In memoria di Giovanni Gatti

Storia di un laburista oltre tutte le ideologie

Pubblichiamo il testo della commemorazione di Giovanni Gatti che si è tenuta a Bertinoro il 3 novembre 2004. E’ stato scritto dal professor Roberto Balzani.

Gatti è nato a Bertinoro il 16 giugno 1920. Dopo la laurea in Scienze Politiche si specializza in Ordinamento scientifico del lavoro ed entra nella segreteria della CGIL unitaria di Forlì in rappresentanza della corrente repubblicana. E’ tra i fondatori della FILe della UIL. Primo segretario della Camera Sindacale di Forlì, poi segretario confederale e segretario generale della UIL-tucs. Giornalista e direttore di varie testate sindacali e politiche fra cui "il Pensiero Romagnolo" di Forlì e "il Popolano" di Cesena". Repubblicano storico e mazziniano intransigente è stato Vice-Presidente nazionale dell’Endas, Presidente del Circolo di Cultura politica Giovane Europa e del Comitato scientifico dell’Istituto Storico Sindacale . E’ scomparso il 2 novembre 2004.

di Roberto Balzani

Compito difficile, quello di commemorare Giovanni Gatti. Nino era un oratore eccellente e un uditore esigente. Per cui mi scuso con la sua anima, prima che con voi, per quello che dirò.

Se penso a tre parole che possano condensare la sua vita pubblica, per restare aderente alla verità intima della sua esistenza, ne trovò tre: Mazzini, Sindacato e, soprattutto, Bertinoro.

Mazzini è un po’ il motore profondo della sua attività: la ricerca di un equilibrio fra giustizia sociale e libertà; l’idea che il patriottismo debba coniugarsi con la democrazia. Come per molti della sua generazione, il mazzinianesimo fu un quadro di valori di riferimento molto precisi, che non potevano essere definiti esclusivamente come "pubblici". "Pubblici" era troppo poco. Il mazzinianesimo era – come dire? – qualcosa di estremamente pervasivo, che entrava nelle relazioni personali, nelle amicizie, nella famiglia. Mazzini aveva detto che c’era un impulso religioso nel suo modo di fare politica (ricordate? "I partiti politici cadono e muoiono; i partiti religiosi non muoiono fuorché dopo la vittoria, quando il loro principio vitale […] s’è immedesimato col progresso della civiltà e dei costumi"): e Nino, uomo laico fino alla punta dei capelli, aveva dentro di sé questo fuoco che ardeva, e che gli si leggeva negli occhi.

Il Sindacato era stata la grande esperienza della sua esistenza. Perché? Bisogna capire e rammentare quegli anni, fino al boom. E soffermarsi sull’idea del lavoro, che è stata l’autentica identità collettiva della Ricostruzione democratica, molto più della "guerra fredda" di Stalin o di Truman: essa ha accomunato milioni di persone. Ricorro per un momento alle parole di Alberto Ronchey: "E chi non ricorda quel discorso di Churchill, che aveva previsto per l’Italia una ‘generazione senza avvenire’? Eppure un’autocommiserazione di massa non c’era, forse per aver appreso necessariamente fino a che punto la vita è res severa, un latino ben chiaro allora. Chiunque accettava qualsiasi lavoro, intellettuale o manuale, e l’energia comune fu tale da far concludere poi […] che nessuna generazione aveva mai lavorato tanto".

Quello di Giovanni fu un laburismo non ideologico, ma naturale e direi quasi necessario, per riscattarsi e per tornare a crescere. La provincia di Forlì contava, nel 1951, 245.000 abitanti, dei quali 131.000 nei centri. E doveva fare i conti con un enorme esercito di disoccupati: 26.000 nel ‘52, 29.000 nel ‘57, prevalentemente assiepato, in condizioni precarie, negli spazi urbani. Uomini e donne che scendevano dalla collina e dalla montagna in cerca di una nuova collocazione e di una nuova identità. Furono anni difficili ed esaltanti.

Dopo la laurea in Scienze Politiche al "Cesare Alfieri" di Firenze (1946), Gatti si specializzava in Ordinamento Scientifico del Lavoro ed entrava nella segreteria della CGIL unitaria di Forlì in rappresentanza della corrente repubblicana. Nel 1949 era fra i protagonisti della nascita della FIL e il 5 marzo 1950 della UIL, nel cui comitato esecutivo nazionale figurò da subito. Fu primo Segretario della Camera Sindacale di Forlì (che allora comprendeva oltre a Cesena anche Rimini) fino al 1958, quando venne chiamato a Roma nella Segreteria Confederale UIL, dove rimase fino al 1964. Era l’inizio di una carriera intensa e prestigiosa. Ma ciò non toglie che il periodo più intenso ed "eroico" della Ricostruzione, nel nostro territorio, lo abbia visto indiscusso protagonista.

Sono poche note che descrivono bene la declinazione sociale del repubblicanesimo di Nino, la sua matrice popolare. Nino era davvero un uomo democratico, del genere di quelli che, fra il 1867 e il 1871, Walt Whitman cantava in Foglie d’erba:

Canto il sé, la semplice singola persona,

Ma aggiungo anche la parola Democratico, la parola In-Massa.

[…]

La vita immensa nella sua passione, impulso, e forza,

Gioiosamente, per un più libero agire sotto le leggi divine,

L’Uomo Moderno, io canto.

The Modern Man I Sing. Nino era così: un democratico originario, direi strutturale. Te lo saresti immaginato in un comizio cartista, nell’Inghilterra 1848, o con Lassalle, in Germania, quindici anni dopo. Aveva dentro di sé la propensione ad accogliere l’onda del popolo, i sentimenti traboccanti della massa, e a restituirne l’anima attraverso la parola, la sua straordinaria capacità oratoria. C’era, in lui il frizzante sentimento di una fratellanza istintiva, il riconoscimento immediato di un’umanità disponibile, forte, generosa.

E infine Bertinoro. Che nella prima del secolo XX deve la sua identità a Paolo Amaducci e a Luigi Gatti, così come, nella seconda, dovrà tanto a Giovanni Gatti. Padre e figlio attraversano la scena urbana quasi senza soluzione di continuità. Uno costruisce i presupposti della "memoria culturale" locale (la tradizione della colonna, ma anche Dante, Guido del Duca, ecc.), l’altro la continua, la mantiene, la vivifica in un contesto certamente più favorevole dal punto di vista dei mezzi e delle opportunità.

Bertinoro diviene uno dei luoghi della memoria più intensi della Romagna, grazie a Nino Gatti (come attestano le iniziative intorno alla colonna dell’ospitalità, ad esempio). E noi siamo qui, in fondo, in questo luogo così denso di simboli, proprio per questa ragione. Perché sentiamo il debito che Bertinoro e la Romagna devono al nostro Nino. E che sarà difficile pagare.

Che cosa dire di più, ora? I pensieri si affastellano, le immagini si sovrappongono, i colori sfumano. Voglio aggiungere solo una cosa, riprendendo ancora il Mazzini del 1855: "Io non credo nella morte. Credo nella Vita". Le parole che tanto piacevano ad Aurelio Saffi e che la figura di Nino testimonia con pienezza. La vita per la sua famiglia, per la sua piccola patria, per la grande patria, per la democrazia. Una vita per donare la vita alle tradizioni della sua terra; una vita per donare la speranza di una vita migliore ad un universo di lavoratori in via di emancipazione. Una vita spesa per la vita.

Diceva Jean Monnet che gli uomini si dividono in due grandi categorie: quelli che vogliono essere qualcuno, e quelli che vogliono fare qualcosa. Giovanni Gatti, senza dubbio, appartiene – e lo diciamo con orgoglio – alla seconda.