"La Stampa" 26 febbraio 2004/Il nodo del mandato a vita e i rapporti con la politica

"Ha sbagliato, ma ora è difficile rimuoverlo"

La Malfa: il governatore doveva farsi da parte appena scoppiati gli scandali

Onorevole Giorgio La Malfa, ancora una volta la banca d'Italia e il suo Governatore sono al centro della bufera. Ma quando scattò la trappola giudiziaria ai danni di Paolo Baffi e Mario Sarcinelli, i repubblicani difesero a spada tratta i vertici di Bankitalia.

"C'è una differenza fondamentale da tener presente. Baffi fu percepito e attaccato per la sua arcigna capacità di dire no, per la determinazione con cui si era messo di traverso contro interessi tutelati dalla politica. Non si sa esattamente perché si innescò la rappresaglia politico - giudiziaria contro di lui, se per il comportamento rigoroso del Governatore nel salvataggio Sindona, o nelle circostanze del salvataggio Caltagirone o per l'affare Imi - Sir. Oggi la situazione è esattamente opposta. L'errore di Fazio è stato quello di non aver detto di no, di non essersi messo di traverso quando le banche non hanno fatto il loro dovere".

Ma adesso c'è la novità dell'avviso di garanzia al Governatore. E le responsabilità penali, se si è garantisti, vanno provate.

"Non entro nel merito della vicenda giudiziaria in cui è stato coinvolto Fazio, ovviamente. Ma per chi occupa ruoli cruciali nella sfera pubblica vale il principio della responsabilità politica oggettiva".

Davvero? Nei tribunali la responsabilità è dei soggetti. Quella "oggettiva" non esiste.

"E infatti insisto: voglio scindere nettamente i due piani. Politicamente Fazio ha sbagliato. Le banche dicono di essere state anch'esse vittime del crack Parmalat. Ammesso che le cose stiano in questo modo: è ancora peggio. Ma come, prestano miliardi e miliardi di vecchie lire e non sanno controllare quello che accade a Collecchio? Sarebbe ridicolo se non fosse tragico. L'errore di Fazio è stato quello di aver avallato questa tragedia, di non essersi assunto la responsabilità in prima persona di quello che è accaduto. Guardi, Sarcinelli è stato bravissimo nella sua audizione nella nostra Commissione. E lo dico con passione, perché sa, stiamo parlando di un ambiente e di persone con cui ho un rapporto intenso da tanti anni, che stimo sul piano personale".

Anche Fazio?

"Certo, anche Fazio. Nella sua audizione, contravvenendo simpaticamente all'etichetta istituzionale, non riusciva a non darmi del tu, malgrado le divisioni di questi ultimi tempi. Ma torniamo a Sarcinelli, che ha detto una cosa molto interessante. Ha consigliato di avere cautela a ridimensionare il ruolo di Bankitalia e ha sottolineato che una nuova autorità di controllo e vigilanza ci deve mettere almeno dieci anni prima di compiere il suo rodaggio. Sono d'accordo con lui. Tra l'altro non ho fiducia nella Consob, che pure fu realizzata da mio padre, che non è sempre stata diretta da persone di prima categoria e nelle cui mani non metterei troppi pezzi del sistema di vigilanza. Se bisogna cambiare, occorre cominciare dagli uomini, non dalle leggi".

E cioè, uscendo dal generico?

"Non adesso, ma appena scoppiati i bubboni Cirio e Parmalat, il presidente del Consiglio, possibilmente col consenso dell'opposizione, avrebbe dovuto, di fronte allo sconcerto dell'opinione pubblica per ciò che stava accadendo, chiedere a Fazio di farsi da parte".

Esigere le sue dimissioni?

"Certo. Sarebbe stato un bene per tutti, un segno di svolta. Anche adesso sarebbe un segnale di discontinuità".

Ma come, dimettersi dopo essere stato iscritto nel registro degli indagati? Non è un rituffarsi nel passato giustizialista in cui un semplice avviso di garanzia costituiva ragione sufficiente per chiedere le dimissioni di un ministro?

"Adesso è tutto più difficile e deve essere chiaro che le vicende giudiziarie non c'entrano nulla con la linea adottata da Fazio nei suoi rapporti con le banche".

Un tempo si chiedeva di mettere al riparo Bankitalia dai venti tumultuosi della politica. Ora non più?

"Guardi che già Luigi Einaudi, consegnando il testimone di Governatore della Banca d'Italia a Menichella, consigliava al suo successore di dimettersi dopo dieci anni. Certo, il mandato a vita è servito per proteggere Bankitalia dalle oscillazioni della politica. Ma Menichella non restò indifferente al consiglio di Einaudi e anche Guido Carli dimostrò più volte la volontà di mettere termine al suo lungo mandato. Le dimissioni non sono una vergogna e potrebbero essere un bene per tutti".

Pierluigi Battista