Intervista "La Stampa" 16 giugno 2005 La Malfa: "L'Italia rispetti le norme di Bruxelles o non ci sarà ripresa" di Emanuele Novazio Ministro La Malfa, come responsabile delle Politiche communitarie rappresenterà anche lei l'Italia al vertice di Bruxelles. Il presidente di turno Juncker chiede "azioni e risposte" alla crisi innescata dal doppio strappo franco olandese. Da dove ripartire? "Ci sono due problemi, e il primo è: cosa fare del Trattato costituzionale? I Paesi devono essere lasciati liberi di decidere i tempi delle procedure di ratifica: bisogna lasciare tempo a chi vuole rinviare, ma ripromettersi di decidere nel corso del 2006 come riavviare un dossier fortemente rallentato". Il secondo problema? "Bisogna arrivare alle radici del malessere europeo. Secondo l'Eurobarometro 3 europei su 4 giudicano cattiva la situazione dell'occupazione nel proprio Paese, e 2 su 3 cattiva la situazione economica". Bisogna ripartire dall'economia, dunque. Ma al vertice di Bruxelles uno degli aspetti più controversi è la ripartizione dei fondi comunitari dei prossimi sette anni, con forti polemiche tra Francia e Germania da una parte e Gran Bretagna dall'altra, e minacce di veto da parte italiana: non c'è il rischio di risse contabili che allontanino ancor di più i cittadini dall'Europa? "Proprio questo timore spingerà forse a un accordo dell'ultima ora. Anche se sarebbe meglio un rinvio di 6 mesi piuttosto di un'intesa che lasci scontenti tutti e magari qualcuno più di altri come l'Italia: non possiamo pagare il grosso dei costi dell'allargamento con la perdita dei fondi strutturali per le nostre regioni più deboli. Come dice Blair, bisogna cambiare la struttura del bilancio comunitario, che adesso guarda indietro". Pensa al 40% dei fondi destinati all'agricoltura settore che produce il 4% della ricchezza europea ma è tenacemente difeso da Chirac? "Se potessimo spostare un euro dalla difesa dei settori tradizionali all'innovazione aiuteremmo il cambiamento dell'Europa. Un segnale politico importante potrebbe darlo Blair: se la sente di dar battaglia ad un'impostazione moderna del bilancio, nel semestre della sua presidenza?" Comunque vada oggi e domani l'Italia appare ancora una volta l'anello debole dell'Ue, come le disavventure del nostro debito pubblico e del nostro deficit di bilancio dimostrano. "Pur con questi problemi, l'Italia è stata fra i primi a ratificare il Trattato costituzionale e prima del voto francese i sondaggi davano il sì al 70% da noi. Si dimentica troppo spesso inoltre che l'Italia ha fatto dieci anni di politica restrittiva che le hanno consentito di invertire la dinamica del debito: arrivava al 128% ma è sceso regolarmente". Quest'anno però la discesa si è fermata. Per quanto riguarda il deficit si stanno rivedendo in negativo gli ultimi 2 anni, e si fanno previsioni negative per gli anni a venire. "Ma fra i grandi Paesi continentali siamo comunque i più vicini al 3%: Francia e Germania sono stati per anni al 4,5%. Si critica la finanza creativa: neanche a me piacciono i condoni e capisco le perplessità di ordine morale che sollevano. Ma dal punto di vista macroeconomico il risultato è stato positivo. Ora sta succedendo a noi quanto è successo al Portogallo: sanzioni, politiche restrittive, economia in discesa". Sta chiedendo una nuova attenuazione del Patto di Stabilità? "No. Il limite ai nostri deficit non è costituito dal Patto ma dal debito: anche se il Patto consentisse un deficit del 6% non ce lo potremmo permettere: ci sono le agenzie di rating a giudicare la collocazione del nostro debito pubblico". Eppure il suo governo ha spesso denunciato, anche ai massimi livelli, le responsabilità dei "contabili di Bruxelles", per nascondere le proprie. "Bisogna cambiare radicalmente strada sotto questo profilo. Il problema della ripresa economica deve essere affrontato non dal lato del deficit e nemmeno delle politiche monetarie: bisogna considerare l'impostazione delle politiche fiscali e monetarie un dato dal quale non ci si può discostare, perché queste sono le regole del Trattato e perché è il debito pubblico ad imporci la severità dei bilanci. Dobbiamo affrontare il problema della ripresa economica dal lato dell'offerta: l'economia non cresce perché ci sono troppi vincoli al mercato del lavoro, alla concorrenza, all'innovazione. Serve un cambiamento di fondo, anche della politica italiana". Come dire tornare al cosiddetto processo di Lisbona? "Assolutamente. Nel 2000 a Lisbona il consiglio Europeo decise di fare delle economia europea un'economia di grande innovazione e piena occupazione entro il 2010. Non con gli strumenti della politica monetaria e fiscale, bloccati dal Trattato di Maastricht, ma introducendo dosi massicce di concorrenza nei mercati del lavoro e dei capitali, nei servizi. E accompagnando il tutto con massicce dosi di innovazione: un bilancio di medio termine ha concluso che non è successo nulla. Bisogna ripartire da qui, e l'Italia è pronta a fare la sua parte: a breve mi riunirò con i ministri competenti". Non le pare comunque che il nostro appeal politico sia sbiadito, in Europa, che non riusciamo ad inserirci in modo credibile nella crisi dell'asse Parigi Berlino? "La prossima presidenza Ue sarà di Blair, con il quale l'Italia ha un rapporto molto solido". Ma a Blair non ha fatto piacere nel dibattito sul bilancio Ue, la critica italiana al rimborso britannico non accompagnata da una critica ai fondi per l'agricoltura francese. "Potremmo lamentare l'assenza di solidarietà britannica per i fondi strutturali a favore delle nostre regioni, ma tutto questo fa parte delle punzecchiature che precedono la trattativa. La solidarietà fra i due Paesi sulle questioni di politica internazionale è molto solida, e questo è un fatto. C'è un secondo elemento: in Germania molto probabilmente la signora Merkel sostituirà Schroeder, e ci sarà una maggiore vicinanza con Berlino. L'Italia deve ritrovarsi in questo spirito europeistico. Ha le carte in regola per farlo. |