Intervento dell'on. Giorgio La Malfa sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio Berlusconi sulla crisi irachena

Signor Presidente, onorevoli colleghi, esprimo il pieno apprezzamento dei repubblicani per il discorso del Presidente del Consiglio, per l'equilibrio, la prudenza, ma anche per la chiarezza estrema delle posizioni del Governo italiano nella drammatica crisi internazionale dell'Iraq e per la capacità di tenere fermi i punti di riferimento fondamentali che hanno guidato la politica italiana nel secondo dopoguerra.

Non possiamo che augurarci, come tutti in quest'aula, che non si arrivi alla guerra, che essa non sia necessaria e che l'Iraq di Saddam Hussein decida, finalmente, di rispettare pienamente quei vincoli e quelle richieste, ferme e ultimative, che la comunità internazionale, attraverso l'ONU, gli ha posto, in particolare con la risoluzione n. 1441.

Avevamo già considerato gravissime le posizioni di Saddam Hussein, alla luce dei risultati delle prime indagini degli ispettori; tuttavia, nel discorso di ieri del sottosegretario di Stato americano è contenuto un nuovo elemento che, se provato, aggrava ulteriormente la posizione dell'Iraq: mi riferisco al collegamento all'azione del terrorismo.

Onorevoli colleghi, se dovesse emergere un collegamento diretto con l'organizzazione di Al Qaeda, ciò creerebbe una ragione ulteriore di urgenza per affrontare il problema costituito dal dittatore iracheno.

Onorevoli colleghi, lo ripeto: l'augurio è che la guerra non sia necessaria e che l'Iraq si possa liberare della minaccia che pende sulla sua popolazione civile costituita dall'esistenza di quel dittatore. Del resto, in merito a questo giudizio su Saddam Hussein, tranne piccole componenti, larga parte del Parlamento si dichiara d'accordo.

Onorevoli colleghi dell'opposizione, colgo qui una contraddizione di fondo. Non si può, da un lato, condannare il regime iracheno, non si possono lamentare le violazioni di precedenti deliberati dell'ONU, ma, nello stesso tempo, rifiutare ogni ipotesi di uso della forza. Questa impostazione non è solo debole, ma anche contraddittoria, onorevole D'Alema, perché in circostanze come queste l'esperienza storica, anche dell'Europa, ha indicato che solo la minaccia credibile dell'uso della forza, solo la compattezza e la coralità dei paesi democratici possono far sì che un dittatore si pieghi e che dalla guerra si possa allontanarsi tutti.

L'errore di coloro i quali in buona fede oggi proclamano la pace è quello di mandare a Saddam Hussein il messaggio di un occidente diviso ed incerto e, dunque, di incoraggiare la continua sfida del dittatore nei confronti delle regole della comunità internazionale.

L'argomento che viene usato sulla minaccia dell'estendersi del terrorismo, onorevoli colleghi, lo avete usato anche quando l'anno scorso si decise un'azione nell'Afghanistan che fu preconizzata come un'azione militare lunga che avrebbe esteso il terrorismo. Lo stesso alcuni di voi hanno fatto quando la comunità democratica decise, finalmente, di colpire la Iugoslavia di Milosevic: anche in quell'occasione si disse che ciò avrebbe soltanto esteso le condizioni di guerra.

Ciascuno si prenda le proprie responsabilità, onorevoli colleghi. È vero che l'ONU deve essere la regola della comunità internazionale. È giusta l'aspirazione manifestata che l'ONU sia, non domani ma già oggi, l'organismo internazionale sotto la cui autorità si possa e si debba decidere l'uso della forza nei confronti di certi regimi. Tuttavia, l'ONU deve avere una credibilità e deve saper prendere le decisioni che affermano la sua credibilità e, dunque, il diritto internazionale.

Signor Presidente, concludo parlando della terza questione, il rapporto con l'Europa.

Qualcuno ha accusato, in questi giorni, il Governo italiano di aver diviso l'Europa e di aver allontanato l'Italia da una delle sue direttrici fondamentali. Consentite al rappresentante di un partito che ha seguito le vicende italiane nel dopoguerra e ha contribuito alle sue scelte di ricordare, onorevole D'Alema, che la politica estera italiana all'indomani della tragedia del fascismo fu costruita su due fondamenti: l'integrazione europea e l'Alleanza atlantica. Aggiungo che tali fondamenti per la loro storia comune e per la loro comune tragedia accomunavano l'Italia e la Germania. Voglio sottolineare che il motore dell'Europa è stato sì, per certi aspetti, l'amicizia franco-tedesca, ma che rispetto alle grandi questioni internazionali Italia e Germania non ebbero mai dubbi che quell'Europa unita che essi volevano costruire anche per uscire definitivamente dalla tragedia della loro storia era un'Europa strettamente alleata con gli Stati Uniti.

Onorevoli colleghi, questa è la posizione che il Governo italiano tiene ed è per questo motivo che i Repubblicani lo incoraggiano a continuare sulla sua strada e dar prova, come sta facendo, di equilibrio e coraggio.

Roma, 6 febbraio 2003