Dichiarazione di voto del senatore Del Pennino sulla Legge delega per la riforma dell'ordinamento giudiziario

Signor Presidente, i repubblicani voteranno a favore dell'articolo 2 del disegno di legge di delega al governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario.

Siamo consapevoli che il testo al nostro esame avrebbe potuto essere corretto e migliorato in diversi punti. Ma se ciò non è stato possibile non se ne può imputare la responsabilità solo alla maggioranza. Vi ha certo concorso l'atteggiamento di chiusura e di arroccamento politico assunto dall'opposizione, come ha rilevato avantieri lo stesso onorevole Rutelli. Anche se l'invito a scendere dalle barricate per aprirsi al dialogo da lui formulato è giunto purtroppo tardivamente.

Su un punto peraltro concordiamo con l'onorevole Rutelli, che "la lentezza e l'inaffidabilità della macchina giudiziaria sono sotto gli occhi di tutti...la giustizia civile influisce negativamente sulla nostra economia...i cittadini non vogliono magistrati che esternino, chiedono professionisti discreti che garantiscano imparzialità e celerità nelle decisioni".

Ora, se ricerchiamo le ragioni dell'inadeguato funzionamento del nostro sistema giudiziario, non possiamo non valutare come su di esso abbiano negativamente influito le chiusure corporative della magistratura, la perdita di ruolo dei vertici degli uffici, l'adozione di criteri di progressione di carriera basati sulla sola anzianità.

Col disegno di legge al nostro esame si interrompe finalmente il percorso iniziato con le leggi Breganze e Breganzone che avevano annullato considerazioni di merito nello sviluppo delle carriere e nell'affidamento degli incarichi, attuando una scelta che da sempre ha incontrato l'opposizione dei repubblicani.

Basta pensare a quando l'allora Presidente della Commissione Giustizia della Camera, on. Oronzo Reale, lasciò la presidenza della commissione per parlare contro la legge che estendeva la progressione per anzianità anche agli uffici superiori della magistratura (la cosiddetta legge Breganzone). O quando, credo lo rammenterà il senatore Andreotti, durante gli anni della solidarietà nazionale, di fronte alla minaccia di sciopero dei magistrati per ragioni di carattere economico, il PRI si oppose alla concessione di miglioramenti se non si fosse contemporaneamente introdotto un meccanismo teso a valorizzare il merito e le funzioni.

Del pari, giudichiamo positivamente la scelta contenuta nel disegno di legge di valorizzazione del ruolo dei vertici degli uffici, che dovrebbe comportare una sorta di circolo virtuoso perché proprio in ragione di una responsabilizzazione dei vertici dovrebbe essere garantita una migliore efficienza dei singoli uffici.

Così come ci pare positiva la tipizzazione delle ipotesi di illecito disciplinare anche al fine di impedire che la "giurisdizione domestica" del C.S.M. vanifichi l'efficacia delle sanzioni previste.

Ma queste due ultime osservazioni aprono la strada ad alcune riflessioni di carattere più generale che ho avuto modo già di sviluppare nel corso della dichiarazione di voto finale sul provvedimento in occasione della sua prima lettura, riflessioni riprese avantieri dal senatore Compagna, e che sono state tradotte in un apposito disegno di legge, mio e dello stesso senatore Compagna.

Non possiamo considerare con questo provvedimento conclusa l'opera riformatrice nel settore della giustizia.

Dobbiamo pensare anche ad un intervento di carattere costituzionale: sia per quanto riguarda i criteri di accesso alla magistratura, sia per quanto riguarda i criteri di composizione del C.S.M.. E dobbiamo farlo, a mio avviso, tornando alle indicazioni che proprio dalla sinistra furono avanzate alla Costituente.

Sul problema dei criteri di accesso alla Magistratura, ricorderò le parole dell'onorevole Gullo che, facendo riferimento ad uno stampato diffuso dai magistrati in cui si affermava "che bisogna che la scelta avvenga solo a mezzo di concorso nazionale per esami...che conferisce ai magistrati la qualità di rappresentati sia pure indiretti del popolo", obiettava: "è veramente strano pensare che basti un concorso per conferire questa rappresentanza. Che cos'è il concorso, questa fonte da cui i magistrati vengono tratti?...Il fatto che concorre a mostrare cosa possa voler dire incamminarsi verso la creazione di una casta, di un ordine chiuso, è il decisamente ostile atteggiamento che hanno assunto i magistrati di fronte al profilarsi della possibilità di fare ricorso ad una magistratura elettiva. E perché non dovrebbe pensarsi ad una magistratura elettiva? Perché non dobbiamo affermare nella Costituzione che la magistratura può anche avere come sua fonte un'elezione?"

Sulla composizione del C.S.M. ricorderò le parole dell'onorevole Togliatti, nell'adunanza plenaria della Commissione per la Costituzione, del 30 gennaio 1947, in cui ritenendo il C.S.M. "un organismo il quale assume una funzione particolare, per impedire la completa autonomia del potere giudiziario come tale", aveva affermato che "il fatto che il Consiglio Superiore sia composto di membri eletti per metà dall'Assemblea nazionale, accresce il prestigio della magistratura, non lo diminuisce" ed aveva proposto di istituire due vice-presidenti: il Ministro della Giustizia ed il Primo Presidente della Corte di Cassazione, con la Presidenza affidata al Presidente della Repubblica.

Ecco, onorevoli colleghi, due indicazioni che ci giungono da lontano, dal Costituente del ‘48, e su cui dovremo riflettere se vogliamo davvero affrontare il problema di un miglior funzionamento del pianeta giustizia.

10 novembre 2004