Intervento del sen. Del Pennino sulla delega al Governo in materia di protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche

Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, ho già avuto modo di riassumere - nel corso dell'illustrazione della proposta di sospensiva e di rinvio del provvedimento in Commissione - le motivazioni che sostanziano il giudizio negativo dei Repubblicani sul testo al nostro esame, che stravolge l'originario disegno di legge governativo.

Desidero ora soffermarmi un po' più ampiamente sulle ragioni del nostro dissenso.

Credo sia emerso, anche dal dibattito che si è svolto questa mattina, che unanime è il riconoscimento che le possibilità di crescita e di sviluppo di un Paese dipendono dagli investimenti nella ricerca e dalla possibilità dei suoi studiosi di esplorare nuovi campi della scienza e che in particolare, proprio le biotecnologie offrono straordinarie opportunità di progresso in diversi settori, che vanno dalla salute all'agricoltura, dall'industria alle risorse energetiche.

È stato anche riconosciuto da diversi intervenuti come sia oggettivo il ritardo dell'Italia nei confronti degli altri Paesi europei per quanto riguarda l'industria biotecnologica. Basti pensare che, secondo le rilevazioni di Ernst & Young nel 2001, a fronte di 333 imprese operanti nel settore in Germania, 271 nel Regno Unito, 240 in Francia, 164 in Svezia, 82 in Finlandia e in Olanda, solo 52 imprese biotecnologiche erano presenti in Italia.

Ma credo che solo su queste constatazioni generali vi sia un giudizio comune, perché poi, quando si affrontano in concreto i problemi legati allo sviluppo delle biotecnologie, ci si preoccupa, come avviene con questa legge, di affermare princìpi di carattere ideologico che, traducendosi in imposizioni e divieti, limitano la libertà della ricerca e le possibilità di nuove scoperte.

Questo disegno di legge è, da questo punto di vista, emblematico. Esso giunge con un notevole ritardo a causa delle riserve "ideologiche" frapposte dai Verdi nella passata legislatura al testo del disegno di legge presentato dal Governo D'Alema, culminate nell'appoggio dato dal Governo italiano al ricorso alla Corte di giustizia europea per chiedere l'annullamento della direttiva CE 98/44 (ricorso poi respinto il 9 ottobre 2001).

Questo ritardo ha addirittura provocato l'inizio di una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia da parte della Commissione europea. È un elemento che ci deve fare riflettere, ma non ci deve indurre ad una premura che può essere cattiva consigliera.

Non sottovalutiamo l'importanza del provvedimento nel suo complesso, perché sappiamo che la certezza della proprietà intellettuale è requisito fondamentale per lo sviluppo di attività imprenditoriali nel settore e proprio la mancanza di tale certezza ha finora concorso a limitare quella crescita di imprese nel settore biotecnologico in Italia che ricordavo innanzi.

È altrettanto certo che la stessa ricerca scientifica, che precede temporalmente, a volte anche di anni, la realizzazione imprenditoriale, deve basarsi a sua volta su una certezza per quanto riguarda le condizioni di brevettabilità dei suoi ritrovati. Ma proprio per questo ci appare più grave il fatto che nel testo al nostro esame sia contenuta una serie di norme restrittive rispetto alla direttiva comunitaria che si deve recepire. Questo finirà, sul piano industriale, col consentire l'ingresso in Italia di prodotti realizzati in altri Paesi sulla base di brevetti che da noi non si possono conseguire e, sul piano scientifico, col limitare il lavoro dei nostri ricercatori.

Entrando nel merito delle singole norme, non preoccuperebbe la previsione contenuta nel testo trasmessoci dalla Camera dei deputati e confermato dalle Commissioni di questo ramo del Parlamento, di escludere dalla brevettabilità il corpo umano sin dal concepimento, previsione che innova rispetto a quanto già affermato nella citata direttiva - che stabiliva che non può costituire invenzione brevettabile il corpo umano "nei vari stadi del suo sviluppo" - e modifica l'originaria formulazione contenuta nel testo del disegno di legge presentato dal Governo, che parlava di esclusione della brevettabilità del corpo umano nei vari stadi della sua costituzione e del suo sviluppo.

Non preoccuperebbe questa previsione,se di una semplice affermazione di principio si trattasse, perché sarebbe qualcosa che nessuno potrebbe, se non in nome di una contrapposizione puramente ideologica, contestare. Preoccupa la conseguenza che da questa affermazione di principio si trae, poi e dovrebbe preoccupare soprattutto i colleghi della sinistra, se hanno ascoltato l'intervento del sen. Danzi di poco fa, che ha detto: una volta approvato questo provvedimento, come farete a sostenere una linea diversa nella discussione della legge sulla procreazione medicalmente assistita?

Come dicevo, quello che preoccupa è la conseguenza che da questa affermazione di principio si trae, stabilendo l'esclusione della brevettabilità delle invenzioni basate su ogni utilizzazione di embrioni umani, ivi incluse le cellule staminali embrionali umane. Sul punto, la direttiva parlava di divieto di utilizzazione di embrioni umani a fini industriali e commerciali.

La Convenzione di Oviedo, richiamata nel testo del disegno di legge, prevede la proibizione della costituzione di embrioni umani a fini esclusivi di ricerca, non anche l'utilizzazione per la ricerca di embrioni già prodotti. Una soluzione rispettosa dei valori, ma non aprioristicamente restrittiva, dovrebbe prevedere il divieto di utilizzazione di embrioni umani, fatti salvi quelli già prodotti e non utilizzabili per l'impianto.

Se non utilizzabili a fini di ricerca e non utilizzabili per l'impianto, mi domando quale sarebbe il destino di questi embrioni, se non la loro distruzione. Non sarebbe più rispettoso anche delle convinzioni dei credenti, consentire che questi embrioni, già esistenti e non utilizzabili per l'impianto, siano utilizzati a fini di ricerca?

E per quanto riguarda le cellule staminali, come non tener conto dell'osservazione fatta, nel corso dell'audizione davanti alla 10a e alla 12a Commissione di questo ramo del Parlamento, dal professor Dalla Piccola, secondo il quale "l'esclusione delle linee staminali embrionali umane dovrebbe essere ripensata, considerando che alcune compagnie americane, come la Geron, hanno di fatto brevettato tutte le linee cellulari di questo tipo in circolazione e oggi richiedono licenze costose per il loro uso?. Egli ha suggerito, piuttosto, di proibire "ogni utilizzazione di embrioni umani, comprese le linee cellulari staminali direttamente ottenute da embrioni, autorizzando invece la brevettabilità di linee cellulari staminali ottenute con altre tecnologie", rilevando che "alla luce dei dati della letteratura, se entro pochi anni non saremo riusciti a utilizzare linee cellulari di nostra produzione, saremo fuori da questo importante settore della ricerca".

E ancor più preoccupante appare la formulazione contenuta nell'emendamento della collega Toia, accolto dalle Commissioni industria e sanità di questo ramo del Parlamento, che, come hanno rilevato gli oltre 700 scienziati, professori e ricercatori che hanno sottoscritto l'appello ai parlamentari della "Associazione Luca Coscioni per la libertà della ricerca", escluderebbe dalla brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche qualsiasi procedimento e tecnica riguardante le cellule staminali embrionali umane, anche quelle ottenute con la tecnica del trasferimento nucleare di cellule staminali autologhe, prevista dal rapporto Dulbecco, che non ha nulla a che vedere con la clonazione umana, ma riguarda una forma di clonazione terapeutica che era stata accolta con grande favore da tutti i 25 saggi nominati dall'allora ministro della sanità Umberto Veronesi.

Ora, impedire la ricerca sugli embrioni soprannumerari e sulle cellule staminali in un Paese, significa ritardarne il progresso scientifico e favorire la fuga di cervelli all'estero, in particolare verso la Gran Bretagna, che ha coraggiosamente autorizzato questo tipo di ricerca.

Sono questi, signor Presidente, colleghi senatori, i principali problemi che il provvedimento in discussione apre per il mondo della ricerca italiano.

Ma non sono i soli. Nel disegno di legge sono riflesse altre e diverse impostazioni ideologiche, figlie delle differenti componenti della maggioranza trasversale che ha contribuito a varare questo testo e che rischiano di tradursi in un blocco delle ricerche già in corso.

Mi riferisco alla disposizione che prevede l'obbligo che la provenienza del materiale biologico di origine animale e vegetale, che sta alla base di un'invenzione, venga dichiarata all'atto della richiesta del brevetto, sia in riferimento al Paese di origine, sia in relazione all'organismo biologico dal quale è stato isolato; nonché all'altra che stabilisce che, in caso di invenzione che ha per oggetto o utilizza materiale biologico di origine umana, sia necessaria l'esplicita espressione del consenso libero e informato della persona alla quale è stato prelevato tale materiale.

Non si tratta di mettere in discussione questi princìpi, che accettiamo, ma di prendere atto che, proprio poiché - come ho già rilevato - la ricerca precede anche di molti anni le invenzioni e quindi la richiesta di brevetto, occorre garantire la possibilità di continuare le ricerche e di brevettare i risultati di quelle ricerche condotte anche senza il pieno rispetto di queste norme più restrittive sul consenso e sull'origine del materiale utilizzato per l'invenzione, se all'epoca dei prelievi dette norme non erano ancora in vigore.

Non a caso, nei "considerando", la direttiva, per quanto riguarda il consenso libero e informato, prevede che la possibilità di esprimere il proprio consenso al prelievo debba essere garantita in base al diritto nazionale previgente e che, per quanto riguarda il materiale biologico di origine vegetale o animale, la domanda di brevetto debba contenere indicazioni sul luogo di origine solo, nel caso in cui esso sia noto.

Occorrerebbe prevedere, quindi, che le nuove disposizioni relative all'utilizzazione di materiale biologico di origine umana, animale o vegetale vengano applicate a partire dai prelievi eseguiti dopo l'entrata in vigore del decreto delegato conseguente all'approvazione di questo disegno di legge. Si rischierebbe, altrimenti, di far sospendere tutte le ricerche in atto per le quali venga utilizzato materiale precedentemente prelevato senza la formalizzazione del consenso, o la cui provenienza (in caso di origine animale o vegetale) non sia oggi ricostruibile.

Un'ultima osservazione riguarda la previsione che stabilisce l'esclusione dalla brevettabilità dei metodi per il trattamento chirurgico o terapeutico del corpo umano o animale. Nulla quaestio se si tratta di metodi. Ma l'espressione contenuta nel disegno di legge, essendo assolutamente generica, si presta a interpretazioni estensive che potrebbero portare ad escludere la brevettabilità di farmaci e di reagenti per la diagnostica, col conseguente effetto di rendere la nostra industria dipendente da brevetti stranieri.

Occorre quindi precisare la norma, stabilendo che vengono fatti salvi dispositivi e prodotti, anche su base informatica, per diagnosi o per trattamenti chirurgici o terapeutici.

Onorevole rappresentante del Governo, colleghi senatori, queste mie considerazioni non hanno alcun intento dilatorio. Ho ricordato prima come l'Italia abbia un non commendevole ritardo nel recepimento della direttiva comunitaria. Ma quello che ritengo indispensabile è che la delega che approveremo non si traduca in un ulteriore ostacolo che si aggiunga ai molti già esistenti per lo sviluppo della ricerca nel nostro Paese.

Occorre una legislazione che non si muova in controtendenza rispetto agli orientamenti in atto in altre Nazioni, che mirano ad aprire nuove frontiere per la scienza. Non si deve insistere nel voler tradurre in divieti e sanzioni rispettabili convinzioni di fede, senza tener nemmeno conto delle voci più aperte del mondo cattolico che cercano di conciliare lo sviluppo della ricerca con i problemi etici, come quella dei ricercatori dell'Université Catholique de Louvain a Louvain-La-Neuve in Belgio, che hanno preso posizione, in un documento pubblicato il 7 ottobre dello scorso anno, a favore della ricerca sulle cellule embrionali, dichiarando che, se l'intangibilità dell'embrione umano costituisce un dovere etico, anche la ricerca per diminuire o debellare la sofferenza di tanti malati oggi incurabili rappresenta un dovere etico, e si sono pronunciati per la clonazione terapeutica.

Roma, 25 marzo 2003