Mazzini nostro contemporaneo: la figura del patriota ligure vista da un rappresentante della sinistra, il cui nonno era un repubblicano/Le prime letture a scuola con i disegni dei carbonari costretti all’esilio. Il duro giudizio di Palmiro Togliatti nel 1931. I contrasti e le incomprensioni che si verificarono col marxismo

Europa, democrazia, battaglie laiche: l’attualità di un grande pensatore dell’Ottocento

Trascrizione dell’intervento pronunziato il 9 febbraio scorso durante il convegno "Mazzini nostro contemporaneo", Roma, Sala delle colonne, Camera dei deputati.

di Luigi Marino*

Io spero nel mio intervento di descrivere il mio percorso mazziniano e nello stesso tempo di dire perché ritengo Mazzini un contemporaneo.

Potrei partire dai miei ricordi. Mi sono portato le credenziali. I "Doveri dell’uomo", edizione del 1903, di mio nonno, purtroppo morto giovanissimo, e lo stesso libro del 1949, che io giovanissimo ho acquistato, con tante sottolineature, debbo dire a volte anche molto ingenue. Questo per dire il tipo di educazione che ho avuto e come tuttora sono legato a Mazzini, e non solo per ricordi familiari o per tradizioni familiari o per letture della mia adolescenza.

Io ricordo questo: Mazzini in un disegno di un libro (i testi scolastici erano poverissimi, di carta povera) con gli esuli che partivano. Mazzini incominciò a vestire di nero nel vedere i nostri che partivano; era il dolore per gli esuli, i carbonari che avevano fallito la prima battuta.

Mio padre era del Partito d’azione, io sono nato a Torre del Greco, un paese estremamente monarchico, potrei raccontare fatti esilaranti di questo sparuto gruppo di repubblicani, ricordo la faccia tesa di mio padre, presidente di seggio, quando uscirono tutti questi voti per la Monarchia, ma sarebbe un incontro diverso, non certamente adatto a questo tipo di circostanza. E potrei ancora continuare con la mia tesi di laurea sui Patti Lateranensi: rischiavo di non laurearmi, perché il relatore era avvocato della Curia, quindi…

Questo, diciamo, è il mio percorso mazziniano. Una cosa però - io ho aderito anche molto giovane al Partito comunista - una cosa mi tentò, perché Garibaldi aveva tanta fortuna nel movimento operaio, nella guerra civile in Spagna, nel battaglione internazionale, nella Resistenza, fra i partigiani… Addirittura poi mi ricordo negli anni della Guerra Fredda questo Garibaldi che, capovolgendolo, usciva fuori la faccia di Stalin. Insomma, perché erano questi gli anni, erano questi gli anni, era quella l’Italia con la sua povertà, con le suoi grandi contraddizioni, uscivamo dalla guerra infelice.

E quindi perché poi Garibaldi aveva questa fortuna? Sto descrivendo il mio percorso mazziniano: perché Garibaldi sì e Mazzini no? Mazzini che io avevo amato anche per tradizione familiare.

Quel Mazzini che, quando sorge il primo proletariato industriale, fu il primo a scorgere negli operai italiani questa forza rivoluzionaria che era rimasta fino ad allora inoperosa, rispetto anche a una visione paternalistico - umanitaria di quello che poteva essere un mutuo soccorso sic et simpliciter. Quindi il Mazzini dell’unione degli operai, che fu costituita come sezione della Giovine Italia. Ci fu l’innegabile influenza - che è stata ricordata - di Saint Simon e Fourier nella fondazione dell’apostolato popolare.

Non posso negare il fascino dell’utopismo anche egualitario, l’eguaglianza e degli uomini e dei popoli e nello stesso tempo la non sopportazione di quella ingiustizia dell’ordine sociale vigente allora: tutto questo esercitava un fascino notevolissimo su di me adolescente. D’altra parte l’influenza mazziniana è indubitabile sulle società operaie e sulle fratellanze artigiane, ma eravamo negli anni ‘50 e pure essendo affascinato, però mi riusciva difficile rispetto alla concretezza del movimento di lotta, mi riusciva molto difficile specialmente nella realtà meridionale pensare che la collaborazione tra le classi - senz’altro pure auspicabile - potesse essere l’idea forza rispetto alla concretezza e - direi - anche alla tragicità dei problemi di quegli anni.Tra l’altro poi riuscii finalmente a capire il perché della fortuna di Garibaldi rispetto a Mazzini nel movimento operaio, quando poi, da una lettura più approfondita, scoprìi, a differenza dei miei primi ani giovanili, che Mazzini aveva sostanzialmente condannato la Comune di Parigi e l’Internazionale Socialista, a differenza di Garibaldi, che invece si dichiarò solidale e con la Comune e con l’Internazionale Socialista. E quindi iniziò questa divaricazione. Il popolo, questa grande unità, dice Mazzini, che abbraccia ogni cosa, era un popolo interclassista. Le forze motrici erano gli intelletti della classe media che avrebbero guidato gli altri, e poi in Mazzini c’era questo rifiuto di ogni forma di comunismo, e soprattutto di una modificazione radicale dell’assetto di proprietà della società.

Un’altra cosa che facevo fatica a capire - io sono un uomo del Sud - è questa sottovalutazione, a mio avviso, non so se poi gli storici sono d’accordo, di quella che è la questione agraria. La questione agraria già nel Sud d’Italia, i mezzadri, i coloni, i contadini senza terra, i braccianti, era un condizione dolorosissima. Immaginiamo ancora un secolo prima quale fosse. Mazzini, non dico abbia ignorato, ma perché, fino a un certo punto, ha sottovalutato questa questione agraria? L’Italia era un paese sostanzialmente agricolo allora.

E, proseguendo, io ho letto il libro del professor Mastellone e posso ricordare questo famoso articolo che dice: con il comunismo avrete una centralizzazione con una gerarchia arbitraria di capi, con l’intera disponibilità della proprietà comune, con il potere di decidere circa il lavoro, la capacità e i bisogni di ciascuno. Qualcuno ha parlato di un Mazzini profeta rispetto a quello che è stata poi la storia, così come si è poi concretizzata. Voglio ancora ricordare anche questo tentativo di Mazzini - però fallito - di creare poi un movimento operaio in contrapposizione all’Internazionale. Movimento che fallì, è stato ricordato, perché credo che ci sia stato anche un fatto di incomprensione reciproca, anche qui occorre che gli storici diano i lumi, cioè da una parte una incomprensione da parte di Mazzini per il rinnovamento portato dal marxismo nella filosofia e nell’economia politica, insomma è un dato di fatto storico; e dall’altra parte incomprensione c’è stata anche da parte dei socialisti che non lo compresero pur avendo poi, sulla sostanza delle cose, opinioni abbastanza convergenti su quella che era ed è ancora l’ingiustizia sociale. Quindi questa unità del popolo per la propria libertà e per la democrazia resta ancora un fatto molto affascinante, ma il popolo per Mazzini è un popolo indifferenziato dal punto di vista delle classi sociali che lo compongono. Dio è popolo e popolo è immagine di Dio sulla terra.

La cosa, nella mia militanza comunista, che mi colpì dolorosamente, fu quando lessi un giudizio molto sgradevole di Togliatti su Mazzini. Precisamente nel ‘31 Togliatti, dando un giudizio sul Risorgimento scrive: i suoi eroi sono figure mediocri di uomini politici di provincia, di intriganti di corte, di intellettuali in ritardo sui loro tempi. Stiamo nel ‘31, 1931. E poi scrive ancora: Mazzini se fosse vivo plaudirebbe alle dottrine corporative, né ripudierebbe i discorsi di Mussolini sulla funzione dell’Italia nel Mondo.

Confesso che io, militante comunista, fui dolorosamente colpito da questa affermazione di Togliatti. Il giudizio di Togliatti su Cattaneo era meno pesante, sulla visione non reazionaria di Cattaneo tra città e campagna e sulla maggiore comprensione del problema contadino della necessità della distruzione radicale del feudalesimo. Però debbo anche dirvi che Togliatti da Mosca, per radio e con i suoi scritti, contrasta non solamente la strumentalizzazione operata dal fascismo del nostro Risorgimento, dei nostri fatti risorgimentali, ma recupera completamente tutta la nostra tradizione risorgimentale e in questo caso abbiamo invece, a differenza del ‘31, una esaltazione dei valori giacobini e soprattutto delle due grandi personalità: a suo avviso, Mazzini e Garibaldi.

Posso anche dirvi, a giustificazione del mea culpa commesso, che se andate a consultare il dizionario biografico del movimento operaio italiano in 6 volumi degli Editori Riuniti, che Mazzini ha qualche pagina in più e non in meno rispetto ad Antonio Labriola, rispetto a Gramsci, rispetto a Togliatti, come numero di pagine. Il dato di fatto è che nella storia del dizionario biografico del movimento operaio Mazzini ha qualche pagina in più e non pagina in meno: diciamo che si è rimediato.

Vado velocemente, perché questa mia testimonianza non può durare all’infinito. La giovane Europa è il primo tentativo di concepire una organizzazione democratica a carattere sopranazionale, dove Mazzini è contemporaneo anche qui. Noi abbiamo fatto enormi sacrifici per raggiungere l’Europa, tutti, compreso il movimento sindacale nel suo complesso, per entrare in Europa, per entrare nell’Europa monetaria: io credo che sia dovere di tutti oggi - tra l’altro la mia parte politica ha votato favorevolmente sul trattato costituzionale - io credo che nella migliore tradizione mazziniana noi dobbiamo cercare di costruire, dopo l’Europa monetaria, un’Europa politica, fattore di equilibrio, fattore di pace nel mondo, non un’Europa antiamericana, non in contrapposizione con il mondo arabo, ma un’Europa che oggi si è unificata coraggiosamente, e che abbia una corona di paesi amici perché - d’altra parte - lo stesso articolo 11 della nostra Costituzione prevede che in condizione di parità che l’Italia ceda parte della sua sovranità per assicurare la pace e la giustizia.

Una piccola digressione. E’ stato Eugenio Scalfari a ricordarci che ancora oggi abbiamo delle intromissioni politiche illecite, quindi prescrivere il comportamento degli elettori da parte del vaticano non è una cosa facilmente accettabile. Io credo che una battaglia laica debba essere ancora condotta, non nelle vecchie maniere di contrapposizione ma una battaglia laica, di ragionamento, senza isterismi, ma una battaglia laica dignitosa va condotta e vanno respinte anche certe intromissioni politiche che sono inaccettabili.

Io credo che nel ricordo di Mazzini le forze democratiche e progressiste, quelle che si richiamano ai valori fondamentali della nostra Costituzione, debbano oggi impegnarsi in una battaglia di difesa e di rafforzamento di quei principi fondamentali, di quella carta costituzionale nata dallo sforzo comune dei comunisti, dei socialisti, dei democratici, degli azionisti, dei liberali e anzitutto sforzarci di applicare quel principio secondo cui l’Italia ripudia la guerra, non solamente come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, ma come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli. Consentitemi una sola citazione di Mazzini. Mazzini dice: più che la schiavitù, io temo la libertà recata in dono. Persino sul fisco potremmo ricordare la contemporaneità di Mazzini, il principio della capacità contributiva, il principio della progressività, e Mazzini che fa l’appello alle classi medie e alte di lasciare parte dei propri privilegi per consentire l’emancipazione sociale delle classi più umili. Questo principio della progressività della capacità contributiva è un principio repubblicano su cui non possono non convergere le forze democratiche e progressiste che si richiamano a quei valori. L’unità del paese, a mio avviso, è a rischio. Io sono un uomo del Sud, sono un ex funzionario statale. Avevamo varie casse di diverse categorie professionali. Ecco: sanità e scuola, due punti fondamentali del pensiero politico, nel pensiero sociale di Mazzini, avevamo superato questa tutela della salute per categorie professionali, di appartenenza o per corporazione, con il servizio sanitario nazionale. Ove dovesse sciaguratamente trovare attuazione quella devoluzione - gli errori li abbiamo commessi tutti da questo punto di vista - ma ove dovesse trovare attuazione quella devoluzione per cui alle regioni sarà data legislazione esclusiva in materia di sanità, di scuola, di sicurezza (poiché non tutte le regioni sono uguali, per carità, il sud non è tutto omogeneo, ma ci sono regioni più ricche, regioni più arretrate) noi avremmo inevitabilmente con la legislazione esclusiva delle regioni una tutela sanitaria diversa, un diritto allo studio realizzato in maniera difforme, a seconda delle regioni di appartenenza.

La statizzazione integrale dell’economia è fallita, ma io credo che la nostra Costituzione, quella scritta da tutti quanti noi, dai nostri padri costituenti ovviamente, non sia una Costituzione meramente garantista per cui lo Stato sta solamente a guardare, non è una Costituzione liberal- borghese, quella Costituzione che è stata scritta dai nostri padri. Io credo che fallita la statizzazione integrale resti valido quel messaggio di democrazia progressiva fatto di un intervento dello Stato, che quindi non lascia tutto solo al mercato, allo spontaneismo del mercato, alle virtù salvifiche del mercato. La nostra è chiaramente una Costituzione che è frutto di un sincretismo istituzionale, di una ideologia transattiva tra il puro individualismo e il collettivismo socialista, una democrazia progressiva che realizza una società solidale, per rendere effettiva la partecipazione dell’individuo e dei gruppi alla vita politica, economica e sociale del paese facendo del lavoro il punto fondamentale, il criterio di individuazione dell’individuo nella società.

Io credo che questo fa sì che Mazzini sia ancora nostro contemporaneo e credo che dalla lezione mazziniana si possa trarre l’auspicio di una maggiore convergenza di quelle forze democratiche e progressiste che hanno scritto la nostra carta fondamentale e che si richiamano a quei valori.

*Senatore, Gruppo parlamentare Misto - Comunisti italiani