La Stampa 30 maggio 2003/La Convenzione Europea Serve un governo forte Giorgio La Malfa Caro Direttore, il nodo davanti al quale si trova la Convenzione europea e dal quale nasce lo scontro fra Prodi e Giscard d’Estaing non è nuovo. Prodi difende, a mio avviso giustamente, la concezione federalistica dell’Europa. In questa visione le istituzioni sono ricalcate su quelle degli Stati Uniti: la Commissione rappresenta in nuce il governo federale, mentre il potere legislativo dovrebbe essere ripartito fra una Camera, eletta in proporzione alla popolazione, ed un Senato composto da un ugual numero di rappresentanti per ciascun paese membro. In realtà, questo traguardo federale è sempre stata un’ipotesi aspramente contestata in seno all’Unione europea sia da parte dell’Inghilterra, contraria a far parte di un’Europa politica, sia dalla Francia decisa a far valere un modello confederale, nel quale il potere di decisione è affidato ai rappresentanti dei governi che conservano, nelle materie importanti, il diritto di veto. Lo scontro si è ripresentato nel corso dei decenni. Una prima volta, a metà degli anni Sessanta, l’impostazione francese prevalse con il compromesso di Rambouillet che previde il principio dell’unanimità nelle decisioni importanti. Successivamente fu lo stesso Giscard d’Estaing a istituzionalizzare il Consiglio Europeo da cui successivamente scaturirono i vari Consigli dei ministri e che concretizzò sostanzialmente il modello confederale. I limiti del metodo confederale sono ormai evidenti: per fare dell’Europa un soggetto politico significativo, nel campo della politica estera o della politica economica, servirebbe un organo di governo investito da un mandato popolare e capace di decidere a maggioranza. Ma proprio per il prevalere delle resistenze contro la concezione confederale, non vi sono stati progressi sostanziali in questa direzione nei trattati di Maastricht, Amsterdam e Nizza. La Convenzione è stato l’estremo tentativo di aggirare l’ostacolo affiancando ai rappresentanti dei governi le delegazioni parlamentari. Ma questa strada, che lo stesso Prodi aveva favorito, si è rivelata un’illusione. Le posizioni francesi non sono cambiate. Aver affidato la presidenza a Giscard d’Estaing e la segreteria a un inglese ha spinto nettamente a favore di una concezione tenue del rapporto europeo e per la prima volta la Germania, che nel dopoguerra insieme all’Italia e ai paesi del Benelux aveva difeso la visione federale, si è allineata alle posizioni francesi. In queste condizioni l’esito appare sostanzialmente scontato così come risulta inevitabile il prolungarsi di quella inesistenza dell’Europa come soggetto politico di cui vediamo tutti i giorni le conseguenze sul terreno dell’economia e della politica estera. |