Un duplice errore

La Corte Costituzionale eviti di interferire con l'attività del Parlamento

di Giorgio La Malfa

Noi condividiamo largamente – o potremmo dire in pieno – le parole pronunciate ieri dal nuovo Presidente della Corte Costituzionale Onida a proposito della riforma costituzionale, sia le riserve che egli ha lasciato intuire sul merito, sia l'auspicio che la riforma del testo base della convivenza civile di una nazione sia il frutto di una larga condivisione delle opinioni. Del resto, non abbiamo avuto bisogno di attendere queste valutazioni per esprimere, nell'aula del Parlamento, la nostra preoccupazione per una riforma che non ci sembra sufficientemente meditata nei suoi contenuti e nelle sue implicazioni e per trarre da questa analisi la conseguenza di un voto difforme da quello della maggioranza politica alla quale apparteniamo.

Ma detto questo, non possiamo non dire che, nel pronunciare quelle parole, il Presidente della Corte Costituzionale ha commesso un errore molto grave, anzi un duplice errore che si avrebbe il diritto di sperare che il massimo esponente della sapienza costituzionale, e dunque istituzionale del Paese, non commettesse. Il primo errore è di interferire con le sue parole nell'attività di un organo costituzionale come il Parlamento. La Costituzione italiana – che noi lasceremmo esattamente come è oggi, anzi come era ieri prima delle modifiche apportate dal centro-sinistra al Titolo V nella precedente legislatura - può essere modificata con le procedure indicate nella stessa Costituzione all'art. 138, ivi compresa la garanzia del possibile ricorso al referendum. E dunque se il Parlamento la vuole cambiare, gli altri organi costituzionali hanno il dovere istituzionale di esprimere il pieno rispetto per questa facoltà. Ancora più cauti essi debbono essere nel ripetere l'affermazione che la Costituzione andrebbe cambiata con un vasto consenso, perché questa è un'istanza puramente e pienamente politica: dal punto di vista costituzionale – che è quello al quale non può che attenersi il Presidente della Corte – il requisito è quello giuridico del 138. Null'altro è richiesto, né può essere richiesto se non assumendo una veste politica che il guardiano della costituzionalità delle leggi è bene che non indossi. A questa considerazione si potrebbe aggiungere che, molti di quelli che criticano la ristrettezza della maggioranza con la quale si sta procedendo alla modificazione della Carta Costituzionale, tacquero quando con maggioranze ancora più esigue il centro-sinistra modificò il Titolo V. Né basta dire a questo proposito che allora fu commesso uno sbaglio. Come ho avuto occasione di dire altre volte, in politica gli sbagli costituiscono precedenti e mentre degli sbagli si può chiedere scusa o fingere di chiederla, dei precedenti non ci si libera altrettanto facilmente.

Il secondo errore commesso dal professor Onida consegue dal primo: il suo attacco rischia di rendere più difficile l'accoglimento da parte della maggioranza dei suggerimenti di moderazione che le provengono da più parti ed anche dal suo interno. Uno sconfinamento politico evidente, come quello di ieri, rischia di ricompattare le fila della maggioranza sulle posizioni più intransigenti e meno dialoganti. Si vuole veramente sfidare la maggioranza a modificare la Costituzione nei termini delineati alla Camera? Si pensa che così sarà forse più facile andare a un referendum che cancelli integralmente la riforma? O si pensa che il tema costituzionale possa offrire alla coalizione del centro-sinistra nella quale sono evidenti differenze abissali su tutti i temi, dalla politica estera a quella economica, almeno un argomento unificante in vista delle elezioni politiche del 2006?

Noi non pensiamo certo che il professor Onida abbia fatto le sue dichiarazioni per queste ragioni politiche, ma ci domandiamo se un giurista non debba pesare con la bilancia le sue parola anche in vista di queste circostanze.

Ci dispiace dovere muovere questi rilievi e lo facciamo ancora e più malvolentieri in quanto, come ho detto all'inizio, essi sono pienamente condivisibili nel loro merito. Ma ci sono pulpiti dai quali è semplicemente vietato predicare su certi argomenti. La presidenza della Corte è uno di questi.

Roma, 21 ottobre 2004