Un problema non ancora risolto/Le differenze strutturali che dividono il nostro Paese

Concentrare i fondi, coordinare tutti gli interventi

Riproduciamo l'intervento integrale del presidente del Pri Giorgio La Malfa, riguardante l'istituzione di un Ministero per lo Sviluppo per il Mezzogiorno, presentato a Reggio Calabria il 5 giugno durante la conferenza stampa sul tema "Una proposta per il Mezzogiorno".

di Giorgio La Malfa

1. Il Mezzogiorno continua a rappresentare un problema, ancora largamente irrisolto, dell'economia italiana. Indiscutibili sono alcuni successi registrati dall'area meridionale dalla seconda metà degli anni novanta ad oggi tra cui, in particolare, i più elevati tassi di crescita del PIL rispetto al resto del paese (1,7% in media negli anni 1996-2003 rispetto all'1,4%), alimentati soprattutto dalla dinamica degli investimenti fissi lordi. Particolarmente sostenuta è stata anche la crescita dei tassi demografici di impresa, a dimostrazione di una vitalità imprenditoriale che si è rivelata particolarmente vivace nel Mezzogiorno.

Il divario "strutturale" tra il Mezzogiorno e il Centro-Nord non si è, tuttavia, attenuato nell'ultimo decennio. Al riguardo, vi sono vari indicatori preoccupanti:

il prodotto interno lordo per abitante nel Mezzogiorno in percentuale di quello del Centro-Nord è risultato ancora pari al 58,7% nel 2002 (55,7% nel 1995). Tale incidenza va da un massimo del 67% del Molise ad un minimo del 53,7% per la Calabria (che è la regione più povera del paese);

la dinamica relativa al mercato del lavoro meridionale, pur registrando un discreto recupero, non è riuscita ad attenuare le distanze con il resto del paese: ad esempio, il tasso di disoccupazione nel 2003 è stato pari al 17,7% nel Mezzogiorno contro il 4,5% del Centro- Nord, quindi superiore di 13 punti percentuali, gli stessi del 1995 (20,4% contro il 7,6%);

la disoccupazione giovanile è pari al 49% nel Sud rispetto al 14% del Centro-Nord;

mentre la popolazione del Mezzogiorno è poco più del 35% della popolazione complessiva in Italia, appartiene all'area meridionale circa il 64% delle persone in cerca di occupazione; il tasso di occupazione (pur in crescita dalla metà degli anni novanta) è modesto: 44,1% nel 2003 (41,8% in Sicilia e 42,3% in Calabria) contro il 62,6% nel Centro-Nord (68,3% in Emilia Romagna). Vi sono inoltre, all'interno dell'area meridionale, circa 450 mila nuclei familiari - il 10% del totale - nei quali nessun membro della famiglia ha un'occupazione; nel Centro-Nord solo il 2% delle famiglie si trova in questa drammatica situazione;

a fronte di un miglioramento del tasso di occupazione, sono risultati crescenti dalla seconda metà degli anni novanta i tassi di irregolarità nel Mezzogiorno, pari nel 2001 al 22,9%, rispetto al 12,3% del Centro-Nord. La Calabria e la Campania sono le regioni caratterizzate dai più elevati tassi di irregolarità (rispettivamente del 29,1% e del 25,2%);

per quanto riguarda le infrastrutture, l'indice generale rivela un livello di dotazione pari appena al 78% rispetto ad una media di 100 per l'Italia nel suo complesso. In alcuni campi il confronto è particolarmente sfavorevole. Nel settore idrico, siamo appena alla metà dei valori medi nazionali; nelle comunicazioni, ai tre quinti, nell'energia non si raggiungono i tre quarti. Riguardo all'estensione della rete ferroviaria - Ferrovie dello Stato più ferrovie in concessione - il Sud rappresenta solo il 40,4% del totale italiano;

il valore delle esportazioni per abitante risulta modesto nel Mezzogiorno: 1.371 euro (137 euro in Calabria) contro 6.474 euro del Centro-Nord;

il tasso di industrializzazione conferma la modesta rilevanza del settore industriale nell'area meridionale a confronto con quella del resto del paese: nel 2001, sulla base dei recenti risultati del Censimento ISTAT sulle imprese e sui servizi, tale tasso è risultato pari a 41,5 (115,3 nel Centro-Nord). Rispetto al 1991 tale divario non sembra essersi attenuato (43,3 nel Mezzogiorno contro 125,3 del Centro-Nord);

nel 2001 la dimensione media delle unità locali nel Mezzogiorno è modesta e minore rispetto a quella del Centro-Nord (2,9 addetti contro 3,9). La dimensione media risulta in flessione, per entrambe le aree, rispetto al 1991, a conferma della frammentazione della struttura produttiva del Mezzogiorno e del resto del paese verificatasi negli anni novanta;

l'incidenza della povertà nel 2002, cioè la percentuale di famiglie che hanno una spesa mensile per consumi equivalente al di sotto della soglia della povertà, a livello nazionale è pari all'11% e corrisponde a circa 2 milioni e 456mila famiglie. Nel Mezzogiorno tale incidenza sale al 22,4% rispetto a quote del 5% e del 6,7% registrate nel Nord e nel Centro del paese. Poco più del 66% delle famiglie povere è concentrato nel Sud;

la spesa per la ricerca è localizzata per il 93,4% nel Centro-Nord e per il 6,6% nel Mezzogiorno, così come lo era diversi anni fa. Il personale di ricerca è localizzato per il 92,4% nel Centro-Nord e per il 7,6% nel Mezzogiorno. Vi è poi uno squilibrio interno allo stesso Mezzogiorno; se in fatto di Personale di Ricerca il rapporto Centro-Nord e Mezzogiorno è di 7:1, tra Campania e Calabria è di 6:1 e tra Centro-Nord e Calabria, di 24:1. La ricerca privata (non universitaria) è ancora più squilibrata: assorbe solo il 3% della spesa complessiva ed il 4% del personale, percentuali, queste, inferiori a quelle della ricerca pubblica che sono dell'8.7% e del 9%, rispettivamente.

2. Da questo insieme di dati, non ignoti, ma che talvolta si tende a dimenticare guardando alle medie nazionali, emergono con chiarezza due conclusioni.

La prima è che, nonostante gli sforzi compiuti nel corso del dopoguerra per promuovere lo sviluppo economico del Mezzogiorno, il divario con il Centro-Nord permane elevatissimo. Da tutto questo non si può certo trarre la conclusione che questi sforzi siano stati inutili, poiché in assenza di essi il Mezzogiorno si troverebbe oggi in condizioni assai più precarie di quelle che pure emergono dai dati esposti sopra.

La seconda conclusione è che il persistere di questi divari è un fattore permanente di crisi del tessuto sociale del Paese. E' dunque indispensabile farsi carico del problema e aggredire con politiche appropriate questi problemi.

In realtà, mentre nei primi anni del dopoguerra la scelta che venne operata fu di dedicare un impegno straordinario per cercare di colmare il divario Nord-Sud, in tempi più recenti si è ritenuto che la fase degli interventi straordinari dovesse lasciare il posto a una politica ordinaria. Così è stata posta in liquidazione la Cassa per il Mezzogiorno, è stato abolito il ministero senza portafoglio per il Coordinamento degli interventi nel Mezzogiorno e si è ritenuto che bastassero le leggi specifiche a favore delle zone meno sviluppate, nonché i finanziamenti predisposti dall'Unione europea per le regioni meno favorite.

Ma tutto ciò non basta. Il persistere dei divari, così come la conseguente concentrazione del malessere sociale nel Mezzogiorno, impone oggi una nuova svolta ed il ritorno ad una politica che abbia di mira il Mezzogiorno nel suo complesso e che fissi un traguardo concreto di superamento del divario come specifico obiettivo dell'azione di governo.

3. Un esame della situazione attuale porta inevitabilmente alla conclusione che oggi non vi è più una sede nella quale le varie iniziative per il Mezzogiorno trovino una loro compiuta definizione. Alcune risorse sono distribuite dal ministero dell'Economia; altre, dal ministero delle Attività Produttive; altre dal Ministero dell'Istruzione; altre ancora con un forte impatto sul Mezzogiorno, sono concentrate in ministeri come quello delle Infrastrutture e dell'Ambiente; altre, infine, vengono gestite dalle Regioni individualmente, anche quando sarebbe necessario un coordinamento tra le diverse Regioni meridionali. La stessa utilizzazione delle risorse che l'Unione Europea mette a disposizione delle Regioni più svantaggiate è soggetta ad una serie di difficoltà ben note.

La conclusione alla quale una riflessione attenta sul problema meridionale conduce, è che è indispensabile disporre di uno strumento di intervento destinato a prefigurare lo sviluppo complessivo delle aree meridionali. Si può anche immaginare che si tratti di uno strumento la cui validità è legata alla persistenza delle difficoltà di sviluppo del Mezzogiorno e il cui orizzonte possa essere quindi stabilito in rapporto al superamento di questa condizione differenziale. Si potrebbe, da questo punto di vista, immaginare che questo strumento abbia termine quando tutte le Regioni meridionali abbiano raggiunto condizioni di sviluppo tale da consentire di uscire dal cosiddetto Obiettivo Uno dell'Unione Europea.

Lo strumento non può che consistere nella creazione di un ministero per lo Sviluppo del Mezzogiorno che abbia la responsabilità diretta dell'amministrazione delle risorse specifiche che la legislazione attuale destina alle aree del Sud e il potere di coordinare gli interventi dei vari ministeri destinati alle aree del Mezzogiorno.

In particolare, al ministero per lo Sviluppo del Mezzogiorno verrebbero trasferite le funzioni statali in materia di Politiche di coesione nelle aree depresse attribuite attualmente al ministero dell'Economia ai sensi dell'art. 24 co. 1 lett. C del decreto legislativo 30/07/1999 n. 300.

Inoltre, sarebbero trasferite le funzioni statali in materia di agevolazioni, contributi, sovvenzioni e benefici alle attività produttive dirette ad attuare politiche di coesione, nonché di promozione degli investimenti esteri nelle aree depresse attribuite ora al Ministero delle Attività produttive ai sensi dell'articolo 28, comma 1, lettere a) e b), del citato decreto legislativo n. 300 del 1999.

Sarebbero trasferite infine all'istituendo ministero le funzioni di Promozione e sostegno della ricerca attribuite oggi al ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca ai sensi dell'art. 50, co. 1, lett. B, del decreto legislativo n. 300 del 1999.

Questo per quanto riguarda l'importante mole di risorse che oggi vengono gestite da strutture ministeriali diverse, in totale assenza di coordinamento, risorse che in tal modo non possono determinare una massa critica di interventi concernenti nelle zone più suscettibili o più bisognose di sviluppo. Vi sono poi una serie di problemi di coordinamento delle iniziative che riguardano l'insieme delle Regioni meridionali, dalle infrastrutture stradali a quelle dell'acqua a quelle ferroviarie e cosi via, che debbono essere affrontati in un quadro unitario, così come deve essere perseguito il coordinamento delle iniziative delle Regioni in tutte le materie che attengono allo sviluppo del Mezzogiorno nel suo complesso.

Per queste ragioni, con il disegno di legge qui presentato, viene modificata la struttura del Cipe ed è istituita una commissione in seno al Cipe, presieduta dal presidente del Consiglio dei ministri o, su sua delega, dal ministro per lo Sviluppo del Mezzogiorno, che comprenda tutti i ministeri interessati a queste problematiche.

Infine, al ministero è affidato il compito di Indirizzo, Coordinamento e Vigilanza sulle società a partecipazione pubblica che operano nel Mezzogiorno o su problemi che attengono al Mezzogiorno.

Il problema dunque è quello di togliere agli interventi, pur lodevoli, che il governo fa e intende fare nel Mezzogiorno e a favore del Mezzogiorno, il carattere di episodicità e frammentarietà che sostanzialmente ne limita l'efficacia complessiva.

L'esempio di quanto si sta qui affermando è il progetto del Ponte dello Stretto, un'opera certamente significativa per mole di investimenti richiesti e quindi per il possibile diretto impatto economico, ma che avrebbe scarsissimo effetto sui processi di sviluppo del Mezzogiorno se non costituisse parte organica di un progetto di attrezzatura infrastrutturale, almeno della Calabria e della Sicilia, se non di tutte le Regioni meridionali. Progetto per il quale è necessaria una considerazione unitaria sotto il profilo economico e finanziario: ma per tale considerazione unitaria oggi non vi è una sede all'interno del governo.

Queste sono in sintesi le ragioni per le quali appare assolutamente urgente e indispensabile, alla luce anche del progressivo venire meno dei finanziamenti europei per la Coesione, che l'Italia si doti di uno strumento specifico mirato a dare vigore e impostazione unitaria alle politiche volte alla soluzione della nostra storica questione meridionale.

La proposta di istituzione del ministero per lo Sviluppo del Mezzogiorno è concretizzata nel progetto di legge che si allega. Esso verrà inviato al Presidente del Consiglio, ai partiti della maggioranza e dell'opposizione, così come alle organizzazioni aziendali e sindacali. Esso sarà oggetto di una iniziativa del Partito repubblicano italiano a tutti i livelli.