Intervento del sen. Antonio Del Pennino nel dibattito intorno alle mozioni presentate sulla missione irachena (20 maggio 2004)

Signor Presidente, colleghi senatori, i repubblicani voteranno a favore della mozione di maggioranza e voteranno contro la mozione delle opposizioni unificate, la cui logica ci è davvero difficile comprendere.

I massimi dirigenti dell'Ulivo avevano sostenuto, da più di un anno, la necessità di un coinvolgimento delle Nazioni Unite nella gestione del dopoguerra in Iraq e avevano a ciò condizionato il loro consenso al mantenimento della presenza del nostro contingente di pace.

Oggi, quando con il piano Brahimi la prospettiva di una svolta prende concretamente corpo, ripiegano sulle posizioni di Rifondazione comunista, dei Comunisti italiani e dei Verdi, chiedendo al Governo un immediato ritiro. Essi sembrano giungere a questa conclusione come conseguenza delle drammatiche vicende che hanno visto il nostro contingente esposto agli attacchi delle bande di guerriglieri che sono costati la vita al caporale Vanzan.

Commenterò questo atteggiamento con le parole di un giornale della sinistra, "Il Riformista" che scrive: "Ecco una cosa che in una democrazia più antica e solida non accadrebbe mai. Mai, sotto il fuoco del nemico, uno dei partiti che si alternano al Governo negli Stati Uniti, nel Regno Unito e nemmeno in Francia proporrebbe il ritiro dei soldati. L'unico legame tra i fatti di questi giorni e l'ipotesi del ritiro italiano è che chi ci attacca vuole che ci ritiriamo".

Ai colleghi dell'Ulivo che con imbarazzo giustificano il loro atteggiamento di oggi negando che la svolta ci sia, vorrei ancora ricordare come con riferimento alle ipotesi di un ritiro degli alleati, Sandy Berger, già Consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Clinton e adesso stretto collaboratore dell'avversario di Bush, il candidato democratico Kerry, ha dichiarato di considerare il ritiro unilaterale un vero disastro e che lo stesso Kerry segue con ansia il dibattito in Gran Bretagna ed in Italia sul ritiro delle truppe perché teme di restare senza interlocutori in caso di vittoria.

In realtà, il problema che abbiamo davanti oggi non è quello di riaprire una polemica sulla fondatezza o meno dell'intervento militare angloamericano in Iraq che ci ha diviso in passato, né di confermare l'orrore e lo sdegno che invece ci sono comuni per le torture inflitte ai prigionieri iracheni, ma di valutare politicamente cosa accadrebbe se l'Iraq oggi fosse abbandonato a se stesso dal mondo occidentale.

Credo che su questo la risposta più autorevole l'abbia data un uomo che rappresenta la tradizione non fondamentalista del mondo islamico, il presidente egiziano Mubarak, che ha dichiarato: "Nel caso in cui gli americani ed i loro alleati si ritirassero il 30 giugno da un Iraq senza esercito, senza polizia e senza ministeri, si creerebbe una situazione di anarchia terribile ed il Paese si trasformerebbe in uno spaventoso centro di azioni terroristiche".

Il nostro dovere è restare per continuare una missione di pace e per evitare i timori di Mubarak si concretizzino.