Testimonianze in memoria di un servitore dello Stato/Il cordoglio dei repubblicani

Una missione compiuta fino alle estreme conseguenze

Una serie di testimonianze in memoria di Nicola Calipari, l’agente morto durante le operazioni per la liberazione di Giuliana Sgrena. Omaggio più che doveroso ad un eroe italiano, il cui zio Vincenzo militava nel Partito repubblicano.

Lettera del segretario Francesco Nucara alla moglie di Nicola, Rosa Maria Calipari. E’ la lettera che Nucara avrebbe voluto indirizzare al Calipari stesso, un lettera "a un destinatario mancato".

Ritrovarsi a scrivere alla vedova di un grande uomo per significarLe i sensi di tutta la partecipazione del Pri al Suo dolore è tristezza che si aggiunge a tristezza.

E’ a Nicola Calipari che avremmo voluto scrivere, per significare a lui i sensi della nostra ammirazione, di uomini e di italiani, per l’altissimo valore del suo impegno di uomo e di italiano.

Quando si spende un’intera vita, come lui ha fatto, nella coerenza dell’impegno umano e professionale che occorre a "spenderla" bene, tutto quello che si potrebbe dire a commento suona vieto e pleonastico.

Gentile Signora Rosa, osserviamo su tutti i quotidiani, su tutti i canali televisivi il volto di Suo marito Nicola e quasi ci sentiamo "feriti" dalla limpidezza che lo illumina. E non possiamo non pensare (come dicevano i latini): in nomine omen.

Il suo bel cognome del Sud infatti, probabilmente derivando da un nobile (e omerico) etimo greco, dovrebbe significare "dal bel viso" e noi lo vogliamo teneramente traslare fino a dargli il senso di "bel sorriso": quello che certamente ha illuminato la "giustezza" della sua vita.

Io personalmente, da calabrese e reggino, che con Nicola Calipari scopro adesso di avere avuto amicizie antiche in comune, mi sento colpito doppiamente (e forse di più) dalla sua scomparsa.

Apprendo che Suo marito spesso affermava: "Noi siamo spendibili. La nostra missione è garantire la vita di chi siamo venuti a salvare".

Adesso che la salvezza della vita di Giuliana Sgrena è riuscito a garantirla fino alle più estreme conseguenze, sacrificando la sua, ciò che voglio augurare a Lei e ai Suoi figli Silvia e Davide è che, per il tempo a venire, si abbia tutti sempre meno bisogno di perdere uomini come Nicola Calipari per garantire la sopravvivenza di ciascuno.

Francesco Nucara

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Lettera del segretario del Pri al gen. Nicolò Pollari, direttore del Sismi.

Caro Generale Pollari, le esprimo, anche a nome del Presidente Giorgio La Malfa e di tutto il Pri, il cordoglio più sentito per la morte, così tragica, di un Suo prezioso collaboratore.

Nicola Calipari era a me, come doveva essere, ignoto.

Ho scoperto ora quante amicizie comuni ci legavano e legavano la Sua famiglia al Pri.

I repubblicani sanno come si serve lo Stato: Nicola Calipari era sicuramente al servizio della sicurezza del Paese e quindi della nostra.

Un servizio praticato e non predicato.

A Lei signor Generale giungano quindi i sensi della grande tristezza che accomuna tutti i Repubblicani Italiani in un momento che da felice è passato a tragico.

Francesco Nucara

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Una testimonianza di chi ha conosciuto Calipari in gioventù.

Sognavamo di cambiare il mondo. E avevamo giurato sul nostro onore, con la passione sconfinata ed ingenua degli adolescenti, di servire Dio, la Chiesa, la Patria. La promessa scout recitata con il cuore stretto e gli occhi dilatati dall’orgoglio, con il pollice sul mignolo, l’impegno categorico del forte che protegge il debole, con la fierezza di un soldato che accetta la propria missione. A dieci anni, a quindici, a venti anni.

Pronunciate quelle parole, davanti ad un altare, al termine di un cammino e per intraprenderne un altro, consapevolmente scelto, il confine era oltrepassato per sempre. Era un capo, Calipari. Il compagno di quella strada che è il simbolo degli scout, quella "strada" di montagna che avevamo infinite volte cercato per mano al chiarore della luna o intorno a un fuoco o a leggere le stelle in veglie interminabili a dirci che insieme avremmo reso grande il nostro essere uomini. Dovevamo partire alla conquista della libertà, della giustizia, della pace, sicuri che l’entusiasmo incontenibile di un ideale condiviso ci avrebbe per sempre concesso quel cuore forte che invocavamo prima di ogni impresa. Perché ogni iniziativa era una meravigliosa impresa in ragione di quella purezza di bambini che credono davvero che lasceranno il mondo migliore di come lo hanno trovato. Nicola era là, sempre uguale, con lo stesso sorriso gentile e la voce pacata, quarant’anni fa nella sua squadriglia e quando venne al Gruppo Terzo (da noi, che a Reggio Calabria ci reputavamo, con un pizzico di sufficienza, gli innovatori del movimento scout) ce lo mormoravamo orgogliosi l’un l’altro quasi l’avessimo sottratto a "quelli" del Duomo.

Perché c’era una gerarchia rigorosa, perché la divisa doveva essere rispettata, perché la legge scout - che chi era capo doveva tutelare - dettava le regole sovrane e insindacabili. Perché si poteva cantare a squarciagola e discutere senza fine e mettere tutto il proprio universo all’interno di quel cerchio magico, perché abbiamo avuto la fortuna immensa di vivere quell’incanto che adesso pare così remoto. Ce lo siamo detto in tanti, da tutta Italia, venerdì sera, con una telefonata senza parole, perché è questo l’indicibile.

Abbiamo imparato insieme che non si tradisce mai, che non ci si vende mai, che non si dimentica mai. La nostalgia struggente davanti alla foto su un giornale è la memoria di quel tempo sospeso, magari illuso, ma prezioso e comprensibile solo a noi. Ci abbiamo creduto ed ognuno è diventato un pezzetto dell’altro ed anche se gli anni infrangono irrimediabilmente i sogni con la violenza dell’onda sullo scoglio, questo dolore che stringe la gola è nostro compagno e nostra salvezza.

Katia Mammola