Il segretario nazionale del Pri ha ricordato a Forlì, durante le manifestazioni per il centenario della nascita, la figura di Ugo La Malfa/Dall'esperienza antifascista a fianco di Amendola alla fondazione del Pd'A fino all'adesione all'Edera che considerava "poco partito di opinioni e molto partito di iscritti" Un uomo politico per il quale l'arte del buon governo era l'impegno fondamentale Il segretario nazionale del Pri ha ricordato la figura di Ugo La Malfa il giorno 7 febbraio 2004 a Forlì, durante le celebrazioni per il centenario della nascita dello statista siciliano. di Francesco Nucara Tra le tante meritevoli iniziative promosse dalla Fondazione che porta il suo nome, nell'ambito delle celebrazioni per il centenario della nascita di Ugo La Malfa, quelle di questi giorni, a Forlì e Ravenna e Cesena, hanno una significativa rilevanza. Se Palermo e la Sicilia furono la sua terra d'origine, il luogo della nascita cui rimase per tutta la vita permanentemente legato, sentendosi sempre un uomo del sud, un emigrato che portava nell'altra Italia e in Europa un'ansia di riscatto civile, se Milano costituì la sua più importante scuola di vita, il suo ingresso nel mondo della finanza e dell'economia, la sua finestra privilegiata, (grazie all'ufficio studi della Banca Commerciale) attraverso cui riusciva ad affacciarsi e conoscere le esperienze più avanzate del mondo occidentale, nonostante la soffocante chiusura del fascismo, Ravenna, Forlì, Cesena e la Romagna hanno rappresentato nella vita politica di Ugo La Malfa la realizzazione di un sogno. Il grande sogno del partito di massa della Repubblica. La Malfa è stato, senza alcun dubbio, una delle figure più alte del pensiero democratico italiano, uno dei grandi padri dello nostro Stato repubblicano. Non a caso il presidente della Camera, Casini, ricordandolo a Bologna, ha detto che egli è ormai patrimonio comune della Repubblica e che appartiene a tutti, ma io dico che appartiene soprattutto ai Repubblicani che sono rimasti nel PRI. Non a caso, in questi anni tormentati e difficili di una transizione che sembra non avere mai fine, nei quali un bipolarismo forzato e spesso incomprensibile, ha lacerato il paese in una contrapposizione di reciproca delegittimazione, tutti i contendenti in campo, a destra come a sinistra, hanno visto e vedono nella lezione di La Malfa un punto di riferimento e di legittimazione. Ma se questo ci fa indubbiamente piacere e ci ripaga di tante amarezze, non dobbiamo dimenticare che Ugo La Malfa non fu soltanto un pensatore acuto e intelligente, le cui pagine primeggiano in una ideale antologia del pensiero democratico, né fu un isolato studioso di teorie, né tantomeno fu mai un tecnico o un professore "prestato" alla politica. Egli fu, sempre e soltanto, un uomo politico, calato quotidianamente nell'agire politico, convinto che la politica, come arte del buon governo, come somma di conoscenze tecniche e professionali, di capacità intuitive e di tensione morale, fosse l'impegno più importante, quasi sacrale, che si dovesse assolvere in uno Stato democratico. Questo suo essere sino in fondo un uomo politico nasceva dall'esperienza giovanile che lo aveva segnato profondamente negli anni della giovinezza. L'esperienza dell'Unione Democratica Nazionale di Giovanni Amendola, estremo coraggioso e, purtroppo, inutile tentativo di arginare la catastrofe dello Stato liberale. Da quella eroica quanto sfortunata esperienza, che fu anche il suo battesimo politico, La Malfa imparò una lezione fondamentale dalla quale non si discosterà per tutto il resto della sua vita. Ovvero che nell'azione politica se si vuole incidere realmente e non limitarsi al ruolo di pura coscienza o semplice testimonianza occorre possedere quello strumento indispensabile che è il partito. La Malfa comprese lucidamente come nella crisi dello Stato liberale un ruolo fondamentale fosse svolto dall'apparire sulla scena politica dei partiti. Le forze liberali, così frantumate e divise in clan personali, che facevano capo a questo o quell'esponente liberale, non erano in grado di fronteggiare la forza dirompente degli organizzati partiti della sinistra e quando, da una costola di questi, nacque il partito fascista e si mosse alla conquista della borghesia nazionale, ne furono definitivamente travolte. Fu per l'amendoliano La Malfa un'occasione di grande amarezza e ve ne è traccia nelle memorie di Giorgio Amendola, il figlio di Giovanni, che insieme a La Malfa aveva militato nella gioventù dell'Unione Nazionale. Giorgio Amendola narra che al ritorno da un suo viaggio a Parigi, dopo aver incontrato gli esuli della concentrazione antifascista, in gran parte legati alla memoria del padre, si convinse che quel mondo era ormai morto e che l'unico modo per fronteggiare il fascismo fosse quello di aderire al partito comunista. Quando confessò questa decisione agli amici più intimi, La Malfa e Fenoaltea, La Malfa ne rimase profondamente ferito. ( ) L'incapacità del mondo liberale di attrezzarsi con l'unico strumento capace di incidere nella lotta politica, il partito moderno, fu una delle cause della sua dissoluzione e La Malfa lo comprese così bene che quando dalla ormai presumibile disfatta della guerra cominciò a intravedersi lo spiraglio di una possibile liquidazione della dittatura se ne creò uno tutto suo. Il partito d'azione, una meteora nella vita politica dell'Italia, ma che seppe segnare pagine significative negli anni più cruciali del passaggio dal dispotismo alla democrazia, era una creatura di La Malfa. Convinto che le vecchie sigle partitiche fossero state definitivamente battute dal fascismo e superate dalla storia, che il socialismo, in tutte le sue sfumature, appartenesse al passato, che la imponente forza organizzativa del partito comunista potesse e dovesse essere contrastata sul suo stesso terreno, La Malfa diede vita a Milano insieme a Tino, Vinciguerra, Parri ( non starò qui a ricordare tutti gli altri) ad un soggetto politico del tutto nuovo, quel partito d'azione, che pur richiamandosi nel nome alle esperienze risorgimentali, voleva essere il superamento degli errori dei vecchi partiti democratici antifascisti e costituire, fuori da soffocanti vincoli ideologici, l'asse politico portante della nuova Italia. ( ) Come è noto la stagione dell'azionismo fu breve. Da un lato, la ricostituzione dei tradizionali partiti democratici, il socialista, il liberale, il repubblicano ne limitò lo spazio di azione, dall'altro la vocazione di una gran parte dei suoi nuovi militanti a sentirsi parte integrante del movimento socialista né minò le ragioni stesse della sua esistenza. Da grande idea democratica a piccola eresia socialista. In questi termini è stata felicemente sintetizzata la sua parabola. Ma nel momento della sua maggiore vitalità il partito d'azione rappresentò lo strumento con cui La Malfa seppe scrivere pagine decisive per i destini dell'Italia. Basti ricordare il passaggio dal governo Badoglio al governo Bonomi, quando, come ha ricordato più volte lo stesso La Malfa, Togliatti, sostenitore della continuità monarchica, si presentò al tavolo del comitato di liberazione nazionale insieme a Badoglio, convinto della sua riconferma. Quel giorno l'intransigenza lamalfiana, forte della sua rappresentanza partitica, piegò il partito comunista di Togliatti, Badoglio fu costretto a dimettersi, Bonomi assunse la guida del Governo in nome dei partiti antifascisti. ( ) E così, quando il partito d'azione si dissolse inseguendo la chimera del socialismo, La Malfa si pose il problema di come proseguire la sua presenza politica. La scelta fu consequenziale e immediata: il partito repubblicano italiano. Il partito era per lui essenziale, non avrebbe mai potuto immaginare un'azione politica fuori da un partito e senza di esso. ( ) Alieno da ogni suggestione socialistica, laico convinto, democratico di respiro europeo e occidentale non ebbe tentennamenti nell'entrare nel partito repubblicano, riconoscendone la continuità con la migliore tradizione democratica risorgimentale. Quello che non era stato il partito d'azione, fu per lui il partito repubblicano, uno strumento agile di lotta politica, capace di muoversi senza la pesantezza dei grandi partiti (lo definiva il "carrarmato" leggero della politica italiana), ma al tempo stesso con tutta l'autorevolezza di un partito storico e di massa. Sì, proprio di massa, ossia un partito di struttura radicato fortemente nei suoi insediamenti sociali e territoriali, capace di contrastare fieramente l'invadenza comunista. ( ) Ebbene, La Malfa non ebbe mai tentennamenti, ma pur consapevole della sproporzione delle forze, sapeva che la presenza del partito repubblicano sarebbe stata capace di condizionare il gigante democristiano da sempre propenso a facili scivolamenti verso avventure nostalgiche, che l'antidemocratica destra di quegli anni, monarchica e neofascista, rendeva pericolosamente possibili, ma anche capace di contrastare il dilagare di un comunismo autoritario e soffocante, altrettanto antidemocratico e pericoloso. Vi è, quindi, un rapporto indissolubile tra Ugo La Malfa e il partito repubblicano, testimoniato da tutta la sua presenza politica nell'arco dell'intera vita dell'Italia repubblicana. Ma quanto fosse importante questo legame e, soprattutto, quanto fosse importante per La Malfa lo strumento partito lo dimostra la garbata polemica che egli ebbe nel 1954 dalle colonne della rivista bolognese il Mulino con Gaetano Salvemini, che pur di origini socialiste guardava sempre con attenzione al partito repubblicano. Salvemini in una disamina dei partiti italiani aveva definito il partito repubblicano un partito di opinione. Ebbene, La Malfa gli rispose subito contrastando questo giudizio e sostenendo che il partito repubblicano era un piccolo partito di massa, perché aveva una struttura sociale di massa. "Il partito repubblicano - scrisse La Malfa - è poco partito di opinioni e molto partito di iscritti", "è il più partito degli altri". Egli guardava alle zone tradizionali del repubblicanesimo, al Lazio, alle Marche e, soprattutto, alla Romagna dove, sono sue parole, "il repubblicanesimo trionfava tra i mezzadri, i braccianti, gli artigiani, i piccoli commercianti, i vignaroli". Per questo sentiva sempre vivo il rapporto con la Romagna, una regione dove poteva toccare con mano quella presenza repubblicana di massa che, nel suo sogno di un'altra Italia, avrebbe voluto estendere a tutto il paese: una regione che ha sempre saputo ricambiare questo suo amore confermandolo costantemente come suo rappresentante in parlamento. Proprio perché la sua vicenda politica è inestricabilmente intrecciata alla storia e alla vita del partito repubblicano, in molti si sono chiesti, spesso strumentalmente, da che parte starebbe oggi Ugo La Malfa. Non credo che possa essere questa l'occasione di una discussione di questo tipo, né credo che sarebbe utile. Ugo La Malfa è stato figlio del suo tempo, ha vissuto gli anni cruciali della lotta al fascismo, della nascita della Repubblica, della genesi della fragile democrazia italiana, come interprete di primo piano, ha voluto e saputo affrontare i temi cruciali della nostra società: le sperequazioni sociali e quelle territoriali; è stato artefice delle grandi scelte politiche, dalla riforma agraria, alla liberalizzazione degli scambi, dalla nascita della Cassa per il Mezzogiorno, alla politica dei redditi e di tutte le svolte della vita politica italiana, dalla scelta per il centrismo degasperiano, all'avvento del centro-sinistra, alla solidarietà nazionale. Tutto questo percorso, di successi e anche di insuccessi, è stato possibile perché aveva alle spalle, e ne era consapevole, il partito repubblicano, il suo piccolo partito di massa. Quell'Italia oggi non c'è più. Noi abbiamo colto i frutti della politica lamalfiana. Il paese è cresciuto, l'Europa è una realtà non più virtuale né il sogno di utopistiche minoranze illuminate, il comunismo è crollato inesorabilmente e l'occidente con i suoi valori di libertà ha vinto, il perimetro della democrazia si è allargato e l'ha resa più forte e più sicura. Non esiste più un pericolo comunista, né tantomeno un pericolo fascista. Libertà e democrazia sono ormai valori assoluti patrimonio di tutte le forze politiche. Pur con tutte le sue contraddizioni e i suoi nuovi problemi l'Italia di oggi è di gran lunga diversa dall'Italia di ieri, probabilmente è migliore, ma noi la vorremmo ancora e ulteriormente migliore. E' questo il viatico che ci viene dall'insegnamento di Ugo La Malfa, non accontentarsi mai, lavorare sempre per un'altra Italia, scavalcare le Alpi ed essere parte integrante e significativa dell'Occidente. |