USPI/XVII Congresso Nazionale
Frascati (Roma) 19-20 Giugno 2003-Auditorium Scuderia Aldobrandini

Intervento del Segretario Nazionale del Pri On. Francesco Nucara

Ho accolto con particolare piacere l’invito del Segretario Generale, avv. Vetere, ad intervenire a questo Congresso che celebra il 50° Anniversario della fondazione dell’USPI. In realtà la mia carica istituzionale, al di là dell’interesse che ogni membro di un governo democratico deve riservare alla vita e ai problemi della stampa periodica, non mi attribuisce particolari e specifiche responsabilità in materia. Come Segretario Nazionale del Partito Repubblicano sento invece di avere titoli particolari per intervenire con giusta ragione a giornate di riflessione e dibattito sulle tematiche dell’editoria periodica. Non può infatti essere dimenticato che fu proprio il primo governo presieduto da un repubblicano, il sen. Spadolini, a varare la legge fondamentale sull’editoria.

La famosa legge 416 del 1981 fu un provvedimento che agì in misura determinante per avviare a risanamento l’editoria italiana, che attraversava da tempo un periodo di grave crisi, e ciò non soltanto per gli interventi di sostegno ma anche e soprattutto per le innovative e coraggiose misure tese a stabilire la trasparenza della proprietà, in armonia con il dettato costituzionale contenuto nell’art. 21, e a contrastare il pernicioso fenomeno della concentrazione delle testate. Ma il partito repubblicano non fu protagonista di quella buona battaglia soltanto per l’impegno profuso dall’allora Presidente del Consiglio Spadolini e del suo Sottosegretario alle tematiche dell’editoria, l’on. Francesco Compagna, al quale, in particolare, si deve la predisposizione delle norme di attuazione e la complessa attività di pratica esecuzione delle norme della legge nei suoi primi, difficili mesi di vita.

Non credo davvero che sia soltanto casuale che il varo della legge fondamentale dell’editoria sia stato in parte cospicua e determinante guidato da personalità del Partito Repubblicano. Credo invece che il più antico partito politico italiano avesse inscritto nel suo patrimonio genetico il destino di collocarsi in prima linea in una battaglia di crescita civile e democratica quale quella della salvaguardia del pluralismo della stampa e del suo affrancamento dalla congerie di manovre più o meno occulte che ne minacciavano l’autonomia.

Certamente la battaglia vinta con la legge 416 non ha e non può avere un carattere di definitività, e anche se molte delle sue norme conservano tuttora piena validità, quanto meno nelle finalità che le ispiravano, occorre rimanere continuamente vigili per essere pronti ad aggiornare gli strumenti giuridici volti a tutelare la correttezza dei processi informativi.

Negli anni ‘80 si ritenne necessario prevedere un sistema di aiuti diretti all’editoria per consentirle di uscire da una grave crisi economica e finanziaria in modo che poi, come allora si diceva, essa potesse essere in grado di "camminare sulle sue gambe" e affrontare, in condizioni di risanamento, lo sforzo oneroso di intraprendere e portare a compimento gli indispensabili rinnovamenti tecnologici.

Quello degli aiuti diretti o, per essere più espliciti, del versamento di contributi statali all’editoria fu per molti cultori dell’autonomia del mercato un boccone amaro da trangugiare e fu infatti un sistema accettato per straordinarie esigenze congiunturali.

Oggi nessuno pensa più di tornare a una editoria assistita. Occorre però essere chiari: il non intervento dello Stato che ripudia la pratica dell’assistenzialismo in quelle che debbono essere libere dinamiche affidate alla capacità imprenditoriale non può confondersi con la cecità di fronte a distorsioni del mercato che di fatto alterano la libera concorrenza.

Iniziative sane e vitali possono essere strozzate dell’esistenza di tollerate pratiche monopolistiche oppure da disfunzioni provocate da infrastrutture inadeguate.

In questo senso, ben lungi dall’auspicare la riedizione di un sistema di contributi diretti, mi sembra legittimo considerare la necessità del ripristino di misure di sostegno indiretto e cioè delle agevolazioni tariffarie in materia postale. Questa misura infatti ha precise motivazioni che risiedono proprio nelle caratteristiche reali delle infrastrutture esistenti in materia di distribuzione e postalizzazione, nonché nella particolare conformazione geografica del nostro Paese, che rende estremamente onerosa la spedizione di un giornale che debba raggiungere, ad esempio, una località montana situata a parecchie centinaia di chilometri dal luogo dove il giornale stesso viene stampato. E’ d’altra parte lesivo del diritto all’informazione che un cittadino residente in quella tale località sia nell’impossibilità di disporre del giornale che preferisce. L’affidare alla libera iniziativa la soluzione del problema è lo stesso che dire che o si accettano prezzi assolutamente esorbitanti per la spedizione o si deve assistere al rifiuto da parte del gestore di assolvere il suo servizio, quando esso comporti la consegna tempestiva del giornale in località difficilmente raggiungibili. Un intervento dello Stato sembra quindi ineludibile e ciò spiega il motivo per il quale lo scriteriato provvedimento adottato nel 1996 di abolire il concorso pubblico per il ripianamento in favore di Poste Italiane delle perdite che questa Società subisce per praticare prezzi accettabili in materia di spedizione della stampa sia in stato di sospensione e il regime delle agevolazioni postali sia stato ogni anno prorogato. Il Governo che aveva adottato il mai abbastanza deprecato provvedimento aveva erroneamente ritenuto di esservi obbligato, in ossequio alla normativa europea che vieta la concessione di contributi statali a gestori di servizi, per evitare alterazioni alla libera concorrenza. Non si era però tenuto conto del trascurabile particolare che il gestore del servizio postale nel nostro Paese è unico e che quindi non può verificarsi alterazione della libera concorrenza, quando essa non può esistere per mancanza di… concorrenti.

Riteniamo quindi che sia giunto il momento di finirla con il sistema dei rinvii e delle proroghe e molto semplicemente riconoscere che il provvedimento del 1996 è sbagliato e va quindi definitivamente abrogato.

Nella politica per la stampa l’unico principio che si deve considerare immutabile e indiscutibile è la difesa della sua libertà e della sua indipendenza, principio che ha come corollario l’impegno di promuovere la diffusione e il pluralismo, impossibili da garantire senza un’azione efficace per stabilire le condizioni generali che consentano il conseguimento della sua prosperità economica.

Nella diatriba tra i fautori degli interventi statali di sostegno e coloro che invece auspicano l’astensione da ogni tipo di aiuti, qualsiasi forma di dogmatismo preconcetto mi sembra condannabile. Occorre invece valutare, secondo le circostanze, quali forme di politica siano più efficaci per garantire la salvaguardia del principio irrinunciabile che ho prima enunciato. In caso contrario si corre il rischio di cadere nell’errore compiuto nel 1996, quando in ossequio ad un principio astratto - tra l’altro frainteso - si sono adottati provvedimenti che avrebbero potuto significare per molte testate la cessazione delle pubblicazioni.

In favore di queste testate e del loro diritto di continuare a esistere l’USPI si è vigorosamente battuta.

La battaglia intrapresa sembra stia per concludersi positivamente e definitivamente. Per parte mia assicuro ogni sostegno all’USPI perché la sua causa, che del resto è la causa di tutte le forze autenticamente democratiche, risulti vincente. Mi sembra che un impegno in questo senso sia il modo migliore di celebrare concretamente i cinquant’anni dell’USPI. Al Presidente Negri, al Segretario Generale Vetere e a tutti gli associati di questa benemerita Unione confermo la mia solidale vicinanza ed auguro di vedere coronata da successo la loro azione che, nel solco di una cinquantennale tradizione, è tesa alla salvaguardia di uno tra i beni più preziosi, la libertà della stampa.

19 giugno 2003