"Crescita in Europa: ci servirà un Consiglio" Il seguente articolo, firmato da Giorgio La Malfa, è stato pubblicato sul "Messaggero" del 20 novembre 2005. Caro direttore, ho letto con molto interesse l'editoriale di Luigi Paganetto, "Guai a toccare l'agenda di Lisbona", pubblicato sul Messaggero di venerdì. Anzi, posso dire che ha contribuito non poco a radicare in me la convinzione dell'estrema urgenza di porre, in sede europea, l'esigenza di dare vita a un vero e proprio Consiglio dei ministri della crescita. Una proposta articolata che investe Brixelles e i governi nazionali e che anticipo, con questo articolo, al suo giornale. Non prima di averla collocata all'interno di un ragionamento, per così dire, strutturale. "Se sarò confermato dal Senato farò tutto quanto è nelle mie possibilità, insieme ai colleghi, per continuare a garantire e assicurare la prosperità dell'economia americana". Sono state queste le prime parole di Ben Bernanke, al momento di accettare dal Presidente Bush la nomina alla guida della Federal Reserve, la banca centrale americana. La parola chiave in questa dichiarazione è "prosperità". Prosperità significa crescita. Negli Stati Uniti è assodato che la politica monetaria deve contribuire sia alla crescita, sia a contenere i pericoli di inflazione. In Europa la parola chiave è invece "stabilità" dei prezzi. La Banca Centrale Europea non ha altro mandato che questo, secondo il Trattato di Maastricht: scongiurare l'inflazione, garantire la stabilità monetaria. E fin qui questo si può comprendere ed anche approvare. Ma la crescita? A chi è affidata la crescita, e dunque la prosperità? Non alla Commissione europea, che in ragione del Patto di Stabilità è obbligata a sorvegliare le finanze pubbliche. Se facessimo un sondaggio tra i cittadini italiani risulterebbe probabilmente che il Commissario più conosciuto da noi è Joaquin Almunia, il guardiano dei conti pubblici nostri e degli altri 24 Stati membri. Anche ieri era sulle prime pagine di tutti i giornali col suo suggerimento all'Italia davvero singolare di sacrificare in nome della stabilità il Piano Italiano per l'Innovazione, la Crescita e l'Occupazione (Pico). Sacrificare, appunto, non la spesa pubblica parassitaria o improduttiva e questa sarebbe stata una raccomandazione sacrosanta per il nostro Paese ma il maggiore sforzo progettuale messo in campo dal governo per ridare slancio e vigore alla nostra economia. L'Italia deve tenere i suoi conti in ordine. Lo sappiamo bene ed è questa la ragione per cui il Ministro Tremonti ha fatto una finanziaria rigorosa. Ma una cosa è tenere i conti in ordine salvando però le speranze dello sviluppo. Una cosa diversa e sbagliata è tagliare proprio sullo sforzo per la crescita e l'occupazione previsto dalla strategia di Lisbona. Ma il paradosso non si ferma qui. Perché il Pico, pur essendo un programma la cui concezione e attuazione è di responsabilità nazionale, si inquadra in una strategia europea di rilancio dell'economia. Una strategia cominciata a Lisbona nel marzo del 2000, rimasta dormiente per cinque buoni anni e rilanciata nel marzo del 2005 dai capi di Stato e governo dell'Unione. Contemporaneamente all'Italia, tutti gli altri Stati membri hanno preparato un proprio programma di riforme per la crescita e l'occupazione. Con l'eccezione di un paio di ritardatari, Bruxelles ha ora sul tavolo tutti questi documenti. Sono le uniche carte, in senso metaforico e letterale, che un'Europa ossessionata dalla stabilità può giocarsi sul piano della crescita. Come se le giocherà, cosa ne farà in concreto? E qui vengono i problemi. Perché se i guardiani della stabilità abbondano la Bce, la Commissione, i ministri delle finanze, le ragionerie e le Corti dei Conti i responsabili della crescita scarseggiano. Anzi, non ci sono proprio. E' già difficile nei singoli Paesi membri individuare un responsabile nazionale di crescita e occupazione. Lo stesso discorso vale per l'esecutivo dell'Unione, la Commissione dove la strategia di Lisbona viene seguita da un gruppo di Commissari capeggiato dal Presidente Barroso. Günter Verheugen, cui sono affidate le imprese e l'industria, sarebbe il candidato logico per incarnare un ipotetico Commissario alla crescita. Ma, per ora, nessuno gli ha dato un mandato chiaro e forte in questo senso. E infine c'è il Consiglio. Anche al Consiglio, stessa situazione. C'è il Consiglio della Stabilità, cioè l'Ecofin, dove siedono Almunia e i ministri delle finanze. Ma qual è, dov'è il Consiglio della Crescita? Non c'è, non esiste. La mia proposta è dunque molto semplice. Bisogna che l'Europa, ferratissima quanto a governo della Stabilità, si doti di un governo della crescita. I manuali militari insegnano che se si hanno due obiettivi, bisogna sparare su di loro con due cannoni distinti. Non si può continuare ad avere un cannone solo che punta esclusivamente al rigore dei conti. Se non si rilancia l'economia europea, gli spari cui saremo destinati ad assistere sono quelli delle molotov che abbiamo appena visto in azione nelle banlieue dei maggiori centri urbani francesi. Occorre quindi che la Commissione individui un proprio responsabile della strategia di Lisbona. Che ci sia un Consiglio della Crescita probabilmente una formazione specializzata del già esistente Consiglio competitività. E che tutti i governi nazionali prendano sul serio, molto sul serio, l'enorme responsabilità che hanno nel soddisfare la domanda di sviluppo economico e occupazione che sale dalle proprie opinioni pubbliche. |