Disegno di legge costituzionale d'iniziativa dei senatori Del Pennino e Compagna

Norme sulla forma di governo basata sull'elezione diretta del Primo Ministro. Modifica degli articoli 49, 72, 88, 92, 93 e 94 della Costituzione.

ONOREVOLI SENATORI! ­ Il presente disegno di legge costituzionale intende introdurre nel nostro ordinamento una nuova forma di governo, basata sull'elezione diretta del Primo Ministro, che tenga conto anche del ruolo dei partiti politici, in una rinnovata concezione costituzionale dell'art.49, nonché di un rafforzamento delle minoranze politiche, attribuendo loro la possibilità di impugnare preventivamente davanti alla Corte Costituzionale le leggi.

Riteniamo, infatti, che il problema della forma di governo non si risolva soltanto con la modifica degli articoli della Costituzione riferiti alla formazione dell'esecutivo ed ai rapporti di questo con gli altri poteri (in particolare, il legislativo), ma che vada piuttosto inquadrato nel contesto di un'organizzazione politica strutturata sui partiti, specialmente quando, come nella proposta qui presentata, si prevede un'elezione popolare diretta di una carica monocratica. E' chiaro che, laddove vi è un rafforzamento dell'esecutivo, legittimato direttamente dagli elettori, occorre un sistema partitico ben strutturato e rispondente a criteri di disciplina legislativa e ci deve essere, altresì, un contrappeso garantistico a favore delle minoranze, che noi abbiamo individuato nel ricorso avverso le leggi, ma che potrà poi ulteriormente svilupparsi nei regolamenti parlamentari.

L'idea di far eleggere a suffragio universale il Primo Ministro ha origini lontane e solide basi scientifiche. Alla fine degli anni Cinquanta in Francia era diventata la proposta istituzionale del club Jean Moulin, animato da giovani costituzionalisti, come Duverger, e da giovani politici socialisti, come Mitterand. Verso la metà degli anni Sessanta la proposta di elezione del Primo Ministro venne lanciata anche in Italia da Serio Galeotti dapprima nel "Gruppo di Milano" diretto da Gianfranco Miglio e poi, in sede istituzionale, nell'ambito del "Comitato Speroni" istituito presso il Ministero per le Riforme Costituzionali del primo governo Berlusconi. Il progetto di elezione diretta del primo ministro ebbe sostenitori tra le forze politiche: primo fra tutti il Partito Repubblicano Italiano, che lo presentò nel suo congresso del 1992, e poi Mario Segni e il gruppo dei riformatori, che lo sponsorizzò con la formula de "il Sindaco d'Italia", simulando su scala nazionale il meccanismo già previsto per i Comuni e per le Province con la riforma introdotta con la legge n.81 del 1993, (e che vale ora, sia pure transitoriamente, anche per le Regioni a statuto ordinario).

Il progetto di elezione diretta del Primo Ministro va nel verso di completare l'evoluzione istituzionale italiana, così come si è venuta a determinare a seguito della modifica del sistema elettorale in senso maggioritario. Si ritiene, cioè, che l'elezione diretta del Primo Ministro trasformi in diritto ciò che c'è già in fatto, laddove la nomina a capo del governo del leader della coalizione vincente - il cui nome è presente sulla scheda elettorale - altro non è che una forma politicamente molto forte, sia pure ancora non giuridicamente vincolante, di investitura popolare.

Con la nostra proposta intendiamo costituzionalizzare quanto già esiste in via consuetudinaria: affermando in modo chiaro e netto che il Primo Ministro non è soltanto indicato dai cittadini ma piuttosto eletto dagli stessi, in ossequio al principio fondante la nostra Repubblica, che è il principio di sovranità popolare.

La forma di governo che proponiamo è definibile come "neo-parlamentare" (ovvero, "governo di legislatura"), perché mantiene le caratteristiche tipiche del parlamentarismo, e in specie il rapporto fiduciario fra esecutivo e legislativo, sia pure in una rinnovata concezione di democrazia immediata, dove cioè il corpo elettorale è messo in condizione di votare ed eleggere il capo dell'esecutivo. In particolare, nel presente disegno di legge si prevede la simultaneità nell'elezione e nella cessazione dell'esecutivo e del legislativo (simul stabunt-simul cadent): governo e parlamento nascono insieme col voto elettorale e cadono insieme col voto di sfiducia dell'uno, il Parlamento, nei confronti dell'altro, il Governo, tornando così entrambi di fronte al corpo elettorale.

Si è detto della avvertita esigenza di porre mano anche alla modifica dell'art.49 della Costituzione, in ragione di una forma di governo che prevede l'elezione popolare del Primo Ministro. Il radicamento dei partiti sul territorio, ed una loro regolamentazione giuridica rispondente ai criteri di democrazia interna, tende, infatti, non solo a scoraggiare le c.d. frivolous candidatures per l'elezione a Primo Ministro,ma a rafforzare anche il ruolo dei parlamentari. Questi, infatti, anche se collegati per l'identità dei contrassegni al Primo Ministro, forti del consenso raccolto nel partito attraverso una designazione di base , conserveranno , pur nel rispetto degli impegni programmatici del partito e della coalizione, autonomia di giudizio e capacità di esercitare il loro ruolo di controllo.

Altro fattore che nel disegno di legge proposto pone a riparo dal pericolo di ogni deriva plebiscitaria, che taluni paventano dietro le ipotesi di elezione diretta del Primo Ministro, è rappresentato dal mantenimento della figura di un arbitro superiore, guardiano della Costituzione e simbolo dell'equilibrio organizzato , quale quella di un Presidente della Repubblica senza responsabilità diretta , il cui ruolo è mantenuto ben distinto da quello del capo del governo.

Infine, alcune brevissime considerazioni sulle altre ragioni, oltre a quelle già illustrate, che ci hanno indotto a presentare un progetto di modifica dell'art.49 della Costituzione (che si ricollega al disegno di legge ordinario da noi già presentato: Atto Senato n.1540). L'articolo 49, così come voluto dal Costituente, ci appare oggi fin troppo essenziale nella sua formulazione , perché si limita ad affermare che: "Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale".

E non è certo casuale la stessa collocazione dell'art.49 nella parte relativa ai diritti dei cittadini piuttosto che in quella relativa all'organizzazione costituzionale dello Stato, in cui i partiti, pur riconosciuti, non sono inclusi. Il loro operare non dipende da norme scritte, ma esclusivamente dalla costituzione materiale: incide peraltro in maniera rilevante sulla dinamica della forma di governo e pertanto ad essa deve essere collegato. Ecco perché abbiamo ritenuto di associare la proposta di modifica-integrazione dell'art.49 della Costituzione nell'ambito di un progetto sulla nuova forma di governo.

Una democrazia senza partiti è un non senso, è come un liberalismo senza libertà. La funzionalità democratica e la stessa democraticità di un sistema politico sono garantite dall'esistenza di un pluralismo di partiti e dalla loro competizione. Bisogna uscire dalla situazione di forte incertezza che si è venuta a determinare nell'ultimo decennio. Oggi, dopo le numerose vicende che hanno e che stanno ancora accompagnando la storia dei partiti politici nell'Italia repubblicana, occorre tornare ad affrontare il problema di una loro regolamentazione giuridica. Per restituire ai partiti quel ruolo di raccordo fra i cittadini e le istituzioni, che è fondamentale in una democrazia pluralista, e che, proprio per questo, non può più essere sottratto ad una regolazione in forme autenticamente democratiche ed aperte al controllo dell'opinione pubblica. Rivitalizzare il patto fra cittadini e partiti, vuol dire indurre questi ultimi a rinunciare ad una parte del loro arbitrio, subordinandosi a regole certe e trasparenti, rendendo pubblici i loro statuti oltre che i loro bilanci e dando più potere ai loro iscritti ed elettori.

Passando all'illustrazione degli articoli, l'articolo1 sostituisce al dettato dell'articolo 49 della Costituzione un esplicito riferimento all'ordinamento interno dei partiti, che deve corrispondere ai principi fondamentali della democrazia : affermazione costituzionale necessaria per poterne disciplinare da parte del legislatore ordinario forme, procedure, controlli delle fonti di finanziamento, nonché per poter definire per legge la partecipazione democratica alla designazione dei candidati alle elezioni, anche per quanto concerne l'elezione del Primo Ministro.

L'articolo 2 prevede di inserire, dopo l'articolo 72 della Costituzione, a garanzia delle minoranze parlamentari, la possibilità di deferire una legge, entro quindici giorni dalla sua approvazione , all'esame della Corte Costituzionale su iniziativa di almeno un quarto di componenti di una Camera, senza che ne venga, peraltro , sospesa la pubblicazione.

L'articolo 3 sostituisce l'attuale articolo 88 della Costituzione, prevedendo oltre i casi di scioglimento di cui al nuovo testo dell'articolo 94, la previsione di uno scioglimento deciso dal Presidente della Repubblica su proposta del Primo Ministro, del quale produrrebbe la contestuale decadenza .

L'articolo 4 sostituisce l'articolo 92 della Costituzione, introducendo l'elezione a suffragio universale e diretto del Primo Ministro contestualmente all'elezione delle Camere e stabilendo come collegare le candidature alla carica di Primo Ministro con i candidati dei partiti, o delle coalizioni ,alle Camere.

L'articolo 5 e l'articolo 6 riscrivono gli articolo 93 e 94 della Costituzione, attribuendo il potere di nomina e di revoca dei membri del governo al Primo Ministro, e prevedendo che l'approvazione, anche da parte di una sola Camera, di una mozione motivata di sfiducia comporti le dimissioni del Primo Ministro. In entrambe le innovazioni si è badato a conservare intatta - tramite il giuramento nella prima e tramite la dichiarazione di decadenza nella seconda ­ l'alta garanzia del potere neutro del Capo dello Stato.

L'articolo 7 introduce i necessari coordinamenti lessicali

 

DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE

Art.1

L'articolo 49 della Costituzione è sostituito dal seguente:

"Articolo 49.

Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere a determinare la politica nazionale.

L'ordinamento interno dei partiti, che disciplina la loro struttura ed il loro funzionamento, deve corrispondere ai principi fondamentali della democrazia.

La legge disciplina il finanziamento dei partiti e prevede le forme e le procedure atte ad assicurare la trasparenza ed il pubblico controllo del loro stato patrimoniale e delle loro fonti di finanziamento.

La legge definisce altresì il contenuto minimo degli statuti dei partiti stabilendo le disposizioni dirette a garantire la partecipazione degli iscritti a tutte le fasi di formazione della volontà dei partiti, compresa la designazione dei candidati alle elezioni, ivi incluse le candidature per l'elezione del Primo Ministro."

Art.2

All 'articolo 72 della Costituzione sono aggiunti i seguenti commi :

"Entro quindici giorni dalla sua approvazione una legge può essere deferita all'esame della Corte Costituzionale, per motivi di legittimità costituzionale, su iniziativa di almeno un quarto dei componenti di una Camera.

Il ricorso non sospende la promulgazione."

Art.3

L'articolo 88 della costituzione è sostituito dal seguente:

"Articolo 88

Il Presidente della Repubblica, oltre ai casi di scioglimento necessario previsti dall'articolo 94, può, su proposta del Primo Ministro, sentiti i Presidenti delle Camere, sciogliere le Camere. Il decreto di scioglimento produce la contestuale decadenza del Primo Ministro."

Art.4

1. L'articolo 92 della Costituzione è sostituito dal seguente:

" Articolo 92

Il Governo della Repubblica è composto dal Primo Ministro, dal Vice Primo Ministro e dai Ministri, che insieme costituiscono il Consiglio dei Ministri.

Il Primo Ministro è eletto a suffragio universale e diretto contestualmente con l'elezione delle Camere.

Le candidature alla carica di Primo Ministro possono essere proposte dai partiti che presentino con il medesimo contrassegno, o i medesimi contrassegni, in caso di coalizione, propri candidati per l'elezione delle Camere in almeno due terzi dei collegi, distribuiti almeno in quindici Regioni.

La legge definisce le modalità di applicazione del presente articolo."

Art.5

L'articolo 93 della Costituzione è sostituito dal seguente:

"Articolo 93

Il Primo Ministro presta giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica entro tre giorni dall'elezione. Dopo il giuramento il Primo Ministro entra nell'esercizio delle sue funzioni.

Il Primo Ministro nomina con proprio decreto il Vice Primo Ministro, i Ministri e i Vice Ministri. Allo stesso modo può revocarli.

Prima di assumere le funzioni, il Vice Primo Ministro e i Ministri prestano giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica, i Vice Ministri nelle mani del Primo Ministro.

Nei casi di dimissioni volontarie, di morte o impedimento permanente del Primo Ministro, il Presidente della Repubblica procede all'insediamento nell'ufficio del Primo Ministro il Vice Primo Ministro, che ne eserciterà le funzioni fino al termine della legislatura".

Art.6

L'articolo 94 della Costituzione è sostituito dal seguente.

"Articolo 94

Entro dieci giorni dal giuramento il Primo Ministro presenta alle Camere gli indirizzi programmatici del Governo.

Il voto contrario di una o di entrambe le Camere su una proposta del Governo non comporta obbligo di dimissioni.

Le Camere possono esprimere la sfiducia al Governo soltanto mediante mozione motivata votata per appello nominale a maggioranza assoluta dei loro membri.

La mozione deve essere presentata da almeno un quarto dei componenti di una Camera e non può essere messa in discussione prima di cinque giorni dalla sua presentazione. Nei primi due giorni di tale periodo possono essere presentate mozioni alternative.

Se la mozione è approvata, anche da una sola Camera, il Presidente della Repubblica riceve le dimissioni del Primo Ministro e ne dichiara in ogni caso la decadenza. Contestualmente procede allo scioglimento delle Camere, indicendo nuove elezioni per il Primo Ministro e per le Camere".

Art.7

Nel testo della Costituzione e delle leggi le espressioni: Presidente del Consiglio dei Ministri" e "Presidente del Consiglio", ovunque ricorrano, sono sostituite dalla seguente: "Primo Ministro".

Intervento del Sen. Antonio Del Pennino nel dibattito sulle riforme istituzionali

Signor Presidente, Colleghi Senatori,

intervenendo, 15 anni or sono, alla Camera, nel corso del dibattito che si svolgeva in allora contestualmente nei due rami del Parlamento sulle riforme istituzionali, ebbi a rilevare come quel dibattito giungesse al termine di una lunga fase di riflessione e di confronto, che aveva coinvolto partiti, dottrina e pubblicistica, sul funzionamento del nostro sistema politico, al punto da far sorgere il dubbio sulla possibilità di avanzare proposte che non fossero già state formulate.

Espressi, altresì, la preoccupazione dei repubblicani pel fatto che, se non si fosse riusciti a concludere alcunché di concreto, si rischiava di delegittimare ulteriormente le istituzioni, accrescendo la diffidenza e il distacco dei cittadini rispetto al sistema politico.

Dal maggio 1988 non poche e non irrilevanti modifiche sono intervenute nel nostro quadro istituzionale: si è posto mano a radicali riforme dei regolamenti parlamentari (basti pensare alla drastica riduzione delle possibilità di ricorso allo scrutinio segreto); si è passati da un sistema proporzionale ad uno maggioritario per l'elezione di Camera e Senato; si è approvata la riforma dell'ordinamento degli enti locali e si è introdotta l'elezione diretta dei Sindaci, dei Presidenti delle Province e delle Regioni, adottando il criterio maggioritario per la nomina dei relativi consigli. Da ultimo, con la legge 3 del 2001, si è radicalmente modificato il Titolo V della Costituzione, passando da un sistema basato sulla primazia gerarchica dello Stato ad uno in cui Stato, Regioni ed enti locali sono equiordinati.

Ciò non di meno dopo 15 anni si ripropone ancora il problema di rivedere le nostre regole istituzionali, perché inadeguata continua a mostrarsi la risposta della politica alle attese della società.

Le principali forze politiche sembrano concordi nell'individuarne le ragioni nell'incompiuta transizione verso il sistema maggioritario e nel fatto che non si sono create le condizioni per il pieno dispiegarsi della democrazia dell'alternanza.

Ma, nella ricerca delle concrete soluzioni, le posizioni restano tra loro assai distanti e le proposte, più vecchie che nuove, di cui si discute: semipresidenzialismo, premierato, cancellierato, riforme del bicameralismo, federalismo, statuto dell'opposizione, appaiono talvolta più bandierine che si vogliono piantare sul campo, che non meditate soluzioni per i problemi del paese.

E la diffidenza e il distacco dei cittadini dal sistema politico, che già paventavo nel lontano 1988, tornano a crescere. Un intelligente, anche se non imparziale, commentatore degli accadimenti politici come Vittorio Feltri, ha recentemente osservato, con riferimento alle riforme istituzionali, "...non succederà niente, non cambierà nulla…. non c'è un minimo di interesse nei cittadini alla questione…. la gente davanti all'ipotesi del presidenzialismo, del premierato o del cancellierato non si emoziona… legge i titoli sui quotidiani, e volta pagina…. ascolta tre minuti di dibattito in Tv e si sintonizza su un altro canale"……

Non è un giudizio che dobbiamo liquidare con la facile accusa di qualunquismo. E' un giudizio di cui non possiamo non tener conto se non vogliamo compiere un esercizio illuministico privo di concreto riferimento con la realtà del paese.

Ora un sistema politico non può prescindere dalla considerazione del rapporto tra società e partiti, partiti e istituzioni, se si vuole creare un effettivo canale di comunicazione tra società e istituzioni.

Perché, come ebbe a dire Ugo la Malfa, …"L'assetto istituzionale di un paese non cade dal cielo".

E nel nostro assetto istituzionale, che non cade dal cielo, non si può in alcun modo prescindere dai partiti.

Ha scritto recentemente uno dei più autorevoli politologi italiani, Ernesto Galli Della Loggia…:"stanno venendo meno tre dimensioni decisive intorno alle quali si è formata la società italiana…lo Stato, l'industria, i partiti…I partiti: sempre più tocchiamo con mano che quelli che per mezzo secolo hanno rappresentato l'ossatura della nostra vita pubblica, gli organizzatori della nostra democrazia, sono ormai ridotti a involucri vuoti e senza vita. Come un involucro vuoto ci appare la politica….

"Ma con il loro venir meno," al pari del venir meno dello Stato e della fabbrica, proseguiva Galli Della Loggia, è venuta meno "una fonte decisiva di unità e di comunicazione culturale tra le diverse parti del paese, e insieme un fattore primario di inquadramento e di disciplina sociale…… grandi agenzie di aggregazione e di normatività diffusa ma anche di pluralismo ideologico che hanno funzionato come un indispensabile correttivo storico rispetto all'Italia antica delle masse amorfe, delle oligarchie ereditarie e dell'individualismo vacuo e riottoso. Che hanno svolto un ruolo decisivo nel fare della Penisola un grande Paese moderno, ancora oggi capace di esprimere momenti alti di solidarietà e di passione civica. E' precisamente questo traguardo che invece oggi quella scomparsa sembra quasi rimettere in discussione."

Eppure la riflessione sul ruolo dei partiti, come è stata assente nel dibattito parlamentare del 1988, sembra rimanere terreno inesplorato anche nella fase attuale di discussione sulle riforme istituzionali.

La stessa dottrina ha affrontato solo marginalmente il problema, ed invece questo tema può rappresentare davvero il "nuovo" rispetto alle indicazioni di riforma elaborate in questi anni.

Basta pensare al fatto che proprio la mancanza di un'organica disciplina del soggetto partito ha portato all'inizio degli anni 90 alla crisi di quel sistema politico che pure, per usare una frase di Giorgio Amendola, sempre richiamata da Giovanni Spadolini, aveva "fatto raggiungere al popolo italiano un benessere che non aveva mai conosciuto nei suoi 2000 anni di storia."

Per questo, onorevole Presidente, il collega Compagna ed io Le abbiamo chiesto con una lettera, iniviataLe il 27 dicembre, di voler inserire tra le grandi questioni di parlamentarismo, di costituzionalismo e di liberalismo che sono nell'agenda del Senato, anche il tema relativo al riconoscimento giuridico e al finanziamento dei partiti ed alle elezioni primarie.

In quella lettera sottolineavamo come "la stessa meritoria attenzione ai rami nobili dell'ordinamento (maggioranza e opposizione, forma di governo e dello Stato, elezioni e rappresentanza) non si avvantaggerebbe affatto di una colpevole disattenzione a quel ramo prosaico, eppure tanto delicato ed importante, costituito dai partiti."

Siamo infatti convinti che senza fare del partito, regolamentato e riconosciuto, la sede in cui i cittadini si ritrovano per concorrere a determinare le scelte della collettività, nessuna riforma istituzionale riuscirà a ricreare quella fiducia nella politica che è indispensabile perché l'Italia resti ­ per dirla ancora con Galli Della Loggia ­ "una moderna compagine nazionale, all'altezza del nostro continente".

E ciò non solo perché ricordiamo l'insegnamento di Mario D'Antonio che, rapportando il problema del ruolo dei partiti a quello della riforma elettorale, sottolineava come: "certamente sui partiti si può intervenire con azioni indirette, con la riforma delle leggi elettorali e con la revisione della forma di governo in senso maggioritario o presidenziale; ma…..se il partito è guasto in sé stesso rimarrà guasto anche nel più raffinato sistema maggioritario."

Ma soprattutto perché, se il vero problema del confronto politico in atto è quello di come garantire un rafforzamento dell'esecutivo senza sminuire il ruolo del Parlamento, non è possibile risolverlo senza affrontare il tema dei partiti e delle forme attraverso le quali selezionare la rappresentanza.

Il punto su cui sembra esserci oggi più distanza tra le posizioni della maggioranza e quelle dell'opposizione è rappresentato dal potere di proposta di scioglimento delle Camere affidato al Primo Ministro.

I colleghi del centro sinistra esprimono la preoccupazione che, dando al premier questa facoltà, di fatto gli si consegnerebbe uno strumento di pressione nei confronti della sua maggioranza che trasformerebbe il Parlamento in mera cassa di registrazione delle volontà dell'esecutivo.

Vorrei ricordare che un grande uomo politico, che ha onorato la sinistra francese, Pierre Mendés France, nel libro "La Republique moderne" scriveva:

"Io non sono di quelli che misconoscono il ruolo fruttuoso o disastroso che un uomo può giocare nella vita pubblica"…Ma, "di fronte a un Parlamento le cui attribuzioni e la cui dignità siano assicurate il governo deve disporre, da parte sua, dei mezzi e del tempo necessari all'esecuzione dei termini del contratto di maggioranza….Il mezzo di evitare la precarietà, l'instabilità governativa senza cadere nel potere personale, risiede in una soluzione che associa strettamente l'azione, il compito e la durata dell'assemblea, all'azione, al compito e alla durata del governo…..Allorché un governo definisce una politica, annuncia esattamente dove vuole andare, fa appello alla maggioranza che gli ha dato vita, il Parlamento deve seguire e di fatto lo segue. Se nondimeno sopravviene un conflitto, il governo deve avere il diritto di procedere allo scioglimento dell'assemblea affinché il paese possa esprimere il suo giudizio".

Il problema di evitare distorsioni del sistema e l'esercizio di un "potere di ricatto" dell'esecutivo nei confronti del Parlamento, non si risolve negando al Premier il potere di scioglimento delle Camere:

si risolve, piuttosto, dando rappresentatività ed autorevolezza ai parlamentari, legandone la scelta a un procedimento di selezione democratica.

Il parlamentare espressione di una designazione di base, forte del consenso autonomamente raccolto, conserva, pur nel rispetto degli impegni programmatici del partito o della coalizione cui appartiene, autonomia di giudizio e capacità di esercitare un ruolo di proposta e di controllo.

Invece in un quadro come quello esistente oggi da noi, in cui manca ogni regolamentazione della vita interna dei partiti e vige un sistema elettorale basato su collegi uninominali ­ nella maggior parte dei quali già si conosce quale sarà la coalizione vincente ­ e su liste bloccate, la scelta dei parlamentari dipende esclusivamente dalla volontà di ristretti gruppi dirigenti e nessun eletto dispone di reale autonomia rispetto alla leadership che lo ha designato.

Senza por mano alla regolamentazione giuridica dei partiti e senza la contestuale introduzione di un sistema di elezioni primarie non solo non si risolve il problema di come garantire l'equilibrio tra l'esecutivo e il legislativo, ma si aggrava sempre più quel distacco tra i cittadini e la politica di cui parlavo all'inizio, perché la politica, i partiti, gli eletti verranno sempre più sentiti come qualcosa di "altri", qualcosa che riguarda solo una ristretta cerchia di addetti ai lavori.

Ha scritto Maurice Duverger in "Démain la république": "con i candidati imposti dall'alto dalle ristrette oligarchie dei partiti si spoglia l'elettore del suo diritto di scegliere, provocando così la sua "alienazione". Le elezioni diventano un rito meccanico celebrato senza fede, un atto coniugale consumato senza passione, un colpo di spada nell'acqua dato senza illusioni".

In forza di queste considerazioni, ho presentato ieri, insieme al sen. Compagna, un disegno di legge che riguarda sia la riforma dell'art. 49 della Costituzione, per affermare l'obbligo di una disciplina giuridica dei partiti e di una regolamentazione dei criteri di scelta dei candidati, comprese le candidature per l'elezione del Primo Ministro, sia la modifica degli articoli relativi alla forma di governo, prevedendo l'elezione diretta del Primo Ministro, cui viene riconosciuta la facoltà di proporre al Presidente della Repubblica lo scioglimento delle Camere.

Nella soluzione proposta in cui anche la scelta del primo Ministro, da parte del partito o della coalizione, dovrebbe passare attraverso un sistema di elezioni primarie, si riporta il partito giuridicamente riconosciuto al centro del confronto politico, facendone la sede di decisioni garantite e trasparenti in cui ognuno potrà vedere valorizzato il proprio contributo, evitando il pericolo di ogni deriva plebiscitaria.

In questo quadro il potere di scioglimento non diverrebbe strumento per spaventare un parlamento "riottoso", perché i parlamentari, forti del consenso che direttamente raccolgono nel partito, non vedrebbero la loro riconferma posta alla mercè del primo ministro o dei leaders della coalizione.

Imboccare la diversa strada di un Primo ministro non eletto e privo del potere di scioglimento e di parlamentari non designati attraverso un regolare sistema di elezioni primarie, ma scelti dall'alto, rischierebbe di portarci ad avere insieme un premier dimezzato e un parlamento esautorato.

Signor Presidente, Colleghi Senatori,

so bene che le considerazioni che ho svolto e le soluzioni che ho prospettato si discostano per diversi aspetti sia dalle indicazioni della maggioranza, di cui pure faccio parte, sia da quelle del centro sinistra.

La maggioranza non sembra propensa a prevedere riconoscimento giuridico dei partiti ed elezioni primarie.

Il centro sinistra che pure oggi ipotizza le elezioni primarie, lo fa più come strumento per superare le sue difficoltà interne, che come soluzione "istituzionale". E l'on. D'Alema, che ha fatto in queste settimane un'orgogliosa rivendicazione del ruolo dei partiti rispetto ai movimenti, che abbiamo apprezzato, non ne ha tratto però le logiche conseguenze in quanto non ha proposto di disciplinarli, togliendoli dall'attuale condizione di associazioni non riconosciute.

Ma soprattutto i colleghi del centro sinistra vedono nell'ipotesi di elezione diretta del Primo Ministro e nell'attribuzione allo stesso del potere di proposta di scioglimento delle Camere un pericolo di cesarismo.

Sinceramente non vedo questo pericolo nel modello che ho delineato, tanto più in presenza della figura di un arbitro superiore, guardiano della Costituzione e simbolo dell'equilibrio organizzato, quale quella di un Presidente della Repubblica senza responsabilità politica diretta, il cui ruolo viene mantenuto ben distinto da quello del capo del governo.

Comunque quel che mi sembra chiaro è che le nostre proposte appaiono oggi eterodosse ad entrambi gli schieramenti.

Ma proprio perché si collocano fuori dal "coro" chiedo alla cortesia dei colleghi di volerle valutare con qualche attenzione.

Negli scorsi giorni, lei, signor Presidente, come pure il Presidente Berlusconi, avete sollecitato uno sforzo comune per trovare un terreno di incontro.

Non ho certo la pretesa di averlo indicato.

Ma, come diceva Eraclito, occorre: "Cercare sempre l'inaspettato per trovare la verità".