che dovrebbe aggiornarsi per evitare affermazioni come quella che egli ha fatto, secondo la quale Francia, Germania e Svezia proibiscono l'inseminazione col seme del donatore; un'affermazione che non trova conferma in alcuna delle legislazioni di questi Paesi. Chiuso questo inciso sul riferimento improprio del collega Pedrizzi, e tornando al fatto che la fecondazione eterologa è consentita in tutti gli altri Paesi europei, nessuno potrà impedire alla coppia italiana, che disponga dei mezzi necessari e desideri effettuare un trattamento di concepimento assistito di tipo eterologo, di rivolgersi all'estero. Questo determinerebbe proprio il rischio che si vorrebbe scongiurare vietando l'eterologa in Italia; anzi, è destinato ad aumentarlo. Infatti, nel caso in cui la coppia si rivolga all'estero, qualora insorga poi la necessità di conoscere i dati sanitari del donatore, e a patto che la legislazione di quello Stato lo consenta - anche questa è infatti un'incognita che dobbiamo tenere presente - si dovrà ricorrere al giudice straniero per conoscere questi dati con una prevedibile maggiore spesa, con certe maggiori difficoltà ed esigenze di tempi assai più lunghi che potrebbero essere tali da compromettere l'intervento sanitario che si rendesse necessario. Ma vi è di più, a proposito di procreazione di tipo eterologo. Sempre il senatore Pedrizzi ha lamentato che il disegno di legge non faccia esplicita menzione alla soluzione dell'adottabilità degli embrioni già prodotti. La tesi dell'adottabilità degli embrioni è stata da taluni adombrata come una soluzione cui potrebbe ricorrere il decreto ministeriale per quanto riguarda gli embrioni attualmente crioconservati e non ancora utilizzati per l'impianto. A questo punto sorge in me, che sono esperto della materia, ma che un po' di buon senso ho, una domanda: com'è possibile trasformare l'embrione adottato da progetto di vita in essere umano se non attraverso il trasferimento ed il conseguente impianto nell'utero di una donna che non è certamente la madre biologica? Non si introdurrebbe in questo modo una forma di procreazione eterologa ancora più radicale di quella che si vuole vietare con questa legge, dal momento che nessuno dei due soggetti, che hanno concorso a dare vita all'embrione, risulterebbe poi essere genitore del nuovo nato? (…) Il leit motiv dei sostenitori di questo testo, peraltro, è la difesa dell'embrione. A questo argomento ricorrono per giustificare anche le due norme più assurde su cui si sono appuntate le critiche dell'onorevole Fini e della signora Ministro Prestigiacomo: quelle cioè relative al divieto di revoca del consenso da parte della donna dopo che è stato fecondato l'ovulo e di obbligo di produzione di non più di tre embrioni e del loro contemporaneo trasferimento in utero. Non voglio aprire alcuna discussione di principio sul problema dell'embrione. Non voglio negare i diritto del concepito, né la sua dignità di soggetto coinvolto. Mi limiterò sommessamente a ricordare soltanto che proprio negli scritti dei Padri della Chiesa, come Sant'Agostino e San Tommaso d'Aquino, o di grandi filosofi cattolici moderni, come Maritain¸ si afferma che l'anima può venire infusa da Dio nel corpo solo quando la materia è sufficientemente formata (quindi, non al momento del concepimento) e che nel 1591 Papa Gregorio XIV stabilì che l'anima dell'embrione si concretizza solo diciassette settimane dopo il concepimento, per cui non venivano scomunicate le donne che abortivano prima. Solo con il Concilio Vaticano I del 1869 Pio IX irrigidì la posizione del mondo cattolico sull'aborto, a difesa dell'intangibilità dell'embrione. Quel che comunque desidero sottolineare è che se anche si vuole, per motivi di fede, considerare l'embrione persona sin dalla fecondazione, sul piano scientifico esistono pareri assolutamente differenti, che ho già citato nella mia relazione. Per cui, non è un problema di affermazione di principio cui dobbiamo attestarci, ma di una valutazione di come i diritti dell'embrione debbano essere contemperati con gli altri diritti costituzionalmente garantiti. La senatrice Bianconi e il senatore Salini hanno richiamato la sentenza n. 35 del 1997 della Corte costituzionale, quasi contrapponendola a quella che io avevo citato nella relazione, cioè la n. 27 del 1975. Ebbene, sono andato a vedermi la sentenza citata, la quale afferma sì i diritti del concepito, ma ribadisce che il referendum, di cui si chiedeva la dichiarazione di ammissibilità, non è ammissibile, perché con la proposta che veniva avanzata si toccava in assoluto il diritto del concepito e non si toccava quella che invece era l'affermazione contenuta nella sentenza del 1975, che vieniva ribadita: "sulls necessità che la protezione della vita del concepito non entri in conflitto con le esigenze di salute o di vita della madre, nonché con il complesso delle disposizioni che attengono alla protezione della donna gestante". Quindi, anche se intendiamo, come intendono i colleghi, porre il tema della difesa dei diritti dell'embrione al centro di questo disegno di legge, vi è comunque un limite, rappresentato dal dover contemperare questa esigenza con altri diritti costituzionalmente garantiti. Colleghi della trasversale maggioranza, voi parlate di Far West cui devono essere poste delle regole, ma quando portate degli esempi o ricorrete a casi su cui siamo tutti d'accordo nel prevedere il divieto, come le forme di remunerazione per la cessione di gameti o di embrioni, le forme di intermediazione o commercializzazione finalizzate a tale cessione, la formazione di ibridi, la clonazione umana, o date dei numeri che contraddicono la logica stessa delle norme che sostenete. Come quando parlate di 80.000 e più embrioni congelati a rischio, che non si sa che fine faranno. A parte il fatto che il dato fornito ripetutamente negli interventi dei colleghi in quest'Aula è in contraddizione con quello risultante dall'indagine sull'attività di crioconservazione in Italia compiuta dall'Istituto superiore di sanità, che parla di 24.276 embrioni conservati, e quindi la cifra di 80.000 embrioni ha fini pressoché terroristici, perché non vi ponete realisticamente il problema del destino di questi embrioni? Ho già detto nella relazione introduttiva che non chiediamo la libertà di sperimentazione e ricerca sugli embrioni che saranno prodotti in futuro, ma sugli embrioni già esistenti, non vitali o non utilizzabili per l'impianto. Non è forse più umano, più logico, più rispettoso della stessa convinzione dei credenti autorizzare la ricerca anziché destinarli alla distruzione? Questa è anche l'indicazione che viene dai ricercatori dell'Università cattolica di Lovanio, in Belgio, che hanno preso posizione, in un documento pubblicato il 7 ottobre dello scorso anno, a favore della ricerca sulle cellule staminali embrionali, dichiarando che, se l'intangibilità dell'embrione umano costituisce un dovere etico, anche la ricerca per diminuire o debellare la sofferenza di tanti malati oggi incurabili rappresenta un dovere etico. E si sono pronunciati per la clonazione terapeutica. Che questi argomenti lascino indifferente il senatore Pedrizzi, che si richiama a de Maistre, a de Bonnald, non mi stupisce. Mi stupisce invece che lascino insensibili i colleghi che si richiamano alla tradizione cattolico-liberale, ai quali vorrei ricordare quello che ebbe ad affermare Alcide De Gasperi al Consiglio nazionale della Democrazia Cristiana del 2 agosto 1949: "Veniamo (…) da una esperienza storica (…) complessa e non sempre logicamente rettilinea. Certamente la concezione cristiana della vita politica conosce un de Maistre, un de Bonnald, un Veuillot, ma nella galleria dei nostri antenati veneriamo anche Lacordaire, Montalembert, Tocqueville. Alexis de Tocqueville nel suo "Ancien Regime et la révolution", scoprì il duplice senso della Rivoluzione francese, come del resto lo illustrò, precisando, Alessandro Manzoni, come lo sentirono i neoguelfi del Risorgimento, quando assieme ai liberali prepararono le nuove Costituzioni". Diceva inoltre De Gasperi: "La Chiesa vive e si evolve nella sua sostanziale permanenza al di sopra dei partiti e dei regimi politici che passano. Si muove su un altro piano. È assurdo immaginare ch'essa diriga un partito o assuma la responsabilità di una politica interna o internazionale. Questa responsabilità, in democrazia, appartiene al Parlamento coi suoi partiti e col suo Governo. Ma le decisioni responsabili vengono prese dalla coscienza personale di chi delibera e di chi governa". Mi auguro che, quando esamineremo gli emendamenti e gli articoli, decisioni responsabili vengano prese dalla coscienza personale di ogni collega. (Applausi dal Gruppo DS-U e dei senatori Boldi, Carella e Scalera. Congratulazioni). |