Intervento del senatore Antonio Del Pennino sul disegno di legge di riforma dell'ordinamento della Repubblica (29 gennaio 2004)

Signor Presidente, i Repubblicani giudicano positiva la circostanza che, dopo il fallimento di tre Commissioni bicamerali e un dibattito che dura ormai da vent'anni, il Governo abbia voluto fare una precisa assunzione di responsabilità con la presentazione di un disegno di legge complessivo di riforma dell'ordinamento della Repubblica.Dico questo anche se siamo ben consapevoli che temi di tanta rilevanza istituzionale non possono essere affrontati in una stretta logica di maggioranza, ma che sia necessario il contributo di tutte le forze politiche perché le istituzioni non appartengono a questa o a quella contingente maggioranza, ma sono patrimonio di tutti. Valutiamo comunque il disegno di legge governativo come un forte stimolo e gli argomenti e i temi che affronta un'utile base di discussione, pur nutrendo sul merito del testo forti e diversi motivi di perplessità e ritenendo necessarie non marginali correzioni. Esaminerò partitamente i problemi relativi alla forma di governo, alla revisione del bicameralismo, alla riforma del Titolo V e agli organi e alle forme di garanzia costituzionali, pur essendo consapevole della connessione esistente tra i primi tre aspetti. Sulla forma di Governo devo dire francamente che non condivido le preoccupazioni espresse dai colleghi della sinistra circa l'eccessivo potere del Primo Ministro, che deriverebbe dall'attribuzione del potere di scioglimento della Camera.

Questa preoccupazione mi sembra dovrebbe essere fortemente attenuata dopo le modifiche al testo introdotte dalla Commissione. Il problema vero che abbiamo di fronte oggi non è quello di limitare i poteri del Primo Ministro rispetto alla formulazione che viene proposta dal disegno di legge al nostro esame, ma di introdurre meccanismi che garantiscano un equilibrio fra il ruolo del Primo Ministro e quello dei parlamentari. Certo, molto è legato al procedimento elettorale che verrà adottato alla luce della previsione contenuta nel secondo comma dell'articolo 92. Ma la possibilità di raggiungere un punto di equilibrio dipenderà soprattutto dal fatto che si affronti o meno il tema della disciplina giuridica dei partiti, in modo da garantire il metodo democratico nella selezione dei candidati al Parlamento. La previsione di riforma dell'articolo 49 della Costituzione, contenuta nel disegno di legge presentato dal senatore Compagna e dal sottoscritto, per rendere vincolante l'adozione di una disciplina legislativa che assicuri trasparenza e rispetto dei princìpi di democrazia in luogo della generica affermazione contenuta nel testo attuale della Costituzione, va introdotta in questo disegno di legge. Né vale l'obiezione che il disegno di legge riguarda la seconda parte della Costituzione e l'articolo 49 fa parte della prima: la seconda parte della Costituzione è strettamente funzionale all'attuazione della prima e una sua riscrittura radicale rappresenta una riconsiderazione complessiva della Costituzione. Pertanto, non vi sarebbe nessun ostacolo ad affrontare in questa sede anche una disposizione contenuta nella prima parte della Costituzione. Il problema della regolamentazione dei partiti, infatti, è a nostro avviso la vera garanzia per tutelare la libertà di decisione dei componenti del legislativo rispetto a un eventuale potere di ricatto del Primo Ministro. Nel corso del dibattito, in Commissione e in quest'Aula, i colleghi della sinistra hanno affermato ripetutamente che il vero problema politico italiano sta nella fragilità delle maggioranze politiche che ha tradizionalmente caratterizzato il nostro sistema. Quindi, la soluzione che bisogna cercare non è quella di un riconoscimento di maggiori poteri al Primo Ministro, ma quella del rafforzamento delle coalizioni. Ma come pensano i colleghi che hanno sollevato questo problema di risolverlo senza affrontare il nodo dei partiti, senza affrontare una regolamentazione dei partiti e delle coalizioni, senza dare in questo disegno di legge di riforma complessiva un'indicazione forte in questo senso?

Questa, onorevoli colleghi, è la considerazione di fondo sul problema più politico che abbiamo di fronte tra quelli posti da questo disegno di legge: quello della forma di governo e dell'equilibrio fra potere esecutivo e potere legislativo (…). Su questo punto abbiamo presentato un apposito emendamento e all'accoglimento di questo, come degli altri emendamenti da noi presentati, subordiniamo il giudizio finale sul provvedimento.

Vi è poi il problema della correzione del bicameralismo perfetto. Sul piano terminologico, al di là del fatto che la definizione "Senato federale" rappresenta più un omaggio alla moda prevalente che non la registrazione di una sostanziale modifica, appare invece motivo di forte perplessità, (…) la nuova formulazione dell'articolo 67: "I deputati e i senatori rappresentano la Nazione e la Repubblica", come se Nazione e Repubblica fossero due cose differenti e pertanto rappresentabili separatamente.

L'idea è forse quella di collegare la Camera politica alla rappresentanza nazionale e la Camera territoriale alla rappresentanza repubblicana, ovvero allo Stato, alle Regioni, alle Province, ai Comuni e alla Città metropolitane, partendo dalla sciagurata formula dell'articolo 114, approvata con la riforma del Titolo V nella passata legislatura. Su questo mi sia consentito un inciso: sottoscrivo pienamente le considerazioni svolte dal senatore Nania e poc'anzi dal senatore Fisichella sull'abnormità della disposizione introdotta dall'Ulivo nella scorsa legislatura che ha stabilito un rapporto paritario tra lo Stato e le autonomie territoriali. Tale abnormità si aggraverebbe se oggi, mentre vogliamo recuperare il concetto di interesse nazionale, introducessimo una formulazione che appare paradossale rispetto al disegno costituzionale e alla stessa idea di rappresentanza.

Sotto il profilo sostanziale, invece, vanno esaminati sia gli aspetti relativi ai criteri di composizione del Senato sia quelli relativi alla ripartizione delle competenze.

In ordine ai criteri di composizione, condividiamo la scelta dell'elezione diretta rispetto all'ipotesi dell'elezione di secondo grado espressiva delle realtà locali. A questa conclusione ci induce anche il confronto con l'esperienza tedesca. Vorrei ricordare in proposito quanto è stato sostenuto recentemente dal capogruppo del Partito socialdemocratico tedesco (SPD) al Bundestag, Franz Muntefering, secondo il quale "nella pratica il Bundesrat è diventato solo un organismo di veto". Egli ha fatto questa affermazione con riferimento alla circostanza che in quella Camera delle Regioni esiste oggi (ed esisteva anche negli anni Novanta quando vi era al Bundestag una diversa maggioranza) una maggioranza opposta a quella del Bundestag e ciò ha determinato il fatto che, mentre in origine il Bundesrat doveva essere la Camera in cui discutere i problemi dei Länder, si è poi trasformato in una sede nella quale i partiti si affrontano indipendentemente dagli interessi locali.

Il rafforzamento della rappresentanza regionale del Senato si può casomai realizzare mediante l'inserimento dei presidenti delle Regioni tra i suoi componenti, evitando la creazione delle Assemblee di coordinamento delle autonomie (contenute nel testo licenziato dalla Commissione), che possono far pensare ad una sorta di Parlamenti subnazionali o interregionali.

Anche su questo punto, peraltro, non posso non condividere la considerazione del senatore Nania (e respingere gli alti lai provenienti dai banchi dell'opposizione), che ha rilevato come l'introduzione delle Assemblee sovraregionali sia già contenuta purtroppo nella riforma del Titolo V, approvata nella passata legislatura, laddove si afferma che "la legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni". Quali sono gli organi della Regione, se non il consiglio, la giunta e il presidente? Per questo, nella riformulazione dell'articolo 117, che abbiamo proposto con un nostro emendamento, prevediamo di sopprimere proprio la formula: "anche con individuazione di organi comuni".

Abbiamo dei dubbi sulla clausola che riserva per il Senato l'elettorato passivo a coloro che abbiamo ricoperto in passato cariche elettive locali.

Condividiamo il criterio della residenza al momento in cui sono indette le elezioni e quello di prevedere l'eleggibilità di chi è in quel momento parlamentare della Regione. Il richiamo a precedenti mandati elettorali sembra invece più una chiusura corporativa a favore del ceto politico che un reale collegamento al territorio.

Per quanto riguarda le competenze di Camera e Senato, occorre una revisione delle competenze ripartite e in particolare bisogna riflettere sulle materie per cui prevedere leggi bicamerali.

Queste vanno incrementate con riferimento soprattutto alle leggi tributarie, data la rilevanza che nel nuovo ordinamento ha il cosiddetto federalismo fiscale.

L'opportunità di una rimeditazione delle competenze per materia deriva, a nostro avviso, anche dalla necessità di rivedere quella che è stata la riforma del Titolo V relativamente alla legislazione concorrente.

Siamo da sempre stati contrari alla previsione di una legislazione concorrente. Riteniamo, infatti, che essa realizzi più che il federalismo di concertazione un federalismo di confusione e i conflitti di attribuzione già insorti tra Stato e Regioni lo confermano.

Riteniamo quindi, in via principale, opportuna una radicale revisione del Titolo V attraverso l'abolizione della legislazione concorrente e l'affermazione di una rigorosa divisione di competenze tra Stato e Regioni. In via subordinata, ci sembra comunque necessario sottrarre alla legislazione concorrente almeno le materie relative alla ricerca scientifica e tecnologica; alle reti di trasporto, di navigazione e di comunicazione di interesse nazionale e le relative opere; alla produzione, trasporto e distribuzione dell'energia elettrica; alla protezione civile, al commercio con l'estero, all'ordinamento delle professioni e all'ordinamento sportivo, che dovrebbero essere assegnate alla competenza esclusiva dello Stato.

Due accenni alle norme su Roma Capitale e sulle Città metropolitane.

Per quanto riguarda Roma Capitale, come è emerso anche dalle audizioni del Sindaco di Roma e del Presidente della regione Lazio, la formula del disegno di legge in esame è la peggiore, sia che si ipotizzi una nuova Regione, sia che si ipotizzi Roma come Città metropolitana con poteri speciali. Occorre cioè non affidare alla Regione Lazio la decisione ma occorre una previsione di legge costituzionale. (…)

Sulle Città metropolitane credo che mentre poniamo mano alla riforma complessiva della Parte II della Costituzione dobbiamo prevederne l'alternatività rispetto alla Province. (…)

Un altro punto che ci preme sottolineare è l'opportunità di porre mano anche alla riforma dell'articolo 75 della Costituzione, relativo al referendum. Vi sono due aspetti, quando affrontiamo la materia del referendum, che dobbiamo prendere in considerazione, apparentemente contraddittori tra di loro, ma che in realtà sono necessari se vogliamo rivitalizzare questo istituto e se vogliamo consentire che esso possa essere richiesto davvero solo sulle grandi questioni. Occorre cioè da un lato alzare il numero delle firme necessarie per promuovere il referendum, dall'altro abolire la condizione del quorum del 50 per cento di partecipazione popolare, che diventa uno strumento attraverso il quale le forze politiche possono vanificare la possibilità di espressione della volontà popolare.

Infine, alcune considerazioni sulle forme e gli organi di garanzia. Preliminare al giudizio sulle disposizioni relative alla Corte costituzionale, credo sia un rilievo - che dobbiamo fare con forza - sull'articolo riguardante il Consiglio superiore della magistratura.

In una riforma generale della seconda parte della Costituzione non si può affrontare marginalmente il problema del Consiglio Superiore della Magistratura, come fa il disegno di legge in esame, modificando solo il criterio di nomina del Vice presidente. A nostro avviso, occorre - su questo ho già annunciato che il collega Compagna ed io presenteremo nei prossimi giorni un apposito disegno di legge - una radicale revisione dei criteri di composizione del Consiglio. (…)

Per quanto riguarda la Corte costituzionale, credo debba essere mantenuto l'equilibrio attualmente previsto di un terzo dei membri di nomina parlamentare, di un terzo di nomina delle magistrature e di un terzo di nomina del Presidente della Repubblica, modificando soltanto i criteri per le nomine parlamentari, che non dovrebbero essere più assegnate congiuntamente ma separatamente a Camera e Senato.

L'equilibrio di 1/3, 1/3 e 1/3 fu raggiunto alla Costituente tra due tesi opposte che si contrapponevano: una tesi sostenuta dalla scuola liberale, da Luigi Einaudi e da Francesco Saverio Nitti, secondo cui si doveva affidare alla Corte di cassazione anche il compito di giudice delle leggi, e una tesi della sinistra, prospettata dagli onorevoli Laconi e Gullo che volevano che la Corte costituzionale fosse espressione popolare e, quindi, composta in prevalenza, se non in modo esclusivo da membri eletti dal Parlamento e dalle Regioni. Oggi paradossalmente le posizioni si sono invertite. È la sinistra a difendere una maggiore presenza dei componenti provenienti dagli organi della giurisdizione ed è il centro-destra che propone un rafforzamento della rappresentanza politica.

Credo che non sia il caso di rimettere in discussione quell'equilibrio che il costituente raggiunse perché, tutto considerato, nella composizione di quello che dovrebbe essere un potere neutro, il mantenere quell'equilibrio è una garanzia per tutti. (…).