La Romagna ricorda Ugo La Malfa/Manifestazioni a Ravenna, Forlì e Cesena Guardare all'Italia da una salda sponda Atlantica di r. b. Ugo La Malfa guardava a sinistra? "Si, certo, ma ben saldo nell'alleanza con la Democrazia cristiana". Nel bipolarismo della Prima Repubblica, non ci sono dubbi sul polo al quale appartenesse il leader del Pri. E' la risposta che il figlio Giorgio dà al giornalista della Rai che segue la ricorrenza del centenario della nascita dello statista celebrata a Ravenna. Il segretario del Pri, Francesco Nucara, il giorno prima a Forlì, aveva preferito caratterizzare la figura dello statista repubblicano nella sua epoca, e attenervisi rigorosamente, proprio per evitare ogni possibile illazione su cosa avrebbe fatto o detto un Ugo La Malfa dei nostri tempi. Ma se dobbiamo interpretare il futuro alla luce del passato, come ha chiesto di fare la manifestazione ravennate al ridotto del Teatro Alighieri, organizzata dal vicesindaco Giannantonio Mingozzi, stiamo bene attenti a quello che si sostiene: Ugo La Malfa segna una distanza politica dalla sinistra tradizionale inequivocabile. E il suo essere di sinistra, modernizzazione, progresso, capitalismo, era agli antipodi con quello che in Italia si intendeva comunemente per "sinistra". La Malfa rappresentava un'altra sinistra, con ben pochi proseliti, soprattutto fuori dai confini romagnoli. Il figlio Giorgio ha dedicato molta cura nel ricordare questa particolarità. "Eugenio Scalfari scrisse che la morte di Ugo La Malfa era un dolore per tutta l'Italia, e che con La Malfa moriva lo Stato. Ma l'ultimo articolo che lesse mio padre di Scalfari era una requisitoria che lo descriveva quasi come fosse un mascalzone perché pronto a varare un governo Andreotti". Comunque per Giorgio il giudizio di Scalfari era sbagliato anche nell'epitaffio. Nel senso che in La Malfa non si poteva riconoscere l'Italia, non quella degli scandali, dei bassi compromessi, della spesa facile. Ugo La Malfa rappresentava un'Italia di minoranza, il senso dello Stato, quale avrebbe dovuto essere, ma non certo lo Stato baraccone che era stato costruito. Poi certo può far piacere tanto rispetto una volta morti, ma non è che ci si dimentica dell'avversione suscitata in vita. Appartenere ad una minoranza comporta la consapevolezza e la responsabilità di dover dire e fare cose che spesso dispiacciono alle maggioranze. Questo segna il confine politico fra La Malfa ed i suoi numerosi estimatori di oggi e fra chi ne ha avuto invece il problema di raccoglierne per davvero l'eredità. Per questo i repubblicani sono poco o nulla assimilabili in uno schieramento. O, come ha detto Giorgio dopo aver ascoltato marce garibaldine e inni mazziniani, con l'attuale sistema maggioritario "non si riesce a trovar pace nella parte in cui posiamo del letto". Forse anche per questo sarà bene che i repubblicani di Ravenna e di Forlì tengano conto che l'appartenenza ad una casa politica come questa impone che le alleanze non siano considerate indissolubili e accettate come un dogma, soprattutto in condizioni politiche precarie come le attuali. Giorgio La Malfa sottolinea come sempre di più appare inadeguato un sistema maggioritario a fronte di emergenze che imporrebbero formule di solidarietà nazionale, come il caso Parmalat e Cirio ad esempio, e che pure sono impossibili nello scontro frontale di oggi. Così come marca la distanza dalla maggioranza a cui appartiene sulla riforma costituzionale: "non voteremo una legge che rischia di dividere lo Stato", dice. Ma non ha nessuna nostalgia del centrosinistra, neanche a proposito dell'unità d'Italia. "Sono proprio loro che con la riforma dell'articolo 5 hanno creato alla fine della passata legislatura questa confusione". Chissà che i repubblicani non farebbero bene ad ascoltare il presidente del partito, preoccupandosi degli sviluppi futuri di un sistema politico che perde colpi, piuttosto che attaccarsi ad una lotta di schieramento che, tutto sommato, può solo rappresentarli per qualche stagione. |