L'intervento in aula del senatore Antonio Del Pennino in merito al disegno di legge sull'ordinamento giudiziario (21 gennaio 2004) Signor Presidente, annuncio il voto favorevole dei repubblicani su questo disegno di legge sulla riforma dell'ordinamento giudiziario perché apprezziamo il tentativo di introdurre norme volte a garantire criteri più rigorosi per l'accesso alla magistratura, una separazione delle funzioni tra magistratura giudicante e magistratura requirente, la tipizzazione degli illeciti disciplinari. Non posso, peraltro, esimermi da alcune considerazioni analoghe a quelle già sviluppate in sede di discussione generale dal collega senatore Compagna. Non ritengo cioè che il complesso problema di un miglior funzionamento del nostro sistema giudiziario possa essere risolto da questo solo provvedimento, ma che occorra porre mano ad una revisione complessiva delle norme costituzionali sia per quanto riguarda i criteri di accesso alla magistratura, sia per quanto riguarda la composizione del CSM. In questo senso il senatore Compagna ed io presenteremo nei prossimi giorni un apposito disegno di legge. Riteniamo infatti che il nostro sistema giustizia sia caratterizzato da due diversi mali: da un lato, la condizione di conflittualità dell'ordine giudiziario con gli altri poteri dello Stato, dall'altro una ormai congenita inefficienza, specie nel settore del contenzioso civile. Ma questi due aspetti, apparentemente contraddittori, hanno in realtà la stessa origine, cioè lo status della nostra magistratura. Negli anni ‘50, e ancora negli anni successivi, il giovane che entrava in magistratura aveva il compito di interprete della legge. Buon magistrato era colui che forniva la lettura più fedele possibile del testo normativo. Successivamente, a partire dagli anni ‘70, è stata introdotta la tesi secondo la quale l'interpretazione non è, né può essere, una semplice lettura, ma è sempre necessariamente un atto di creazione: tesi codesta che sul piano logico formale contiene ovviamente una sua parte di verità, ma che ha finito con l'aprire la strada alla possibilità per il giudice di superare gli invalicabili limiti linguistici del testo normativo. Un processo lungo e complesso, di cui sarà interessante un giorno scrivere la storia, portò alla fine degli anni ‘80 alla creazione di un nuovo modello di magistratura, che si è completamente sostituito al precedente. Se questo è il punto di arrivo di un'evoluzione cinquantennale, sarebbe assolutamente illusorio pensare di spostare indietro le lancette della storia. E le stesse norme introdotte per limitare l'interpretazione creativa in questo disegno di legge non ci sembrano una soluzione del problema. Ciascuno di noi può preferire l'uno o l'altro modello di magistratura, ma sul piano pratico il passato non ammette restaurazioni. La realtà è che siamo di fronte a due modelli del tutto eterogenei, anzi opposti fra di loro, e che certi comportamenti, che sono scandalosi se raffrontati al vecchio modello della magistratura, diventano del tutto normali e conseguenti se riferiti al modello nuovo. Indietro però non si torna. In queste condizioni, quindi, credo che il nodo di fondo sia quello di modificare, almeno parzialmente, i criteri di selezione per l'accesso alla magistratura. Bisogna cioè incominciare a pensare a un sistema di elezione diretta popolare dei magistrati, almeno per quanto riguarda i ruoli dirigenti. È del resto una vecchia tesi avanzata dalla sinistra alla Costituente, dagli onorevoli Gullo e Laconi, ed è la sola soluzione che può farci superare le polemiche sulla legittimazione del ruolo interpretativo e creativo della magistratura. Credo che questa sia una riflessione complessiva che noi dobbiamo fare. Certo, non si può pensare a una modifica radicale di tutto il nostro ordinamento giudiziario, perché sappiamo che una modifica troppo radicale può aggiungere vizi nuovi ai vecchi vizi; ma, quanto meno per quanto riguarda i ruoli direttivi, credo che questa sia una misura a cui dobbiamo seriamente pensare. Come dobbiamo pensare a una riforma del Consiglio superiore della magistratura. Anche qui oggi assistiamo, rispetto al dibattito alla Costituente, a una strana inversione delle parti: alla Costituente fu la sinistra, in particolare gli onorevoli Togliatti e Laconi, a sostenere, con Calamandrei e Leone, la tesi di un Consiglio Superiore della Magistratura paritetico fra membri laici e membri togati. L'onorevole Togliatti ebbe a dichiarare che questa era una garanzia per impedire le chiusure corporative e la separatezza della magistratura rispetto agli altri poteri dello Stato. Ebbene, una riflessione sulla composizione del Consiglio Superiore della Magistratura credo sia qualche cosa che oggi deve essere fatta da tutti in uno spirito bipartisan. Con il collega Compagna abbiamo pensato e indichiamo nel nostro disegno di legge una formula che era stata avanzata negli anni passati anche dall'allora Ministro per le Riforme Istituzionali, onorevole Maccanico, cioè una composizione che ripeta il modulo della Corte Costituzionale anche all'interno del Consiglio Superiore della Magistratura, attribuendo un ruolo di garanzia al Capo dello Stato e a quelli che saranno i membri del Consiglio Superiore della Magistratura da lui nominati, come elemento di equilibrio fra quelli di nomina politica e quelli eletti dai magistrati. Ma a questo punto vi è un altro elemento che desidero sottolineare, perché fa parte del nostro dibattito di questi giorni. Nel disegno di legge, che affronteremo la prossima settimana, relativo alla riforma dell'ordinamento costituzionale, vi è una disposizione che riguarda il Consiglio Superiore della Magistratura. Ebbene, io credo che sia un grave errore introdurre una riformetta, una piccola modifica relativa alla nomina del vice presidente in quella legge, perché questo significherebbe pregiudicare un più complessivo ragionamento sulla riforma della composizione del Consiglio Superiore della Magistratura. Credo quindi (e introduco sin d'ora questo elemento di riflessione) che sarebbe forse opportuno stralciare quella norma per farne oggetto di una riflessione più complessiva sulla revisione costituzionale delle norme che riguardano l'ordinamento giurisdizionale. |