Quali linee guida nell'azione del ministero delle Politiche comunitarie/Rispondere con iniziative concrete alle inquietudini che serpeggiano nell'opinione pubblica

Crescita e occupazione per ritrovare la fiducia

Il ministro delle Politiche Comunitarie Giorgio La Malfa ha presentato in una audizione alle Camere svoltasi presso la Commissione Politiche Ue le linee guida dell'azione del suo dicastero. Riproduciamo una parte del suo intervento tenuto il 31 maggio.

di Giorgio La Malfa

Il nostro incontro si svolge in un momento molto difficile per l'Europa. Il voto francese di domenica scorsa costituisce certamente una grave battuta d'arresto per l'Europa di cui non possiamo minimizzare la portata. Al tempo stesso non dobbiamo neanche considerarlo come la fine del processo conclusosi con il Trattato costituzionale sottoscritto a Roma nell'ottobre scorso.

Otto Paesi tra i quali l'Italia, la Germania e la Spagna, hanno già ratificato il Trattato e le procedure di ratifica proseguono negli altri Paesi. Come ha scritto il ministro degli Esteri in un articolo pubblicato sul "Corriere della Sera", questo processo deve assolutamente andare avanti, lasciando che ognuno degli Stati membri si esprima.

La Carta costituzionale europea rappresenta il punto di arrivo di un lungo e articolato processo che ha visto la partecipazione attiva non solo dei rappresentanti dei Governi ma anche quella dei Parlamenti nazionali e delle istituzioni dell'Unione: si è trattato di un importante esercizio di democrazia i cui risultati vanno difesi con ogni mezzo. Tutti i Governi hanno sottoscritto il secondo Trattato di Roma e devono pertanto favorire la sua entrata in vigore.

Quando si incontreranno il 16 giugno prossimo, i Capi di Stato e di Governo dovranno affrontare un dibattito certamente difficile. Si tratterà comunque di una prima discussione. Un quadro veramente completo lo si avrà tuttavia solo quando saranno terminate le procedure di ratifica. Soltanto in quel momento potranno essere assunte decisioni definitive.

Dobbiamo comunque analizzare fin d'ora le ragioni del no francese e impegnarci per cercare di rispondere con iniziative concrete alle inquietudini che serpeggiano nelle opinioni pubbliche di molti Paesi europei e che si sono tradotte in maniera così clamorosa nel no della Francia alla Costituzione europea.

Il voto di domenica è certamente attribuibile in parte a fattori di politica interna. Ma non si può negare che alla base vi sia anche un rifiuto del modello di integrazione proposto. Il diffuso malcontento francese e quello che potrebbe purtroppo emergere - secondo quanto ci dicono i sondaggi - dalla consultazione popolare in Olanda, dànno la misura del divario che si è creato tra le politiche attuate dall'Europa e la percezione che ne hanno i suoi cittadini.

Lo stato non soddisfacente dell'economia, le possibili conseguenze del processo di allargamento, i timori di una crescente pressione migratoria e di una perdita delle identità nazionali, la crescente concorrenza sui mercati internazionali, sono altrettanti problemi che l'Europa – agli occhi dei cittadini francesi e forse anche di altri Paesi europei – non è stata in grado di affrontare in maniera adeguata.

In attesa che possano chiarirsi i contorni di questa grave crisi e che possano essere individuate le possibili soluzioni per far continuare il processo di integrazione, dobbiamo puntare con decisione sulla ricerca di una risposta comune alle difficoltà che affliggono l'economia del continente. Proprio per la gravità del segnale che ci è pervenuto dalla Francia – Paese fondatore e costante motore del processo di integrazione – al quale potrebbe aggiungersi domani un segnale altrettanto negativo da parte di un altro Paese fondatore, la nostra risposta dovrà essere di livello elevato.

In questo contesto, lo strumento principale di intervento a nostra disposizione è costituito dalla strategia di Lisbona.

Nel marzo del 2000, a Lisbona, il Consiglio europeo lanciò un ambizioso programma per fare del nostro continente, entro il 2010, "l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo". Da allora quel programma ha preso il nome di "strategia di Lisbona".

Il varo della strategia di Lisbona arrivava al culmine di quasi un decennio di ininterrotta espansione in Europa e negli Stati Uniti, in perfetta coincidenza col picco degli indici azionari connesso al boom delle nuove tecnologie. L'Europa appariva in forte crescita, caratterizzata per di più da un quadro macroeconomico stabile – grazie al varo, l'anno precedente, dell'Unione monetaria in un contesto di risanamento delle finanze pubbliche e di bassa inflazione.

Logico quindi che le riforme auspicate nel programma di Lisbona fossero essenzialmente di natura microeconomica. Si trattava innanzitutto di completare il mercato interno, dando completa ed effettiva libertà di movimento alle merci e ai servizi, ai capitali e alle persone. Si voleva, inoltre, rilanciare la competitività eliminando le rendite di posizione e le barriere alla concorrenza nei settori dell'economia dove esse persistono, a livello europeo e nazionale. Si puntava, infine, a sostenere la crescita aumentando sia il tasso d'occupazione – che in Europa è di quasi dieci punti percentuali più basso che negli Stati Uniti – sia la produttività, attraverso la diffusione delle nuove tecnologie – in particolare le tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni – la riqualificazione della forza lavoro, il rilancio della ricerca scientifica, di base e applicata.

Un brusco rallentamento

A metà percorso, cioè a marzo di quest'anno, il Consiglio europeo ha dovuto prendere atto che i risultati della strategia di Lisbona non sono incoraggianti. La crescita europea ha subito un brusco rallentamento, in cifre assolute e relativamente ai risultati delle altre economie mondiali, di nuova e antica industrializzazione. Fattori congiunturali – come l'apprezzamento dell'euro, l'aumento del prezzo del petrolio, l'ingresso prepotente sui mercati di nuovi produttori, dalla Cina al Messico – hanno reso più difficile il mantenimento delle posizioni europee nel commercio mondiale, nello stesso momento in cui la domanda interna ha dato segnali di preoccupante debolezza.

Al di là di un quadro macroeconomico assai meno roseo di quello di cinque anni orsono, tuttavia, sono le stesse riforme microeconomiche della strategia di Lisbona ad aver marcato il passo, causando il generale rallentamento dell'economia, secondo le tesi prevalenti in Europa. Gli ostacoli a suo tempo individuati dal Consiglio europeo – al completamento del mercato interno, alla concorrenza, all'introduzione delle nuove tecnologie, all'ingresso nel mercato del lavoro – non sono stati rimossi se non in piccola parte, comunque insufficiente a rilanciare la crescita.

Intensificare il coordinamento

Di qui la decisione, presa dai Capi di Stato e di Governo nello scorso marzo, di rinnovare gli sforzi per raggiungere gli obiettivi di riforma di Lisbona, intensificando allo stesso tempo il coordinamento tra le istituzioni comunitarie e quelle nazionali preposte all'attuazione della strategia.

Il Consiglio europeo ha deciso di mettere inequivocabilmente l'accento su due obiettivi: crescita e occupazione. Tutte le riforme incoraggiate dalla strategia di Lisbona non sono, insomma, che strumenti al servizio di due obiettivi prioritari: crescita e occupazione.

Condivido a tal punto questa impostazione da auspicare persino che il termine "strategia di Lisbona" – un termine privo di significato per i non addetti ai lavori, cioè la stragrande maggioranza dell'opinione pubblica – scompaia dalle nostre discussioni. Il grande sforzo di riforma cui siamo chiamati, europei e italiani, è volto ad aumentare la crescita economica e l'occupazione.

Lavoro per tutti e quindi maggiore benessere: qualunque cittadino, credo, comprende e – soprattutto – condivide questi due obiettivi.

Un ciclo triennale

Dicevo prima del coordinamento tra le istituzioni comunitarie e quelle nazionali nell'attuazione delle riforme necessarie per il raggiungimento degli obiettivi di crescita e occupazione. Il Consiglio europeo di marzo ha infatti approvato un nuovo approccio, basato su un ciclo triennale a partire da quest'anno e da rinnovare nel 2008.

Questo ciclo prenderà le mosse dalle linee direttrici integrate (macroeconomiche, microeconomiche e d'occupazione) della strategia stessa, che saranno approvate dal Consiglio europeo del 16-17 giugno 2005.

Sulla base delle linee direttrici integrate, gli stati membri stabiliranno sotto la loro responsabilità dei programmi nazionali per la crescita e l'occupazione, rispondenti ai loro bisogni e alle loro situazioni specifiche. I programmi saranno oggetto di consultazione tra istituzioni pubbliche, a livello centrale e regionale, le parti sociali e il Parlamento.

La Commissione europea, dal canto suo, presenterà un programma comunitario per la crescita e l'occupazione che copre l'insieme delle azioni da intraprendere a livello comunitario, tenendo conto della necessità di convergenza delle politiche. I programmi nazionali dovranno essere presentati dagli stati membri alla Commissione europea entro il 15 di ottobre del 2005 e dovranno contenere la strategia da attuare nel triennio 2005-2008 per il rilancio della crescita e dell'occupazione.

La Commissione europea presenterà un rapporto annuale sulla messa in opera della strategia e il Consiglio europeo di primavera si pronuncerà sugli aggiustamenti alle "linee direttrici integrate" eventualmente necessari.

Al termine del terzo anno del ciclo, le linee direttrici integrate, i programmi nazionali e quello comunitario per la crescita e l'occupazione saranno rinnovati con la stessa procedura appena descritta, sulla base di una valutazione globale dei progressi realizzati nel frattempo.

Tra poco più di due settimane, dunque, toccherà agli stati membri, tra cui il nostro, mettersi al lavoro. Come gli on. deputati e senatori sanno già, ho avuto l'onore di essere stato nominato dal Presidente del Consiglio, lo scorso 20 maggio, coordinatore del piano italiano per la crescita e l'occupazione.

Subito dopo la mia nomina, nei giorni 24, 25 e 26 maggio, mi sono recato a Bruxelles dove ho avuto modo di discutere a lungo queste questioni col Presidente della Commissione, José Manuel Barroso, il commissario all'industria e alle imprese, Günter Verheugen, il commissario al mercato interno e ai servizi Charlie McCreevy, la commissaria alla concorrenza Neelie Kroes e i membri italiani del Parlamento Europeo.

Nel frattempo ho avviato i necessari contatti con le altre amministrazioni dello Stato e le parti sociali perché contribuiscano, nei settori di propria competenza, alla creazione di una struttura di coordinamento per la redazione del piano. Sarà mia cura, inoltre, tenere costantemente informata la vostra Commissione sugli sviluppi di questo esercizio.

Tempi stretti

I tempi sono davvero molto stretti – ricordo ancora che il piano deve essere trasmesso alla Commissione europea entro il 15 di ottobre – e l'impegno molto gravoso. È mia intenzione rafforzare la struttura del Dipartimento per le politiche comunitarie, dotandolo delle competenze necessarie - soprattutto in campo economico - a svolgere questo nuovo ruolo.

La posta in palio è tuttavia altissima. Nel clima di incertezza che contraddistingue il processo di ratifica del trattato costituzionale – clima che, a prescindere dall'esito finale del processo stesso, ha comunque evidenziato forti riserve nell'opinione pubblica europea verso le politiche dell'Unione – il rilancio della crescita e dell'occupazione rappresenta la sfida più importante che l'Europa si trova oggi ad affrontare, nonché una prima, concreta risposta alle inquietudini degli europei. Dobbiamo tutti essere consapevoli che su questo terreno si gioca una parte cospicua della credibilità dell'Unione agli occhi dei propri cittadini.

E se questo è il quadro a livello europeo, gli onorevoli colleghi sanno bene che per noi italiani la posta in palio è ancora più alta. Il nostro paese è stato particolarmente colpito dai fattori congiunturali che ho prima ricordato: l'apprezzamento dell'euro, l'aumento del prezzo del petrolio, l'ingresso sui mercati di nuovi paesi nei confronti dei quali, data la nostra specializzazione produttiva, siamo particolarmente vulnerabili. Con una politica monetaria concentrata sulla stabilità dei prezzi e una politica fiscale dai margini di manovra ridotti al lumicino, non abbiamo altra scelta per tornare a crescere che imboccare con la massima decisione la strada delle riforme strutturali dei mercati e dell'innovazione.

Il compito che ci attende è molto impegnativo e richiede una mobilitazione delle migliori energie del paese, unita a un grande coraggio politico di maggioranza e opposizione, per recuperare terreno, ridare slancio e vigore alla nostra crescita economica e aumentare l'occupazione.