Il cammino del Disegno di legge sull’attuazione del Titolo V della Costituzione

Nella seduta di ieri in Senato è stato approvato il testo del Disegno di legge sull'attuazione del Titolo V della Parte II della Costituzione.

Su due punti modificati dalla Camera il senatore Del Pennino ha presentato specifici emendamenti. Sono quelli relativi alla norma che prevede che i Trattati internazionali, anche quelli non ratificati con legge, rappresentino un vincolo per la legislazione dello Stato e delle Regioni; nonché, alla delega al Governo per l'emanazione di uno o più decreti per l'istituzione delle Città metropolitane.

In sede di illustrazione degli emendamenti il senatore Del Pennino ha dichiarato:

"Non mi illudo che l’emendamento 1.100 possa trovare il consenso dell’Aula perché so che vi è un’intesa, più consociativa che bipartisan, tra maggioranza e opposizione per varare il testo così come ci è stato trasmesso dalla Camera.

Desidero egualmente sottolineare l’incongruenza contenuta nell’articolo 1, così come è stato modificato dalla Camera rispetto al testo iniziale del Senato. Il testo che avevamo varato in sede di prima lettura prevedeva che costituissero un vincolo alla potestà legislativa dello Stato e delle Regioni i trattati internazionali ratificati a seguito di legge di autorizzazione. Il testo che la Camera ci ha trasmesso prevede invece che qualunque trattato internazionale rappresenti un vincolo alla potestà legislativa dello Stato e delle Regioni.

Ora, mi sembra che questa norma sia oltretutto incostituzionale, perché l’articolo 80 della Costituzione prevede, lo rileggo per me stesso più che per i colleghi che: "Le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi".

Noi invece, con questa formulazione che la Camera ci ha trasmesso, consentiamo che un trattato non approvato con legge da parte delle Camere possa modificare o rappresentare un vincolo alle leggi stesse; quindi, si tratta di una riduzione della sovranità del Parlamento, che dovrebbe essere limitata solo con la legge di ratifica e che è invece subordinata a intese tra Governi.

Ecco il significato del mio emendamento: ripristinare la formula che i vincoli alla potestà legislativa dello Stato e delle Regioni sono rappresentati dai trattati internazionali ratificati a seguito di legge di autorizzazione".

"I tre emendamenti che ho presentato, uno dei quali solo a firma mia, gli altri a firma anche dei colleghi Pizzinato e Zorzoli, riguardano le norme della delega relative alle città metropolitane, perché ci troviamo in presenza di un testo che è davvero curioso: esso prevede una delega in cui, in violazione dell’articolo 76 della Costituzione, non sono definiti né i princìpi né i criteri direttivi.

Si dice infatti che il Governo è delegato a emanare uno o più decreti per "adeguare i procedimenti di istituzione della Città metropolitana al disposto dell’articolo 114 della Costituzione, fermo restando il principio di partecipazione degli enti e delle popolazioni interessati".

Ora, poiché l’articolo 114 prevede semplicemente che la Repubblica è costituita da comuni, province, città metropolitane, Regioni e Stato e quindi introduce, come soggetto istituzionale, la Città metropolitana che prima non aveva dignità costituzionale, ma non indica assolutamente nulla di più, una delega di questo genere è una delega senza criteri e senza princìpi direttivi.

Io propongo allora, nell’emendamento a mia sola firma, il 2.103, la soppressione delle lettere h) e i), in modo da lasciare il problema della istituzione delle città metropolitane alla legge ordinaria, sottraendolo alla legislazione delegata.

Con gli altri due emendamenti invece, quelli a firma anche dei colleghi Pizzinato e Zorzoli, cioè il 2.102 e il 2.104, proponiamo soluzioni meno drastiche. In particolare, con il 2.102 proponiamo semplicemente di stabilire che, nei casi in cui sia istituita la città metropolitana, non venga previsto il mantenimento ai comuni e alle province delle funzioni che hanno attualmente, perché è chiaro che dovranno distribuirsi fra la città metropolitana e gli altri soggetti istituzionali che convivranno con essa.

Con l’emendamento 2.104 chiediamo di introdurre dei princìpi e dei criteri direttivi che in questa materia non possono mancare, e li individuiamo nel fatto che la città metropolitana dev’essere prevista obbligatoriamente per le aree in cui vi sia un comune capoluogo che abbia almeno 800.000 abitanti, che si stabilisca che dove c’è la città metropolitana essa sostituisce la provincia e che dev’essere garantito un equilibrio territoriale e demografico fra i comuni all’interno della città metropolitana attraverso lo scorporo del comune capoluogo, perché è un controsenso procedere all’istituzione di una città metropolitana e prevedere al tempo stesso il mantenimento in vita di un comune capoluogo che finirebbe con l’interferire con le competenze e con le funzioni della città metropolitana.

Non vogliamo introdurre criteri così dettagliati? Vogliamo dare indicazioni più vaghe? Bene, il Governo presenti una proposta emendativa rispetto a tale testo perché la delega così com’è concepita, senza alcun criterio direttivo e senza alcun principio cui attenersi, è chiaramente incostituzionale".

In sede di dichiarazione di voto il senatore Del Pennino ha così illustrato le ragioni che hanno determinato l'astensione dei repubblicani:

"In occasione della prima lettura di questo provvedimento ebbi ad affermare che, pur rappresentando esso un passo in avanti rispetto alle confuse norme introdotte con la riforma del Titolo V, mi sembrava un provvedimento monco, perché quella riforma a mio avviso aveva più bisogno di correzioni che di norme di attuazione. Ma allora, valutando il significato del provvedimento, ebbi ad esprimere un voto favorevole.

Oggi il provvedimento torna dalla Camera con una serie di modifiche che a mio avviso peggiorano il testo che avevamo licenziato. Testo che, a mio avviso, era meno idoneo a rispondere ai problemi che la riforma del Titolo V aveva posto di quanto non fosse quello originariamente presentato dal Governo e che era stato modificato in preda ad una deriva, che ho definito pseudo-federalista, che sembra avere travolto le forze politiche di maggioranza come di opposizione.

Vi è una serie di disposizioni, per quanto riguarda la delega al Governo per il riordino delle funzioni e delle competenze degli enti locali, estremamente generica, che, anche se ho apprezzato la disponibilità del Ministro, non è stata corretta dall'accoglimento di un ordine del giorno, perché sappiamo come gli ordini del giorno abbiano scarsa rilevanza nell'iter successivo dei provvedimenti legislativi.

Vi è inoltre una serie di condizionamenti che la Camera dei deputati ha introdotto per quanto riguarda le decisioni in materia di trasferimento di risorse da parte dello Stato alle Regioni che vincolano, come ricordava poc'anzi anche il collega Villone, la sovranità del Parlamento in funzione degli accordi raggiunti al di fuori di questa sede istituzionale. In considerazione di tali modifiche fortemente peggiorative, dichiaro che non parteciperò al voto".