"Corriere della Sera" 23/11/04 Ma non è l’Europa che ostacola il nostro sviluppo Il presidente del Pri Giorgio La Malfa ha inviato la seguente lettera al "Corriere della Sera". La pubblichiamo unitamente alla risposta di Paolo Mieli (23 novembre 2004). Torno ancora una volta sul tema, che lei, caro Mieli, ha recentemente trattato in una sua risposta, di Maastricht e delle scelte dell’Italia. Ritengo, non da oggi, che tutta l’impostazione dell’Unione monetaria europea sia viziata da una rigidità eccessiva e penso che non convenga al governo italiano insistere sulla modifica del Patto: il rischio è che nella modifica si finisca per dare un peso (negativo) alla consistenza del debito pubblico. Il vero problema dell’Unione monetaria europea è modificare il mandato attribuito alla Banca centrale europea includendovi, come il buon senso richiede e come avviene per la Riserva federale degli Stati Uniti, accanto alla lotta all’inflazione, anche il sostegno alla crescita economica. Altrimenti l’Unione monetaria europea diventerà non un elemento di unità, ma un fattore di divisione dell’Europa. Giorgio La Malfa * Caro La Malfa, ricordo un suo libro, uscito nel 2000, dal titolo "L’Europa legata: i rischi dell’euro" che venne considerato fin troppo severo nei confronti del Trattato. L’esperienza di questi anni conferma quelle sue valutazioni: è troppo rigido il Patto di stabilità, secondo cui i Paesi membri debbono, quali che siano le circostanze economiche, evitare deficit pubblici superiori al 3% del Pil ("sarebbe bene che Piero Fassino ed i suoi – lei ricorda in una parte della lettera che ho dovuto tagliare per ragioni di spazio – non dimenticassero mai che Romano Prodi dichiarò in una intervista a Le Monde che il Patto è ‘stupido’ ").Ma soprattutto – qui riprendo il suo ragionamento – è sbagliata l’impostazione della politica monetaria che pone l’accento solo ed esclusivamente sul pericolo dell’inflazione e consente alla Banca centrale europea di disinteressarsi, per esempio, dell’assurdità delle attuali quotazioni dell’euro. E’ chiaro che più è alto l’euro, minori sono i rischi di importare svalutazione, ma un euro che valga il 30 per cento più del dollaro comporta un crollo della competitività internazionale delle merci prodotte in Europa e in Italia e quindi la sostanziale stagnazione economica. E’ la rigidità della politica monetaria a spingere agli sfondamenti del Patto di stabilità: se l’economia non tira, i governi debbono cercare di sostenerla e per farlo non hanno che lo strumento della finanza pubblica o sotto forma di maggiori spese o sotto forma di minori entrate. "Per questo motivo – lei conclude – penso che abbia ragione il governo italiano a proporsi una riduzione delle entrate e aggiungo che, perché sia efficace ai fini della ripresa, è bene che essa sia fatta, in tutto od in parte, in deficit. Il problema da valutare non sono i parametri di Maastricht che per qualche anno consentono il superamento del limite del 3 per cento senza provocare sanzioni. Il problema è il giudizio sul debito pubblico italiano che le agenzie di rating potrebbero dare a seguito di un superamento del limite del 3 per cento. Io ritengo che se la manovra venisse studiata e presentata bene, non è detto che essa non potrebbe essere accolta in modo non negativo dai mercati". Ma le è chiaro, caro La Malfa, che se la manovra viene giustificata essenzialmente come il rispetto di una promessa elettorale, se la maggioranza è divisa, se il ministro dell’Economia è oscillante, se come lei dice "la Banca d’Italia vuole sfruttare l’occasione per impedire alle Camere una riforma del risparmio e se l’opposizione, temendo il successo del governo, si scatena", tutto diventa più difficile e più rischioso. Paolo Mieli |