Il dalemismo è esistito davvero/"Se passa la mozione Fassino me ne vado subito dal partito" Peppino Caldarola, una vita da comunista eretico di Riccardo Bruno "Compagno, sei fuori". Il giovane Peppino Caldarola venne espulso una sola volta nella sua vita, e nemmeno fosse uno scherzo, dal movimento politico da lui stesso fondato. Per di più la comunicazione gli venne per bocca di sua sorella. Fu lei, da giovanissima una bolscevica dura e pura, a dargli la notizia che "il circolo Lenin di Puglia" non avrebbe più ammesso nelle sue file l'eresia trotzkijsta. Era il 1968. Ma come, lei leggeva Trotzkij? E lo so che non si doveva, ma cosa vuole, ho sempre avuto una ascendenza anarchica e libertaria ed un gusto per l'eresia. Pensi che la mia prima iniziativa politica avviene ai tempi del liceo a Bari con una rivista, "La nuova frontiera", a cui collaboravano giovani repubblicani e liberali vari, e che recava una foto in copertina di JFK. Allora ha ragione Veltroni che sostiene che ci si iscriveva nel Pci perché si era kennedyani! Beh, io mi iscrissi nel Pci qualche anno più tardi, ma mi spostai sull'estrema sinistra sull'effetto della guerra del Vietnam, divenni praticamente un terzomondista. Un antiamericano, insomma? Erano tempi un po' diversi. Pensi che la mia prima tessera di partito fu del Psiup, ed i miei punti di riferimento politico erano Lelio Basso e Vittorio Foa. Individualmente mi sentivo un tipo anarchico a suo agio in ambienti dove il dissenso era di casa. E com'è che allora lasciò il Psiup? La rottura avvenne dopo l'invasione di Praga, perché il gruppo dirigente del partito era pur sempre legato a vecchi "carristi" che non ne volevano di fatto sapere di rompere con l'Urss, e forse nemmeno con Stalin. Io, sarà anche per le letture della Luxemburg e di Trotzkij, ma avevo ben chiaro cosa fosse l'Unione sovietica e non mi piaceva. Tutti i gruppuscoli si sovietizzavano dopo il '68 ed io mi iscrissi al Pci. Dalla padella alla brace. Oddio, non è che non c'erano dei problemi, ma il gruppo dirigente pugliese era illuminato ed aperto, in stretto contatto con la borghesia intellettuale della città, non indulgeva in settarismi. Avevo 22 anni e mi trovai a lavorare per la casa editrice Laterza a 250 mila lire al mese. Un sacco di soldi per l'epoca! Ma il lavoro con Vito Laterza doveva essere durissimo. Eccome, voleva che si stesse sui testi senza sosta, mi diede da dirigere una piccola collana politica, i "tempi nuovi" e una volta che mi dimenticai di far stampare il nome del traduttore di un testo, stava per buttarmi fuori! E cosa lo trattenne? Lo seppe la traduttrice Luisa Foa, la moglie di Vittorio, che intervenne implorando clemenza per un giovane alle prime armi. Ma lei se ne andò lo stesso. Che devo dirle, Tommaso Sicolo era il segretario del Pci di Bari e voleva rinnovare a fondo il partito, e la promessa di un'esperienza politica a tempo pieno mi parve irresistibile. E pensi che il mio stipendio passò da 250 mila a ottanta mila lire, ed io ero davvero felice nonostante i due gemelli che mi aveva dato mia moglie. Beata passione politica. Mi affascinava l'idea di poter concorrere a costruire un partito nuovo nella mia Regione, e il Partito comunista mi sembrava una grande occasione. Ed ebbe ragione? In parte, perché nacquero presto dei problemi. Quali? La Puglia, rispetto al resto d'Italia nella stagione del terrorismo, era come un isola felice. Era una grande regione del Sud con una battaglia politica assorbita tutta nelle istituzioni, con il retaggio di una società agraria. Insomma, non conoscemmo fatti di sangue legati al terrorismo. Invece avemmo un solo tragico delitto. Forse Benedetto Petrone? Esatto, un giovane handicappato che aveva partecipato ad una grande manifestazione antifascista e che passando poi una delle zone off-limits della città venne inseguito da qualche squadraccia fascista che lo accoltellò a morte. Fu uno choc per tutta la città, un dolore tremendo. E cosa avvenne? Noi nel partito ci attivammo subito per individuare i colpevoli, preparammo un dossier da dare alla magistratura inquirente, facemmo l'ira di Dio insomma, ma i giovani burocrati del partito bloccarono tutto, ritenevano che tutto quel baccano non convenisse, che era meglio buttarsi alle spalle la cosa. Lasciò il Pci, allora? No, ma mi ritirai a vita privata e come capirà mi trovai presto in difficoltà economiche. Era il '77 e una mano tesa mi venne da Adalberto Minucci che mi offerse un contratto a "Rinascita". Arrivò a Roma in quell'anno? Sì, ma non a "Rinascita"; il partito barese mi voleva recuperare e si oppose al mio trasferimento. Riuscì a convincere Minucci, ma non Reichlin che mi volle all'"Unità". All'"Unità" non si poteva dire di no. Fu un periodo interessante, immagino. Assolutamente sì. Reichlin stava creando una redazione di giovani intellettuali che fossero di fatto l'ossatura del futuro gruppo dirigente del partito, c'era il gruppo di Adornato, Villari, Sansonetti, Renzo Foa. Di tutti questi nel partito però rimase solo lei. Eh, ci sarebbe da riflettere anche su questo. Comunque, appena approdo in redazione e mi ambiento, riecco che il nuovo segretario regionale della Puglia mi chiede di dargli una mano, ed io non resisto al richiamo. Torno quasi subito in Puglia. E chi era questo nuovo segretario regionale della Puglia? Massimo D'Alema. Ci siamo! Vi conoscevate già? Sì, lui aveva fatto l'orazione funebre per Benedetto Petrone, ma le nostre frequentazioni erano sempre state legate alla politica, non da rapporti personali. Ma visto che siamo in tema, il dalemismo è esistito o si tratta di un'invenzione giornalistica? E' esistito eccome! Soltanto che ha avuto fasi diverse fra loro. E cioè? Una prima fase riguarda D'Alema giovane, e viene vissuta come futuro leader del Partito comunista. Si tratta del pupillo di Berlinguer. Il Pci era un partito che voleva il rinnovamento nella continuità, ed il giovane D'Alema ne era l'esponente che meglio lo rappresentava per il futuro. La seconda fase si apre con la Bolognina. D'Alema allora rappresenta la svolta, ma non il cambio di campo, D'Alema anche qui è la garanzia. Mi ricordo che Napoleone Colajanni lo chiamava "Mariano D'Alema", come Rumor. Ma in realtà D'Alema era il vero leader dell'operazione politica, perché mentre Occhetto era tutto preoccupato di tagliare i ponti, lui rinsaldava gli argini. Occhetto andava alla deriva e D'Alema presidiava il porto. La descrizione è sua, non mia. D'Alema rassicurava una grande famiglia che non si smarriva il filo della storia, mentre Occhetto si lanciava in una operazione che avrebbe voluto portare il partito in una definizione socialista più piena. Cosa che appunto non avvenne, e mi pare di capire che non avverrà. Mi lasci però concludere la risposta: c'è una terza fase del dalemismo. Giusto, quella di oggi. E come la caratterizza? Quella del D'Alema che ha maggior riguardo per se stesso, preso dall'ossessione di costruire la propria immagine come statista prima che come capo politico. E in continuità, questo di sicuro, con un vecchio vizio comunista, quale quello dell'autoreferenzialità della dirigenza. Tutto quello che fa la dirigenza è buono, se lo battezzo io è ottimo. Ad esempio la guerra? Esatto. Se io bombardo Belgrado è di sinistra, se Berlusconi manda i soldati in Iraq è di destra. Il comunismo in una persona sola. E' l'eternizzazione dello svoltismo: c'è sempre una svolta nella vecchia linfa del Pci, mai una revisione. Eppure è questa che fa un socialdemocratico. Mi viene da pensare che lei non voglia poi così bene a D'Alema. Abbiamo sempre avuto alti e bassi. Quando lui fu al governo e io dirigevo l'"Unità", abbiamo ingaggiato un braccio di ferro che portò al mio licenziamento Arrivò Fuccillo senza che io nemmeno lo sapessi e mi disse: scrivi di tutto quello che vuoi, ma non di politica. Ma io so solo di politica! Per cui la fecero smettere di scrivere. E però mi catapultò alla Camera. Stavo valutando delle nuove prospettive editoriali, quando Massimo mi chiama e mi dice che sarebbe ora di mettere la mia esperienza di nuovo a disposizione del partito. Nel 2001 mi candido, Folena mi vorrebbe mettere in terza posizione nel proporzionale per farmi fuori e D'Alema mi fa capolista rinunciando lui al posto in mio favore. Questo è D'Alema. Oggi è quello che con Adriano Sofri propone lo scioglimento dei Ds. Senta, io ho sofferto per lo scioglimento del Pci, ma capivo che si lasciava una grande famiglia perché quella storia era finita. Oggi soffro molto di più per lo scioglimento dei Ds, perché non c'è nessuna autentica ragione per farlo. I Ds erano la conciliazione fra l'inizio e la fine, l'ideologia e l'organizzazione comunista che ritornavano nell'alveo socialista. Tutto questo si butta via e non si capisce per cosa e con quale futuro. Per andare d'accordo con la Binetti. Per andare d'accordo con la Binetti si getta un partito ed un'esperienza politica e si sceglie di fatto l'a - identità. E' il frutto di questo bipolarismo malsano, per il quale esistono le forti leadership, i grandi contenitori da una parte, e dall'altra si riscopre l'idea che l'unica forza in grado di opporsi alla destra si debba costruire fra gli eredi del Pci e quelli del cattolicesimo democratico. Un'idea vecchia, sconfitta e che tuttavia non si rinuncia a voler rilanciare. Un compromesso storico in tredicesimo con Fassino e Rutelli al posto di Moro e Berlinguer. E' ovvio che non avrà futuro. E quale futuro vedrebbe invece Caldarola? Costruire un rapporto fra le forze modernizzatrici del Paese, socialiste, liberali, riformatrici, di rivendicare un'identità di sinistra piena riconoscendo l'appartenenza alle forze che esistono nella storia della politica europea invece di vagheggiarne una nuova. Insomma, non mi pare che abbia cambiato idea rispetto all'annunciata assenza dal prossimo congresso del partito. Il congresso a cui parteciperò sarà quello della mia sezione di Bari, dove voterò la mozione di Mussi, che è l'unica che dice chiaramente no al partito democratico. Una volta che Fassino avrà avuto invece la maggioranza delle sezioni sulle mozioni, riconsegnerò immediatamente la tessera del partito. Il vantaggio è che nessuno potrà più dirle: compagno sei fuori. Non è molto, ma non è nemmeno poco. Piuttosto, lei crede che anche Mussi lascerà il partito? Sinceramente non so cosa Mussi voglia fare. |