Intervista a cura di Lina Palermini "Il Sole 24 Ore" del 30 novembre 2003

Giorgio La Malfa: le incoerenze del trattato di Maastricht sono venute a galla

"Ora rischia molto anche l'euro"

Una crisi del Patto di stabilità dettata dalle "asimmetrie" di Maastricht. Una futura crisi che "investirà l'euro" mentre i lavori della Convenzione "non hanno prodotto quasi nulla". In questo contesto, nella sinistra italiana, "fatte alcune eccezioni", c'è una totale confusione. "Nelle dichiarazioni di Fassino, Visco e Rutelli, c'è una mancanza totale di buon senso. Non so proprio come vogliano impostare le loro posizioni al di là della giaculatoria. Pensano che il Patto nella sua immutabilità possa giovare all'Europa?" si chiede Giorgio La Malfa (Pri), presidente della commissione Finanze della Camera.

Partiamo dall'inizio, la rottura del Patto...

Il Trattato di Maastricht ha creato un regime di asimmetrie: un livello sovranazionale per la moneta ed il tasso di cambio: uno nazionale per le politiche di bilancio, ma sotto il controllo e la sorveglianza degli organismi europei; infine uno puramente nazionale per le politiche dell'occupazione. Dunque, i Governi hanno la responsabilità politica di fronte agli elettori, ma allo stesso tempo, sono ­ del tutto o in parte ­ sguarniti di strumenti di politica economica, evidente che una crisi ci sarebbe stata.

Il ciclo economico ha solo alzato il velo?

In un momento di congiuntura negativa, i Governi si sono trovati di fronte ad una missione impossibile: come stimolare l'economia mentre i vincoli europei obbligano ad andare in direzione opposta. Così la tensione si è scaricata sul Patto. Ogni tentativo di suggerire alla Commissione ­ come abbiamo fatto ­ di consentire ai Paesi margini per rendere compatibili esigenze di sviluppo con quello di stabilità, è caduto nel vuoto. La proposta di togliere le spese per investimenti dal calcolo dei parametri non ha trovato ascolto, mentre quella di tenere conto dell'andamento del ciclo, ha avuto solo parziali e tardive risposte. C'è stata invece la difesa cieca dell'esistente e la Commissione ha retto fino a quando non sono entrati in gioco gli interessi dei Paesi più grandi, di Francia e Germania. Se la Commissione fosse stata guidata in maniera intelligente e adeguata, si sarebbe presa l'iniziativa di modificare un Patto che lo stesso Prodi aveva definito stupido. Si dovevano allentare i vincoli o fare un passo completo.

Cioè?

Portare anche le politiche fiscali al livello delle politiche monetarie. Affidare, cioè, a organi europei la responsabilità della politica monetaria e fiscale. Scegliere di fare il passo completo: L'Europa è una, il mercato del lavoro è uno, il sistema fiscale è uno.

Quali saranno le conseguenze sulla Convenzione?

Non credo ci saranno effetti negativi. Nel senso che la Convenzione ha prodotto un risultato molto modesto. E, anche nella peggiore delle ipotesi ­ cioè che il lavoro venga annullato a causa della rottura politica ­ si lascerebbero esattamente le condizioni istituzionali dell'Europa come sono oggi. Politicamente sarebbe una sconfitta, ma dal punto di vista istituzionale si è prodotto pochissimo.

Insomma una impasse istituzionale ed economica...

E ora bisognerebbe intervenire sulle regole della politica monetaria perché la prossima crisi verrà da lì. L'euro è il futuro candidato. Dalle asimmetrie si esce sempre, ma non è detto che se ne esca approdando ad un livello virtuoso. Se ne può uscire anche entrando tutti in crisi.

Dunque la prossima bufera sarà sull'euro?

Le decisioni di Bruxelles di qualche giorno fa aumentano ulteriormente l'asimmetria del sistema: la politica monetaria rimane a livello federale, le politiche del bilancio sono state rinazionalizzate. Da un lato, aumenta la solitudine della Bce e dall'altro, prima o poi, qualcuno si chiederà: a chi conviene? Perché si possono creare condizioni economiche diverse tra Paesi che comportano l'esigenza di avere politiche monetarie diverse: espansive per alcuni, restrittive per altri. E questo contrasto non può essere risolto dicendo che c'è un margine nelle politiche di bilancio, perché queste non sempre costituiscono lo strumento migliore da usare per l'economia. Il punto è che la politica monetaria unica presuppone un'omogeneità economica in tutta l'area. Oppure, che vi sia un meccanismo decisionale democratico che faccia prevalere la maggioranza. Ma perché questo accada deve esserci l'unione politica, cioè un governo federale. E purtroppo quello che era un obiettivo già difficile, oggi appare ancora più lontano.