Corriere della Sera 23 gennaio/Escono i discorsi parlamentari del Professore: una lezione che non ha perso di attualità

Il decalogo del riformatore Spadolini

Dal governo fotocopia alla "politica dei piccoli passi"

Nell'agosto del 1982 Giovanni Spadolini formò il suo secondo governo, dopo una incomprensibile crisi di mezza estate. La Prima Repubblica aveva una certa fantasia nel coniare formule e definizioni e quel secondo pentapartito a guida laica sarebbe passato alla storia parlamentare come "il governo fotocopia". Nel senso che l'equilibrio delle forze tra Dc e Psi aveva finito per ingessare il presidente del Consiglio repubblicano, impedendogli di cambiare alcunché nella compagine. Come dire che il governo nasceva debole e infatti di lì a poco si sarebbe spento nelle sue contraddizioni, aprendo la strada alle elezioni. Eppure proprio in quell'occasione Spadolini seppe dare il meglio di sé come uomo politico. Riuscì a trasformare una condizione di debolezza in un motivo, se non di forza, quanto meno di novità istituzionale. Colse il malessere del sistema, che stava minando la credibilità della classe politica, e lo fece emergere dalle pieghe di un dibattito spesso esoterico. Con il senno del poi, si deve riconoscere oggi che Spadolini aveva intuito la profondità del disagio che qualche anno dopo avrebbe provocato la nascita della Lega Nord. Era un disagio che allontanava via via la cosiddetta "società civile" dalla politica tradizionale, dal "palazzo". Anche Sandro Pertini, presidente della Repubblica, aveva compreso il fenomeno e lo risolveva di slancio, alla sua maniera: presentando se stesso come referente del popolo rispetto alle tortuosità e ai ritardi dei politici.

Il ruolo e il carattere di Spadolini non gli permettevano, è ovvio, di entrare nei panni di un secondo Pertini. Ma proprio il fatto di essere percepito dall'opinione pubblica come uno non del mestiere, un "professore prestato alla politica", lo aiutò a fare del "governo fotocopia" l'occasione per introdurre nel dibattito politico il tema delle riforme istituzionali.

Per la verità se ne era già parlato in precedenza. La Grande Riforma fu per qualche tempo il cavallo di battaglia del giovane Bettino Craxi, all'indomani della sua presa del potere nel Psi. Ma il progetto si era ben presto arenato e non sarebbe stato ripreso nemmeno in seguito dal Craxi presidente del Consiglio nel periodo 1983-87: un arco temporale in cui la priorità del premier socialista fu la "governabilità".

Spadolini invece, in quell'agosto dell'82, aveva intravisto un'altra strada. Le riforme si potevano fare a piccoli passi, pur inserite all'interno di un disegno ambizioso di rinnovamento della Costituzione. Rinnovamento e non stravolgimento: la retorica della Seconda Repubblica era inutile, mentre era preziosa la capacità di restare aderenti a un percorso concreto, ancorato a punti precisi (il "decalogo": altra formula fortunata dell'epoca). Utilizzando il Parlamento come il luogo più idoneo per ridurre le tensioni e avviare un confronto costruttivo tra i partiti. Perché anche allora, naturalmente, era diffusa l'idea che le riforme sarebbero nate solo da una forma di intesa tra maggioranza e opposizione.

Avvenne così che il discorso programmatico del secondo governo Spadolini coincise con il lancio del messaggio riformatore, svolto in una chiave realista e plausibile. Il presidente del Consiglio non poteva non rendersi conto che il suo governo aveva il fiato corto. Ma quel "decalogo" (messo a punto grazie al concorso dei suoi consiglieri: Andrea Manzella, Vincenzo Caianiello, Silvano Tosi) segnava un punto di svolta che andava al di là della prospettiva del governo. Riapriva il discorso delle riforme e offriva una cornice, o se si vuole un'ipotesi di lavoro, a un largo ventaglio di forze parlamentari.

Quegli avvenimenti di oltre vent'anni fa meritano qualche attenzione, non solo da parte degli storici, nel momento in cui si torna a parlare di riforme. Certo, non è la prima volta e qualcuno teme che non sarà l'ultima. Ma c'è qualche somiglianza tra il metodo pragmatico di Ciampi, Pera e Casini e il lontano "decalogo" spadoliniano. Anche oggi, piccoli passi e molta tenacia in Parlamento. Viceversa, la Grande Riforma di Craxi e la Bicamerale di D'Alema hanno conosciuto, sia pure in forme diverse, lo stesso destino di fallimento.

Per queste ragioni merita di essere segnalato il volume sui discorsi parlamentari di Giovanni Spadolini, edito dal Mulino, a cura dell'Archivio Storico del Senato della Repubblica. Il terzo della collana, dopo quelli dedicati a Benedetto Croce e Vittorio Emanuele Orlando. Con la prefazione di Marcello Pera e un esauriente saggio introduttivo di Cosimo Ceccuti, il libro aiuta a ricostruire il percorso intellettuale e politico dell'uomo che divenne il primo presidente del Consiglio laico e raccolse nel Pri l'eredità di Ugo La Malfa.

Un personaggio unico e forse irripetibile nel panorama italiano: storico, giornalista, direttore del Corriere della Sera. Approdato alla politica, eletto al Senato, solo nel '72. Protagonista negli anni in cui si cerca di arginare i primi segni del declino della Repubblica e di infondere di nuovo nella vita politica un po' del vigore morale dei padri costituenti. Molta acqua da allora è passata sotto i ponti. Ma i temi toccati da Spadolini negli interventi parlamentari raccolti nel volume testimoniano un impegno civile che non ha perso d'attualità.

Stefano Folli Il libro: "Giovanni Spadolini - Discorsi parlamentari", con un saggio di Cosimo Ceccuti; Collana dell'Archivio Storico del Senato della Repubblica; Il Mulino, pagine 350, 32. Al volume è allegato un cd-rom che raccoglie tutti i discorsi parlamentari di Spadolini, con un indice tematico.

"Il Resto del Carlino" 23 gennaio 2003

La politica come servizio

di Cosimo Ceccuti

Sette maggio 1972. Giovanni Spadolini, a quarantasette anni, viene eletto per la prima volta senatore nel primo collegio di Milano, come indipendente nelle liste del partito repubblicano di Ugo La Malfa. Non ha alcuna militanza di partito alle spalle, ma una fulminea carriera di storico e di giornalista che lo ha spinto a occuparsi da sempre di politica. Primo titolare di cattedra di Storia contemporanea in Italia (1960), direttore per quattordici anni del "Resto del Carlino" (1955-1968) e per i quattro anni successivi del "Corriere della sera": tre vite in una — storico, giornalista, politico — vissute in un continuo intreccio.

E' l'immagine dell'uomo dalla prodigiosa attività e molteplicità di interessi che si ripropone con evidenza nella raccolta dei Discorsi parlamentari, diffusi in libreria dal Mulino nella nuova collana promossa dall'Archivio Storico del Senato della Repubblica, in una veste originale e funzionale. Un volume di circa 350 pagine, che propone al lettore 25 discorsi integrali fra i più significativi del suo impegno parlamentare e di governo, insieme a un Cd-rom comprendente tutti gli interventi in aula e quelli in commissione, fra 1972 e 1994, a beneficio di una completezza che non ha precedenti nelle analoghe raccolte. Soddisfacendo così, grazie ai moderni strumenti della tecnica, una duplice esigenza: consentire la lettura al pubblico più vasto e offrire agli studiosi una fonte completa di ricerca.

I "discorsi" confermano il ruolo politico di primo piano svolto da Spadolini nell'arco di un ventennio; i grandi e spesso gravi temi e problemi della vita del paese trovano puntuale riscontro nelle sue parole, lucidamente anticipatrici.

Presidente della Commissione Istruzione del Senato, è da subito punto di riferimento per quanti operano nel mondo della scuola e dell'Università. Ministro fondatore del dicastero per i Beni culturali (1974) fa approvare le prime leggi di tutela del patrimonio, favorendo insieme fruizione e valorizzazione.

Primo presidente del Consiglio laico nella storia della Repubblica nel 1981, in una fase di grave crisi economica e morale del paese, debella la P2, conduce la più intransigente battaglia contro il terrorismo, avvia col governatore della Banca d'Italia Carlo Azeglio Ciampi il primo tentativo di una politica dei redditi e "frena" l'inflazione schizzata al 22% riducendola in un anno e mezzo di governo al 16%. Propone al Parlamento, nel programma del suo secondo governo (1982) il "decalogo" sulle più urgenti riforme istituzionali, destinate via via a realizzarsi.

Ministro della Difesa fra 1983 e 1987 cura l'integrazione fra le tre Armi, accentua il ruolo internazionale dell'Italia nel presupposto di una difesa comune europea, denuncia con fermezza i rischi derivanti per tutti dal terrorismo internazionale e già nel 1987 mette in guardia dal "terrorismo nucleare".

Presidente del Senato dal 1987 all'aprile 1994, fino a tre mesi prima della scomparsa, rivela intera la sua capacità di mediazione, pur nella intransigenza sui valori e le questioni di fondo. Osservatore acuto della crisi del sistema politico (era stato fra i primi ad invocare il rinnovamento e la moralizzazione dei partiti) difesa la legittimità delle istituzioni contro lo scetticismo della gente e il rifiuto pur comprensibile della partecipazione politica.

Caratteristiche salienti dall'impegno politico di Spadolini, nominato nel 1991 da Cossiga senatore a vita, furono la fede nella ragione e nel civile confronto elevati a metodo di azione politica, e la politica stessa intesa come servizio reso ai cittadini, onesta scelta delle cose da fare nell'interesse della collettività. Il suo laicismo era soprattutto senso dello Stato; il suo ideale il "partito della democrazia" sognato già da Luigi Salvatorelli e dagli Azionisti del secondo dopoguerra: una democrazia senza aggettivi, quale risposta ai problemi di crescita della comunità italiana nell'ambito dell'Occidente industrializzato ed europeo. Ricordando spesso le ultime parole pronunciate dal suo amico Aldo Moro in Parlamento, "Anche di crescita si può morire".