La Malfa: non è la fine dell'Ue ma questa Costituzione è morta

"Il processo di ratifica continuerà, però si potranno salvare solo alcuni pezzi. Si potrebbe varare un piccolo trattato, un Nizza 2"

"Il no francese non è la fine dell'Europa. Ma il Trattato costituzionale è morto". Giorgio La Malfa, ministro per le Politiche comunitarie in un‘intervista a Emanuele Novazio della "Stampa" invita "a non fare drammi" dopo il risultato del referendum francese sul trattato costituzionale, perché "già altre volte l'Europa è andata a sbattere; il 30 agosto 1954 la Francia bocciò la Comunità di difesa e sembrò la fine dell'Europa, pochi mesi dopo 6 Paesi fondarono il Mercato comune". Ma "se il binario imboccato non ha esito, cambiamolo e troveremo la strada".

Siamo forse all'inizio di un nuovo disegno europeo, con un forte nucleo centrale e una periferia che avanza più lenta?

Se il no fosse venuto da Inghilterra o Polonia, forse. Trattandosi della Francia, non lo ritengo possibile. E poi, se i fondatori ripartono da soli dopo avere allargato, il rischio è davvero la disgregazione dell'Europa.

Il problema politico posto dal no francese è comunque serio. Come superarlo?

Il processo di ratifica continuerà. Ma del Trattato costituzionale si potranno salvare solo alcuni pezzi, per esempio la semplificazione del sistema di voto. Alla fine del processo di ratifiche si potrebbe varare un piccolo trattato, un "Nizza 2", pronto in pochi mesi. In fondo la vera novità politica di questo Trattato era che si chiamava costituzionale senza esserlo.

C'è chi pensa di procedere attraverso alleanze fra pochi Paesi su temi specifici.

Le collaborazioni rafforzate sarebbero state una buona idea se in Francia avesse vinto il sì, ma adesso le ritengo molto difficili.

L'ex presidente della Commissione Delors sostiene che dire no a questo Trattato significa dire no all'Europa.

Probabilmente queste parole erano il frutto di una drammatizzazione, nella speranza di aumentare le possibilità di vittoria del sì. In realtà il Trattato costituzionale non è l'Europa: è uno dei trattati che segnano il cammino progressivo dell'integrazione europea, e nemmeno il più importante. I più importanti, come lo stesso Delors scrive, sono stati il trattato di Maastricht sulla moneta unica e l'Atto Unico che nell'85 ha creato il mercato unico europeo.

Un istituto europeo di analisi economica sostiene che il no potrebbe provocare un aumento delle tensioni valutarie soprattutto in Italia, con conseguente aumento dei tassi di interesse e ulteriore perdita di competitività.

Una bocciatura potrebbe avere un effetto immediato sulle quotazioni dell'euro: potrebbe scendere e non sarebbe una tragedia. Ma non si vede per quale ragione dovrebbe influenzare nel medio periodo la moneta di 12 Paesi nata da un Trattato – quello di Maastricht – che non è rimesso in questione. Quanto all'Italia, molti osservatori stranieri in questo momento prendono a pretesto qualunque avvenimento per prevedere conseguenze negative per il Paese.

Il dibattito sul referendum francese riguardava anche la soppressione delle frontiere: significa più libertà o insicurezza? L'interrogativo se lo pongono molti anche in Italia.

Il problema dell'identità nazionale e della minaccia rappresentata dall'immigrazione è evidente. Ma il grosso dell'ostilità non riguarda gli stranieri che provengono dell'area comunitaria. In Olanda, come in Francia e in Italia, il grande problema sono gli extracomunitari. L'immigrazione è certo una delle paure dell'Europa, ma queste paure non sono connesse all'allargamento e non sono risolvibili fermando il cammino dell'Unione.

Non crede che i francesi abbiano fatto dell'Europa il capro espiatorio di problemi non legati al Trattato?

Certo: in Francia si parlava di "Raffarindum", un referendum sul capo del governo. Ma che in Europa ci siano difficoltà e debolezze è certo: non ci sono più gli Stati nazionali, con i loro poteri e le loro capacità di intervento nella vita sociale, e non c'è ancora un governo europeo. C'è un'Europa che detta regole che non sono figlie della politica ma di un'alta burocrazia internazionale. C'è un deficit democratico: al grande potere delle istituzioni europee di influenzare gli Stati nazionali, non corrisponde quella che gli inglesi chiamano una accountability democratica: non c'è un sistema democratico di investitura.