"Il Riformista" 13 febbraio 2003/Guerra e pace: dissensi di fondo sulla politica estera "Perché non torno nel centrosinistra" di Giorgio La Malfa Giovedì scorso, illustrando alla Camera la posizione del governo italiano sulla crisi irachena, il presidente del Consiglio ha pronunciato un discorso che a me è parso prudente ed equilibrato: egli ha auspicato che l'Iraq decida finalmente di rispettare i deliberati dell'Onu; ha insistito sulla necessità di una ulteriore decisione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che autorizzi l'uso della forza nel caso in cui l'Iraq non ottemperi ai suoi obblighi; ha sottolineato la necessità di ristabilire un accordo fra Europa e Stati Uniti e si è impegnato a ricercare una posizione comune europea. Ha infine concluso: "Non vogliamo la guerra, ma non intendiamo mettere la testa sotto la sabbia; vogliamo la pace e, insieme, la sicurezza dei cittadini, che sono due facce della stessa medaglia". Questo è quanto in sostanza aveva scritto il Riformista nell'articolo intitolato "Ma che altro può fare Berlusconi?" del 21 gennaio scorso. A me sembrava che la posizione del presidente del Consiglio potesse essere la base per un accordo bipartisan sulla politica estera. E immaginavo che nei loro interventi gli onorevoli D'Alema e Rutelli avrebbero valorizzato le cose dette da Berlusconi e che avrebbero semmai aggiunto che il sostegno del centro-sinistra era condizionato ad una scrupolosa aderenza a quelle linee di condotta. Questa posizione avrebbe, oltretutto, consentito all'opposizione, se le circostanze lo avessero imposto, un successivo distacco reso più autorevole da questa iniziale apertura di credito. Invece ho dovuto constatare, con dispiacere, che il centro-sinistra è del tutto lontano da questa impostazione ed è sostanzialmente approdato alla tesi del "no alla guerra senza se e senza ma" sostenuto dal variegato fronte di forze politiche e sindacali, di associazioni cattoliche, di movimenti no global che si preparano a manifestare sabato prossimo esattamente su questa piattaforma. Ho sentito dire in Parlamento dagli onorevoli Diliberto, Pecoraro Scanio e Bertinotti che, se l'Onu dovesse avallare l'uso della forza contro l'Iraq, allora bisognerebbe dichiararsi contrari alle decisioni dell'Onu. Questa è anche la posizione di Sergio Cofferati ed è diventata la posizione dell'onorevole D'Alema nell'intervista di ieri al Corriere della Sera nella quale egli si è sottratto alla domanda di Paolo Franchi su quale sarebbe l'atteggiamento della sinistra italiana di fronte a una decisione dell'Onu favorevole all'opzione militare. Dunque, in cosa si distingue oggi la posizione della sinistra riformista italiana da quella di Rifondazione e dei gruppi cattolici pacifisti? A me sembra che il gruppo dirigente della Quercia e della Margherita siano stati guidati finora dal loro consueto tatticismo e siano andati alla disperata ricerca di una terza posizione che consentisse loro di proclamare di non essere né con Bush-Berlusconi, né con Saddam Hussein. In un primo tempo si sono ancorati all'idea che il discrimine potesse essere costituito dalla condizione preliminare di una seconda deliberazione delle Nazioni Unite. Ma quando, su richiesta inglese ed italiana, gli Stati Uniti hanno aderito a questa impostazione, hanno dovuto improvvisare una seconda linea su cui attestarsi. Essa è stata costituita dal sostegno al cosiddetto piano franco-tedesco. Peccato, che la dichiarazione del ministro degli esteri iracheno, lo abbia silurato dopo un solo giorno, tanto che l'onorevole D'Alema si sottrae anche a questa domanda di Franchi, forse sospettando che la Francia possa avere scelto, con astuzia, questa strada per allinearsi, dopo il prevedibile rifiuto iracheno ai caschi blu, alla posizione americana. Una terza linea di difesa è stata l'accusa al governo italiano di avere diviso l'Europa. Ma è lo stesso D'Alema, definendo il documento franco-tedesco "un errore", a riconoscere che non è stato il governo italiano a produrre questa divisione. E dunque? Non rimane nulla se non la posizione pacifista integrale dei gruppi cattolici e dell'estrema sinistra, come si vedrà dalla presenza di tutti gli esponenti del centrosinistra in una manifestazione che, se essi vedessero le cose con chiarezza, saprebbero che è anche contro di loro. Concludendo un dibattito televisivo di qualche giorno fa, il senatore Occhetto mi ha rivolto l'augurio di tornare a lavorare per un grande centrosinistra come un tempo aveva fatto mio padre. A parte il Riformista, non vedo con chi altro i Repubblicani possano parlare in questo schieramento. C'è per noi un fondamento necessario della politica estera italiana ed è l'inscindibilità delle due linee di fondo che l'hanno caratterizzata nel corso del dopoguerra: il sostegno all'integrazione europea; l'alleanza con gli Stati Uniti. Lei comprenderà che non possiamo lavorare con chi non condivide questa premessa per noi essenziale. |