Giorgio La Malfa ha motivato con il seguente intervento l'astensione del Pri sul ddl di Riforma costituzionale Signor Presidente, è ovvio che quella di oggi è una delle sedute più importanti di questa legislatura, a conclusione di un complesso lavoro che ha visto una discussione molto elevata nei suoi toni. È quindi giusto che ci sia una riflessione molto profonda su quello che noi abbiamo fatto e sulle sue implicazioni. Devo dire che la mia parte politica, che ha sempre partecipato alla vita repubblicana dal dopoguerra, ha sempre guardato con grande preoccupazione e diffidenza al grande sforzo di riforma della Costituzione di cui si parla ormai da vent'anni. Il problema italiano, lo abbiamo sempre pensato, e io lo penso tuttora, non era e non è un problema costituzionale, ma è un problema politico. I difetti, le debolezze, della vita istituzionale del nostro paese hanno riflesso la sua storia nel corso del secolo XX. In fondo, la grande riforma costituzionale italiana è avvenuta con il congresso della Bolognina e con il congresso di Fiuggi, onorevoli colleghi, quando cioè è intervenuta la possibilità di immettere nel gioco democratico forze politiche che non erano precedentemente includibili nello stesso, in ragione delle loro ideologie o delle loro posizioni politiche, mantenute per larga parte del secolo XX. Questa considerazione, onorevoli colleghi, è tanto vera che, all'indomani di quegli eventi, del 1994 l'uno, del 1989-1990 l'altro, la vita politica italiana ha preso il corso del bipolarismo, dell'alternanza, di tutto quello che si riteneva, e tuttora si ritiene, di dovere determinare attraverso la riforma costituzionale. Non è affatto così. Anche se volessimo condividere l'affermazione che era necessario per il paese il cambiamento costituzionale, debbo dire che dal punto di vista, per esempio, delle sue condizioni economiche e sociali, è stato maggiore il progresso che ha fatto l'Italia sotto il vecchio sistema costituzionale di quello che sta facendo sotto il nuovo assetto politico istituzionale che si è venuto a determinare negli ultimi dieci anni. L'Italia ha scalato posizioni nella graduatoria dei grandi paesi industriali sotto quel sistema di instabilità che si vuole eliminare e le sta perdendo sotto il sistema bipolare che si è voluto testardamente, distruggendo le forze politiche, distruggendo i partiti politici e indebolendo il Parlamento. Questa è la mia convinzione, per cui devo dire, guardo con malinconia all'idea che noi modifichiamo 40 articoli della Costituzione del nostro paese alla ricerca di cose che il buonsenso politico, la saggezza politica hanno già determinato in anni lontani e potrebbero determinare domani mattina, se solo ne fossimo capaci. Ai colleghi del centrosinistra devo dire, senza alcuna polemica, che essi portano la responsabilità principale di questo stato di cose, che nel complesso non posso giudicare positivamente. Penso a quel voto, alla fine della scorsa legislatura, onorevoli colleghi, onorevole Violante, onorevole Fassino, quel voto alla fine della legislatura, sotto le elezioni, con una maggioranza ristretta. All'epoca io facevo parte del centro sinistra. L'onorevole Violante ricevette una lettera e anche l'onorevole Veltroni, e vi furono colloqui nei quali io li scongiurai di non creare un precedente di questo genere. E mi fu risposto che, quando una maggioranza ha i numeri, l'articolo 138 rappresenta sufficiente motivo per votare. Quindi, in politica non bisogna creare precedenti, perché smontare un precedente è molto più difficile che rinunziare ad un precedente. Ma questo non giustificherebbe, onorevoli colleghi, e non giustifica una riforma costituzionale che nel complesso non è soddisfacente. Dico ai colleghi che io ho votato con piena convinzione la riforma del Titolo V della Costituzione, che secondo il mio avviso è migliorativa. Non sono sicuro che una struttura regionalistica nel nostro paese farà funzionare meglio l'Italia, ma sono convinto che si possa esplorare questo terreno; e sono convinto che ci sia stata una elaborazione sufficiente tra quella del centrosinistra e quella che ha fatto l'attuale maggioranza per tentare un aggiustamento costituzionale. Ma non sono convinto, onorevoli colleghi (mi rivolgo ai miei colleghi della maggioranza), che l'elaborazione sia stata sufficiente sui poteri del Senato e su quelli della Camera, sul nuovo processo legislativo; non sono affatto convinto che stiamo scrivendo una buona riforma per quanto riguarda il premier! La riforma che noi abbiamo scritto sul premier - che voi avete scritto sul premier - è una riforma che, più che al futuro, guarda al passato, guarda alle vicende del 1994, alle decisioni del Presidente Scalfaro; non si può scrivere una Costituzione pensando ad ipotesi che probabilmente non sono più realistiche. In questa legislatura non c'è stato un ribaltone, non ci potrebbe essere, ci sono fenomeni politici. Ancora una volta non si può pensare di obbligare il mondo politico dentro il "corsetto istituzionale"; l'evoluzione politica è molto più importante delle leggi costituzionali, e l'evoluzione politica ha reso impossibile e renderebbe impossibile il ribaltamento delle coalizioni; la stabilità del Governo Berlusconi è quinquennale e, probabilmente, nella prossima legislatura ci sarà un Governo stabile. Trovo molto pericoloso scrivere norme sul premierato che indeboliscono troppo il Parlamento. È indispensabile: noi non possiamo sacrificare alla cosiddetta governabilità la molteplicità di voci, che, in una società democratica, esprime e deve continuare ad esprimere il Parlamento. Noi non possiamo rischiare di sacrificare il valore della partecipazione dei cittadini, che si esprime attraverso l'elezione di 600 deputati, attraverso un sistema nel quale ci sia la voce del capo dell'opposizione e la voce del capo della maggioranza. Ma negli Stati Uniti c'è la voce del capo della maggioranza, del capo dell'opposizione! Ma nel Senato il Presidente degli Stati Uniti conta come una voce, per così dire, e il Senato ha la libertà di bocciare le leggi proposte dal Governo, ha la libertà di fare le leggi che esso ritiene, e il Presidente degli Stati Uniti, al massimo, può ricorrere al diritto di veto. O si sceglie una dialettica con l'uomo scelto per guidare l'esecutivo dal popolo o si sceglie un Governo espresso dal Parlamento, con il Parlamento che mantiene il potere sostanziale di costituzione e di formazione dei Governi. Una forma come quella che è delineata nella Costituzione, che io spero possa essere modificata dal Senato, che fa coincidere la maggioranza parlamentare con il potere del Primo il ministro, scelto dai cittadini, è una forma che non potrà funzionare, perché mortificherà la vita democratica del nostro paese. Queste sono le ragioni, onorevoli colleghi, per le quali, al termine di questo dibattito, bilanciando le ragioni di favore di alcune parti della riforma con le preoccupazioni molto profonde che io sento per l'altra parte della riforma, io non potrò andare oltre un voto di astensione su questo provvedimento. E mi rendo conto che, avendo noi repubblicani scelto una alleanza con la Casa cosiddetta delle libertà, con l'attuale maggioranza, il fatto che su una legge costituzionale, che è uno dei fondamenti di un accordo politico, noi prendiamo le distanze deve dire qualche cosa al capo della coalizione, al Presidente del Consiglio e ai colleghi della maggioranza. È una rottura di cui io non sottovaluto l'importanza ed è la ragione per la quale la manifestiamo in un voto di astensione. Ma certamente noi avremmo preferito concentrare il nostro impegno e la nostra attività sul funzionamento politico del paese. Noi non crediamo - fatemelo dire alla fine di questo intervento - che le leggi possano sostituire la volontà politica, la capacità politica, la passione politica e gli ideali politici Questi ideali vi sono stati nell'Italia repubblicana del dopoguerra che, nonostante i difetti di quell'impianto costituzionale, è diventata un grande paese. Non sarà una riforma costituzionale ad assicurare il successo di ciò che gli uomini politici, nella loro capacità, nella loro passione e nei loro ideali non saprebbero fare da soli. È questa la ragione per la quale il nostro è più un invito alla passione politica che alla riforma istituzionale. Roma, 15 ottobre 2004 |