Il presidente del Pri a "Le Monde" Ue, rinazionalizzazione dei bilanci? Un Patto stupide e una Commissione indecisa di Giorgio La Malfa Nell'ottobre 2002 Romano Prodi ha definito "stupido" il Patto di stabilità. Una volta pronunziato questo giudizio, la Commissione avrebbe dovuto, per iniziativa del suo presidente, proporre di riformulare il Patto suddetto, in modo da non dovere più gestire rigidamente un meccanismo divenuto, in maniera evidente, sempre più difficile da applicare. Ma essa non ha saputo decidere per tempo se porsi alla testa di un processo di revisione inevitabile, oppure presentarsi come guardiano o bastione dei testi redatti da e per i governi europei. Ha dunque sperato fino all'ultimo momento che Francia e Germania non sarebbero state in grado di raccogliere un numero di voti sufficiente per bloccare le proposte della Commissione. Naturalmente è troppo tardi per recriminare contro i risultati di una tale scelta. Il Trattato di Maastricht stabilisce chiaramente (articolo 104 c) che spetta alla Commissione sottoporre una proposta di sanzione contro un Paese per deficit eccessivo, ma spetta al Consiglio europeo decidere se una tale proposta debba essere o meno adottata. Per quanto concerne l'Italia, essa non avrebbe potuto assumere una posizione diversa da quella presa, non soltanto in qualità di presidente di turno del Consiglio europeo, ma anche perché sarebbe stato assolutamente ridicolo (e non soltanto controproducente) per un Paese i cui conti sono stati e sono ancora in disordine, ergersi a giudice e censore di Paesi che, nel complesso, hanno un bilancio in una condizione molto migliore della nostra. C'è una contraddizione profonda nel progetto dell'Unione monetaria: essa trasferisce la responsabilità delle decisioni e la guida della politica monetaria a un organismo sovranazionale, annulla la possibilità di gestire il tasso di cambio fra Europa e resto del mondo, attribuisce alla Commissione un ruolo di controllo delle politiche di bilancio, che comunque restano di competenza dei governi nazionali, lasciando completamente a questi ultimi la piena responsabilità di rispondere davanti ai loro elettori per tutto ciò che concerne il livello di attività economica e di occupazione. E' una situazione contraddittoria e alla lunga insostenibile, palese per chiunque rifletta seriamente su tali questioni. Sarebbe stato indispensabile affrontare a tempo debito questi problemi, che finiranno per minare la stessa stabilità dell'euro. Si può uscire da una situazione così asimmetrica solo in due modi: o innalzando a livello europeo la responsabilità dell'insieme della politica economica e incaricando allo stesso modo le istituzioni europee delle questioni che restano oggi di competenza delle autorità nazionali, prive tuttavia dei loro poteri essenziali; oppure "rinazionalizzando" in modo graduale tutti gli strumenti di politica economica. Ho sempre ritenuto che tale riflessione avrebbe dovuto precedere l'avvento dell'euro oppure, in ogni caso, essere affrontata al momento dell'avvio, nel 1999, della fase finale dell'Unione monetaria. Ma non è stato così. Con le recenti decisioni, ci si è impegnati nella seconda via la rinazionalizzazione delle politiche di bilancio. Ma questo vuol dire che, prima o poi, il meccanismo stesso della politica monetaria sarà compromesso Personalmente ho più di una volta proposto di trattare apertamente questo problema. Si potrebbe farlo estendendo la responsabilità della Bce, includendo nelle sue competenze e nelle sue responsabilità l'evoluzione generale delle economie europee, e non soltanto quella dei prezzi. Questa è, d'altronde, la posizione che hanno adottato gli Stati Uniti. Articolo pubblicato su "Le Monde" del 10 dicembre 2003 |