Mozione conclusiva del Consiglio Nazionale approvata a maggioranza:

Il Consiglio Nazionale del PRI, riunito in Roma il 22/02/2002, ascoltate le relazioni del Segretario e del capo della segreteria politica, le approva.

Sottolinea i significativi risultati ottenuti dal Governo sul versante della politica europea e l'importanza che in questo contesto assumono l'incontro tra il premier inglese Tony Blair e il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e le intese tra di essi sottoscritte in vista del vertice di Barcellona. Ribadisce in questo quadro il proprio sostegno a una politica di maggiore flessibilità del lavoro, necessaria per rilanciare l'occupazione in Italia.

Il Consiglio Nazionale del PRI rileva lo scivolamento della sinistra italiana verso posizioni estremiste, ispirate da veterosindacalismo e neogiustizialismo, posizioni che rischiano di emarginarla progressivamente e che i repubblicani avevano tempestivamente denunziato. Il PRI auspica, naturalmente da posizioni distinte, che un profondo dibattito interno alla sinistra, consenta un reale approfondimento degli errori commessi in questi anni.

Il Consiglio Nazionale ha approfondito i problemi politici e programmatici relativi alle scadenze elettorali del 26 maggio, ribadendo la collocazione del PRI all'interno dell'alleanza di centro-destra. Affida alla Segreteria Nazionale il mandato fiduciario per poter governare i processi concreti che da tale scelta potrebbero derivare.

Il Consiglio Nazionale, infine, considerata la richiesta avanzata all'unanimità dai segretari regionali e provinciali nella riunione di Roma del 2 c.m. per l'esame dello stato di preparazione delle liste dell'Edera per le elezioni del 26 maggio

Delibera che i Congressi locali ­ anche se già convocati ­ siano celebrati dopo il 26 maggio.

 

Mozione del gruppo di "Riscossa Repubblicana" respinta a maggioranza dal CN

Il Consiglio Nazionale del PRI, riunito il 22 febbraio 2002, esaminando il quadro delle elezioni Amministrative del 26 maggio

RITIENE

che nella definizione delle alleanze locali debba essere preminente la valutazione delle congruenze programmatiche, oltre all'esame senza pregiudiziali delle condizioni politiche locali. Competenze che sono attribuite per Statuto, tradizione e prassi alle organizzazioni locali che si esprimono attraverso i Congressi

RIBADISCE

2) che rimane essenziale il rapporto con la D.N. che deve essere natura dialettica, costruttiva, nel rispetto dei ruoli. Riconoscendo alla struttura centrale un ruolo di orientamento non impositivo.

 

Le personalità della società civile, della cultura e delle professioni cooptate in Consiglio Nazionale

Il Consiglio Nazionale del PRI, proseguendo nello sforzo di allargamento del partito alla società civile, al mondo della cultura e delle professioni, ha allargato la propria composizione chiamandone a far parte intellettuali, dirigenti, managers, professionisti di chiara fama.

Sono stati cooptati: Prof.ssa Lilia Alberghina, Prof. Tommaso Alibrandi, Prof. Roberto Balzani, Dr. Alberto Biscarini, Prof. Piero Craveri, Prof. Errico Cuozzo, On. Mario Di Bartolomei, Prof. Raffaele Feola, Prof. Tommaso Frosini, Dr. Francesco Furchì, Dr. Massimo Giovannini, Sig.ra Anita Garibaldi, Prof. Rocco Giordano, Prof. Cesare Greco, Dr. Giacinto Grisolia, Prof. Antonio Jannazzo, Prof.ssa Maria Teresa Lucarelli, Prof. Vincenzo Mazzei, Prof. Ernesto Mazzetti, Dr. Cirillo Orlandi, Prof. Roberto Palumbo, Prof. Guido Pozza, Dr. Gianni Serrelli, Comm. Aldo Spinelli.

Il segretario nazionale del PRI, on. Francesco Nucara, ha così commentato: "L'adesione spontanea di tanti intellettuali, managers, professionisti, alla politica del PRI conferma la validità della nostra linea e l'efficacia dell'azione di rilancio del Partito. Il loro contributo sarà essenziale sia all'approfondimento della linea politica che al rapporto tra il PRI e la società civile".

Roma, 22 febbraio 2002

 

Intervento del Presidente del PRI, on. Giorgio La Malfa, al Consiglio Nazionale del 22 febbraio 2002

Voglio esprimere una grande soddisfazione per l'elenco delle personalità cooptate nel Consiglio nazionale su proposta della segreteria. L'amico Nucara si era impegnato a rivitalizzare quell'articolo dello statuto nazionale che prevede che possano essere chiamati a far parte del Cn, con voto consultivo, personalità della cultura, dell'economia e delle professioni, le quali possono offrire un contributo di idee importanti. Egli ha onorato il suo impegno nella maniera migliore.

In questi anni di transizione per il partito ho sempre ritenuto necessario, anche se molto difficile, riuscire a mantenere il legame con il mondo della cultura e dell'economia, ed il fatto che oggi sia stato possibile consolidarlo, come questo elenco di personalità dimostra, è un fatto significativamente positivo. Abbiamo proposto 24 nominativi per il Consiglio nazionale, il che vuol dire che è possibile ancora ampliare la cooptazione, fino a raggiungere la quota di quaranta personalità, cosa che sono convinto possa verificarsi presto.

A parte il ringraziamento al segretario del partito per il successo da lui ottenuto, vorrei parlare brevemente della situazione politica e del partito. Non ho mai sottovalutato, in questi anni nei quali abbiamo deciso una drastica correzione di rotta, la difficoltà di questa scelta. Voglio dire che la difficoltà interna a ciascun repubblicano per le scelte che abbiamo fatto al congresso di Bari è comune a ciascuno di noi. Io sono favorevole a questa svolta, ma sono favorevole al 65 per cento. E c'è una parte di me, molto piccola, che è favorevole al centrosinistra, e una parte di me, consistente, che preferirebbe che il partito stesso solo. Ho la sensazione che questa mia condizione personale sia comune a molti amici, anche a quelli dell'opposizione, che nella loro coscienza magari sono contrari alla svolta, ma che in una parte più piccola della loro opinione - cominciavo a pensare ­ forse ritengono che non abbiamo sbagliato a decidere ciò che abbiamo deciso.

La scelta che abbiamo fatto alimenta una discussione per ciascun repubblicano ed un confronto con le possibilità che ci si presentavano. Ed è bene che sia così, perché il partito repubblicano non può considerarsi arruolato in modo permanente e totale all'interno di uno schieramento, perché il Pri deve avere e mantenere l'ambizione, che è stata l'ambizione della sua storia, di giudicare le alleanze sulla base dei propri parametri e di considerarle funzionali a quella che Spadolini avrebbe chiamato una certa idea dell'Italia, ossia alle esigenze di un disegno di sviluppo della vita italiana, pensando che in certe circostanze erano utili alleanze di centro, altre volte di sinistra, o anche restare soli. E' la storia dell'animo del repubblicanesimo per lo meno dal '45 ad oggi: basta pensare alle differenze di opinioni al nostro interno sulla necessità di partecipare o meno ai governi a guida democristiana e, quando non si partecipava, se optare per un'opposizione politica o istituzionale. Bisogna sapere convivere, come si è convissuto nella nostra storia, con queste differenze al nostro interno, perché è questo che consente al partito una continuità, nonché di mantenere la sua fisionomia nel corso futuro degli anni e la sua libertà di giudizio. Naturalmente la differenza fra il sistema attuale e quello dal 1945 fino al 1993 è data dal sistema elettorale maggioritario, il quale impone a livello nazionale e a livello locale delle scelte di campo più che di accordo programmatico. Le scelte di schieramento fatte condizionano lo sforzo programmatico di una singola forza ed impongono, sfortunatamente se volete, una coerenza superiore fra livello nazionale e locale, di quanto non fosse indispensabile con il sistema proporzionale. Insomma, occorre una assoluta coerenza e una linearità dei comportamenti. Mi rendo conto che questa coerenza deve misurarsi con una difficoltà accresciuta dallo sforzo che abbiamo fatto per ricostituire l'unità e l' identità del partito repubblicano a fronte di un'aggressione che voleva la nostra dissoluzione. La principale battaglia che noi abbiamo fatto in questi anni è stata quella di affermare che il repubblicanesimo politico si rappresenta con il partito repubblicano e dunque è necessario che il partito abbia dei caratteri identificabili, sia a Milano che a Palermo, passando per Ravenna e Carrara. L'opinione pubblica, deve poter dire, d'accordo o non d'accordo che essa sia, che i repubblicani stanno in una sola e identica posizione in tutte le realtà italiane. Questo è il solo modo che ci può consentire di tornare ad avere una massa critica tale da farci svolgere un'azione politica. Per questo, pur nella complessità delle nostre valutazioni, dobbiamo esigere una omogeneità di posizioni fra il centro e la periferia.

Se poi guardo alla situazione politica di questi mesi, consapevole del dilemma che riguarda i repubblicani e dunque non con spirito fazioso, ritengo che il partito abbia fatto una scelta giusta. Questo perché nel complesso, con delle luci e delle ombre, il governo ha svolto bene la sua azione, mentre con più ombre che luci, la condizione dell'opposizione ci avrebbe messo in una situazione disperata. E' chiaro che ci sono delle cose del governo che avremmo preferito non venissero fatte. Ad esempio, io non ho votato il provvedimento sulle rogatorie, avvertendo il presidente del Consiglio che non condividevo le norme retroattive contenute in quel provvedimento, così come non ho condiviso il modo in cui è stato affrontato il mandato di cattura europeo, dove le obiezioni che il governo italiano intendeva sollevare necessitavano di una forma diversa e di una documentazione possibile e valida di quelle obiezioni, del resto condivise da molti altri paesi europei. Per cui non c'era nessuna ragione al mondo di apparire come il solo paese che, per ragioni particolari, non voleva un mandato di cattura internazionale.

Ma se guardiamo i provvedimenti di carattere economico ci accorgiamo che essi sono nel complesso positivi. Del resto desidero richiamare la vostra attenzione sul fatto che il presidente del Consiglio abbia sottoscrito un documento di politica economica con il premier laburista britannico, Tony Blair. Documento che ha diviso la sinistra in due. Una parte ha detto che non era stato sottoscritto alcun documento. Era un semplice comunicato convenzionale, come sostengono Amato e D'Alema. Mentre un'altra parte, quella di Salvi e Cofferati, per esempio, ha accusato Blair di tradimento e ne ha chiesto la censura se non l'espulsione dall'internazionale socialista. E questo adducendo la motivazione che Blair era così diventato il capo della destra europea. Se Blair è il capo della destra europea, e Salvi rappresenta invece la sinistra riformatrice, mi dovete dire da che parte stiamo noi repubblicani. Ho l'impressione che anche il più di sinistra fra tutti noi repubblicani preferisca ancora Blair a Salvi.

D'Altra parte la storia si ripete, e quando il Pri inventò la politica dei redditi negli anni '60, e ci prendemmo le botte dai sindacati, quella nostra proposta faceva riferimento ad una posizione del laburista Wilson. Vi ricordate? Questo per la sinistra italiana non fu la prova che i repubblicani erano una forza politica modernizzatrice, ma che, al contrario, il labour party fosse assimilabile ai movimenti della destra.

Mi chiedo allora come ci saremmo trovati in questa situazione se fossimo stati nell'altra coalizione - proprio mentre il presidente del consiglio italiano sottoscriveva un documento con il premier laburista britannico - e parte cospicua dei nostri alleati invece di riconoscere i meriti di Berlusconi per aver raggiunto un accordo con chi veniva considerato fino a un anno fa il leader dell'Ulivo mondiale, lo biasimava, e insieme a lui biasimava anche Blair.

Vengo allora al merito della questione che tanto indispone la sinistra sociale: sinceramente non ho mai pensato che la riforma dell'art. 18 sia da solo di per sé determinante per risolvere il problema occupazionale. Sapete che appartengo ad una scuola di pensiero che ritiene strumenti atti alla piena occupazione le politiche monetarie, quelle fiscali, gli investimenti pubblici e poi la flessibilità del mercato del lavoro e dunque che è più facile introdurre una flessibilità del mercato del lavoro quando l'economia si trova in espansione, piuttosto che in una fase di recessione come l'attuale. Fossi stato ministro, non so se avrei aperto questo tema, ma mi colpisce che una volta aperto, due dei tre sindacati, di cui uno tradizionalmente vicino a noi, considerano che esso non meriti di per sé la necessità di schierarsi con la Cgil e proclamare lo sciopero generale. Anche ai tempi del governo Craxi c'era uno scontro altrettanto evidente all'interno del sindacato. Allora si poteva pensare che la Cisl e la Uil, rispondessero politicamente al premier socialista, ma oggi la Cisl e la Uil non rispondono certo all'onorevole Berlusconi, perché entrambi sono organizzazioni vicine alla sinistra Ds o al centro popolare. Quindi Berlusconi non divide il sindacato in ragione di un richiamo di solidarietà politica come a suo tempo poteva aver fatto Craxi, ma lo divide perché evidentemente la consapevolezza di una parte del sindacato è che non può reggere più una posizione di pregiudizio ideologico come quella che caratterizza Cofferati.

La ragione della rottura del mondo sindacale non viene dall'esterno, e dunque avere posto la questione dell'articolo 18 significa aver colto politicamente le differenze interne al sindacato. E di questo bisogna prendere atto ed anche questo è un elemento di valutazione importante per il nostro partito.

Desidero anche fare una considerazione sulla politica europea che tanto ha tenuto banco nei mesi scorsi e ancora lo terrà nei prossimi: non ha davvero senso pensare di distinguere la politica europea del governo asserendo, come pure ha fatto l'opposizione, che esso ha una posizione astrattamente antieuropea, rispetto ad una più europeista. Siccome Nucara ed io abbiamo fatto diverse dichiarazioni in proposito, chiedendo quale fosse questo problema e cioè se davvero qualcuno riteneva possibile che vi fossero due posizioni nel governo, una più europea di Ruggiero e una meno europea di Martino e Tremonti, approfitto per tornare sull'argomento. Sfortunatamente, l'Italia ha una sola posizione. La quale comporta che se il treno europeo parte noi ci dobbiamo salire necessariamente, come è stato fatto per l'euro, nonostante i tanti dubbi che albergavano nel centrosinistra e nel governo Prodi. Mentre, se il treno europeo non parte, come non sta partendo, e dubito basti la Convenzione a farlo partire, bisogna prendere atto che non parte. E dentro questa politica che non ha alternative, si tratta di affermare una dignitosa posizione italiana. A questo proposito mi interessa una particolare questione che riguarda i problemi del Medio Oriente. Se l'Europa si illude di fare una politica per il Medio Oriente indipendentemente dagli Stati Uniti, quando gli Stati Uniti restano il solo punto di riferimento autentico per rilevanza e potenza, nello scenario internazionale, prima della Russia e della Cina, l'Europa va incontro ad un'illusione deleteria e pericolosa. E se l'Italia si sottrae alla posizione francese per essere più vicina alla posizione americana, svolge la sola funzione utile possibile in questo momento anche per la pace in Medioriente, perché prescindendo dagli Usa non c'è processo di pace possibile.

Desidero infine raccomandare al partito una presa di posizione, se sarà necessario, sulla questione Rai.

I presidenti delle Camere rispondono ad una legge di tipo consociativo profondamente sbagliata che non comporta il nominare cinque soloni. Prima del sistema maggioritario, Camera e Senato erano ripartite fra maggioranza ed opposizione e questo equilibrio si rifletteva anche nel consiglio d'amministrazione Rai. Ora il problema è che due presidenti delle Camere dello stesso schieramento debbono farsi carico anche delle esigenze dello schieramento opposto, esponendosi alle critiche di tutti coloro che sono insoddisfatti non per la scelta, ma per lo stesso principio della scelta. La soluzione può avvenire solo sbarazzandosi di questa situazione. Noi dobbiamo chiedere che il cda Rai sia provvisorio perché la maggioranza si prefigge di fare una legge che metta sul mercato due delle tre reti Rai, cosa che naturalmente presuppone di stabilire un limite antitrust per Mediaset, in maniera che questa sia l'ultima nomina avvenuta con l'attuale metodo, figlio di un equilibrio che oggi non esiste più.

Concludo dicendo che sono certo che il nostro partito ha trovato in Nucara una guida aperta al dialogo ma assolutamente ferma nei comportamenti politici, che io considero indispensabili per il Paese, e che egli abbia le qualità necessarie perché i repubblicani possano tornare a ricoprire il ruolo che loro spetta nella vita politica nazionale. Vi ringrazio.

 

Schema della relazione del segretario nazionale on. Francesco Nucara al CN del 22 febbraio 2002

Introduzione

La mia relazione vuole avere un carattere introduttivo, una "Cornice" nella quale inserire la puntuale relazione di Santoro, fatta a nome della Segreteria, che fissa alcuni punti nodali delle proposte dei repubblicani per gli Enti locali, come la proposta di una legge che riequilibri il rapporto tra i Sindaci ed i rispettivi Consigli; alcune valutazioni sulle scelte di bilancio, l'indicazione della scelta per le organizzazioni locali di presentare liste con il simbolo dell'Edera alle prossime elezioni del 26 maggio, collegate alla Casa delle Libertà.

Ma questa mia introduzione toccherà, anche se in maniera schematica ed indicativa, soprattutto gli argomenti che hanno caratterizzato ed influenzato il quadro politico nazionale e l'attività del Governo, di cui facciamo parte.

- Politica estera ed Europa. Dimissioni di Ruggiero -

Sul tema della politica estera e dell'impegno europeista del Governo si è aperta con la minoranza una discussione che voglio per sommi capi ricordare.

a) in occasione delle dimissioni di Ruggiero, sia Savoldi che Collura accusarono in un documento da noi pubblicato sul Sito, la Segreteria, cito le parole testuali "per l'assenza di qualsiasi presa di posizione del partito sulla vicenda Ruggiero".

b) Abbiamo rimandato quegli amici alle puntuali dichiarazioni del Presidente e del Segretario, rilasciate con tempestività e riprese dalle maggiori Agenzie di stampa.

Ma gli avvenimenti successivi alle dimissioni di Ruggiero hanno confermato che molte delle accuse al Governo Berlusconi, su un suo presunto scarso impegno europeista e che si accingeva a portare l'Italia fuori dall'Europa erano e rimangono una impudente affermazione propagandistica di Rutelli e compagni.

c) Noi - cari amici della minoranza- facciamo parte di un Governo che non si prepara, non ostante l'uscita di Ruggiero, a portare l'Italia fuori dall'Europa, la verità è che in Europa stanno cambiando i rapporti e le alleanze.

L'incontro tra Blair e Berlusconi e la firma di un documento comune in vista del vertice di Barcellona delinea di fatto un'alleanza - come è scritto nella Nota Politica del sito - tra Londra e Roma sulle principali questioni economiche oggi aperte in Europa: integrazione dei mercati finanziari, privatizzazioni e liberalizzazioni, flessibilità del mercato del lavoro. Ciò rappresenta i il primo segno tangibile di una inversione di tendenza in Europa sino ad oggi dominata dall'asse tra Francia e Germania. Sta per nascere o è già in piedi un rapporto preferenziale tra Gran Bretagna, Spagna e Italia.

d) Sui temi dell'Europa i repubblicani non possono accettare lezioni improvvisate da coloro che nei momenti di grandi scelte internazionali dell'Italia e delle decisioni strategiche per l'Europa non hanno esitato a schierarsi all'opposizione.

Ma questa impostazione propagandistica tende anche a coprire la crisi profonda dell'Ulivo, una crisi che durerà a lungo e che oggi proprio per la sua profondità o diciamo meglio per la sua natura strategica toccherà una serie di aspetti particolari che sono tutti legati tra loro: dalla crisi e dalla ricerca della leadership nell'Ulivo, ai problemi interni dei Ds non risolti, semmai acuiti, con il Congresso di Pesaro, dalla contestazione di Moretti e dei professori fiorentini alle scelte di Cofferati nel partito, nella Cgil, e con gli altri sindacati, ai rapporti con gli intellettuali.

Tutti questi aspetti portano ad una domanda finale: quali scelte saranno compiute e per quale tipo di opposizione?

La dichiarazione di Rutelli sulle nomine Rai , la decisione di abbandonare il confronto in Commissione Affari costituzionali sull'iter della legge sul conflitto di interessi, l'esasperazione sull'art. 18 sono amplificazioni volute che - al di là delle questioni di merito - tendono a coprire la mancanza di una linea strategica di opposizione, fatta di contenuti e proposte e capace di parlare al Paese.

Questa linea non c'è ancora - e sarà difficile costruirla a breve - perché la diversità tra sinistra e moderati non è ancora risolta e diventa ogni giorno più stridente specie se si guarda alle aspirazioni del "popolo di sinistra" e di un'opinione pubblica che sembrano andare per conto loro e non rispondere più ai partiti ed agli uomini guida. Da questa divaricazione è nata la contestazione di Moretti.e dei professori.

- Rapporto con gli intellettuali -

Lo stesso rapporto con gli intellettuali si colloca in questa crisi della sinistra. Negli anni della guerra fredda e della contrapposizione fra la sinistra e le forze di governo tra cui c'era il Pri , gli intellettuali erano condizionati dall'egemonia del partito-guida e si collocavano quindi in una posizione organica nel rapporto con lo stesso, legittimandone tutte le scelte. Oggi , venuta meno l'autorità e la forza elettorale del partito, questo rapporto si è esaurito ed i Ds rischiano di ripetere nell'incontro con gli intellettuali di area un rito vecchio ed inutile.

- Il Sindacato -

L'esasperazione sull'art. 18 e la programmazione dello sciopero generale da parte della CGIL s'inseriscono in questa crisi ampia della sinistra e nella ricerca di un ruolo del sindacato per la risoluzione di questioni fondamentali che mi limito ad elencare: unità del movimento, uso dello sciopero generale, metodo della concertazione, difesa del posto di lavoro

Il sindacato su questi temi è a un bivio tra la conservazione di vecchie posizioni che hanno rafforzato "lacci e lacciuoli" nel processo produttivo ed una esigenza di rinnovamento. La scelta fatta dalla CGIL al congresso di Rimini appare più indirizzata a costruire una piattaforma per un antagonismo politico ed ideologico con il governo Berlusconi. Questa scelta inserisce un altro fattore fortemente destabilizzante nella crisi dell'Ulivo, perché in sostanza condiziona l'autonomia della linea di opposizione dello stesso Ulivo che deve tenere conto di queste spinte.

- Congresso UIL -

Noi saremo a Torino al congresso dell' UIL per continuare il dialogo ed il rapporto con gli amici repubblicani di questa organizzazione la cui storia si lega a quella del partito, ma nel contempo abbiamo aperto colloqui ed avviato incontri con quelle organizzazioni sindacali autonome che sembrano mostrare più attenzione alle nostre tesi.

- Autonomia ed Alleanze locali -

Un ultimo punto riguarda le alleanze per le prossime elezioni del 26 maggio e che è il tema centrale di questo Consiglio nazionale. Santoro farà un'analisi più approfondita e specifica sulle indicazioni delle alleanze e sulle proposte programmatiche del PRI.

Su questo argomento, visto che è stata spesso sottolineata - (Valbonesi in direzione- nell'incontro con i dirigenti di Ravenna) l'esigenza che venga "rispettata" da parte della Segreteria nazionale l'autonomia delle organizzazioni locali nella scelta delle alleanze elettorali, voglio chiarire il mio concetto di "autonomia".

Abbiamo già chiarito che questo criterio non ha rilevanza statutaria, nel senso che non è collegato ad alcuna norma specifica dello Statuto. Non è quindi un criterio "autonomo" nella vita complessiva del partito che consente alle organizzazioni periferiche scelte in contraddizione con la linea politica nazionale.

L'autonomia è sicuramente un valore basilare che fa parte della vita e della tradizione politica e culturale del partito ma che va applicato e regolato politicamente con un rapporto di collaborazione e di responsabilità tra i dirigenti locali e la segreteria nazionale del partito..

Questa ricerca di equilibrio tra le scelte politiche nazionali e le esigenze locali incontrava difficoltà anche negli anni in cui vigeva un sistema elettorale proporzionale. Ricordiamo tutti che ai tempi dell'alleanza di centro-sinistra il quadro delle giunte di pentapartito delle grandi città e spesso anche delle piccole era regolato dall'intervento delle Segreterie nazionali e dei Responsabili degli enti locali del partito. E questo intervento veniva accettato da tutti, anzi era addirittura sollecitato dalle organizzazioni periferiche che ricorrevano a Roma per avere maggior forza e rappresentatività in sede locale.

Ma con la modifica delle leggi elettorali e la fine del sistema proporzionale il quadro è fortemente mutato e ne dobbiamo tenere tutti conto se non vogliamo stravolgere il senso delle scelte politiche compiute in sede congressuale.

A Bari noi abbiamo scelto di allearci organicamente con la Casa delle libertà e pertanto dobbiamo riempire quella scelta di comportamenti coerenti, anche in sede locale.

Questo non vuol dire che caleremo dall'alto, con un centralismo miope che non ci appartiene, soluzioni preordinate ma sicuramente non consentiremo di utilizzare un errato criterio di "autonomia" per cercare di disarticolare e stravolgere le scelte congressuali del partito.

Va sicuramente ricercato e trovato un punto di equilibrio tra queste due esigenze, tenendo presente che a prevalere deve essere sempre, contro localismi e posizioni personalistiche, la difesa degli interessi generali del partito. Infatti, una serie di soluzioni locali, contrapposte alla scelta nazionale, finirebbe per compromettere l'immagine del partito e la credibilità degli organismi dirigenti nazionali e la loro forza contrattuale con gli alleati della Casa delle Libertà. In questa direzione e per sciogliere eventuali ambiguità locali abbiamo sollecitato nei giorni scorsi, unitamente all'amico Santoro, un incontro con i Responsabili di quei partiti, per un esame preventivo delle diverse situazioni locali.

Ma tutto ciò comporta equilibrio e prudenza nelle scelte e nei comportamenti da parte di noi tutti .

Non si può venire a Roma a proporre soluzioni raccordate e poi tornare in periferia e sparare sulla stampa locale a palle infuocate contro la Direzione Nazionale, accusandola di centralismo e di interferenze nelle scelte locali

Per queste considerazioni chiediamo al Consiglio nazionale di dare un mandato fiduciario alla segreteria per potere intervenire in tutte quelle situazioni locali che potrebbero compromettere la credibilità e la linea del partito.

 

Relazione del capo della segreteria politica on. Italico Santoro sulle elezioni del 26 maggio al CN

Il 26 maggio si voterà per il rinnovo di dieci consigli provinciali e di numerose amministrazioni comunali, molte delle quali riguardano comuni al di sopra dei 15.000 abitanti. Sono chiamati ad esprimere il loro voto 4.762.373 elettori nel caso dei consigli provinciali, 5.355.273 elettori in 138 comuni al di sopra dei 15.000 abitanti. A questi si aggiungono 591.041 elettori chiamati alle urne in Sicilia per il rinnovo del consiglio in 3 comuni con oltre 10.000 abitanti.

Non si tratta solo di un campione importante. Si tratta di una tappa essenziale nell'azione di rilancio del Partito Repubblicano. L'obiettivo è quello di presentare il maggior numero di liste con il simbolo dell'edera: dove possibile da solo, dove questo non dovesse essere possibile - ma solo in questo caso - insieme con il simbolo di altre forze politicamente compatibili.

A nessuno di voi sfuggirà l'attenzione con cui dobbiamo guardare a questi risultati e l'incidenza che essi inevitabilmente avranno. L'obiettivo che dobbiamo proporci è quello di segnare un significativo progresso nelle percentuali elettorali registrate dal PRI, rafforzando quella tendenza che già si è registrata - e in modo particolarmente significativo - nelle ultime elezioni siciliane. E voglio solo ricordare, per quanto possano valere questi paragoni, che anche a metà degli anni sessanta il rilancio elettorale del PRI cominciò proprio dalla Sicilia.

Le elezioni, quelle comunali soprattutto, investono l'intera penisola. Se nel caso delle elezioni provinciali è soprattutto il Nord ad essere coinvolto, con le sole eccezioni di Ancona nel centro e di Reggio Calabria e Campobasso nel Sud, nel caso delle elezioni comunali vi sono comuni importanti - e molti capoluoghi di provincia - in tutte le aree geografiche del paese. Voglio sottolineare che nel turno elettorale sono ricompresi 27 capoluoghi di provincia, tra i quali città come Genova, Verona, Reggio Calabria, Parma, Piacenza, La Spezia, Lecce. In qualche comune - segnalo tra tutti Carrara - vi è un'antica e consolidata tradizione repubblicana, tuttora molto forte. Ma non sono pochi i comuni nei quali il PRI - nella fase della sua massima espansione - aveva superato il 10%.

Tutto il partito deve concentrarsi nello sforzo di assicurare il suo contributo al risultato finale: e se tale risultato sarà positivo avremo creato i presupposti per una ulteriore e più consolidata presenza dei repubblicani nel paese.

Come è nostra tradizione, a queste elezioni intendiamo presentarci con una piattaforma programmatica e politica, di contenuti e di schieramento, chiara e omogenea, tale da rafforzare l'immagine del partito rispetto all'elettorato e da consentire all'elettorato stesso una scelta precisa di voto: di sapere, in altre parole, per che cosa si vota oltre che per chi si vota.

Sul terreno politico-istituzionale, intendiamo renderci promotori di una proposta di legge che - senza mettere in discussione l'elezione diretta del sindaco, forse la più importante delle innovazioni elettorali di questo decennio - sia in grado di riequilibrare il rapporto tra sindaco (o presidente della provincia) e rispettivi consigli. Se con il precedente sistema elettorale tale rapporto era squilibrato nel senso che troppo debole era la funzione di governo - quella, cioè, del sindaco o del presidente della provincia -, oggi questo rapporto appare fortemente indebolito specie nella funzione di indirizzo e di controllo, quella cioè che viene istituzionalmente esercitata dal consiglio. E' perciò che noi intendiamo proporre la distribuzione proporzionale dei seggi, così costringendo il sindaco - pur eletto direttamente dal popolo - a cercarsi e garantirsi una maggioranza in consiglio, così come avviene - si licet parva componere magnis - con il Presidente degli Stati Uniti rispetto al Congresso o al premier israeliano rispetto al suo Parlamento. Rimarrebbe valido, come è ovvio, il potere di scioglimento dell'assemblea attribuito al sindaco o al presidente della provincia mediante l'esercizio delle dimissioni o la sfiducia consiliare.

In questo modo verrebbe raggiunto un duplice risultato: uno di carattere generale, e cioè un più equilibrato rapporto tra funzione di governo e funzione di controllo, tra sindaco o presidente e relativo consiglio; uno di ordine specifico, riguardante il Partito Repubblicano, che vedrebbe così accresciuta la sua autonomia. Nello stesso tempo - e per le stesse ragioni - ci opporremo in Parlamento ad ogni tentativo di estendere a due le possibilità di rielezione dei sindaci e dei presidenti delle province. Un quindicennio di permanenza continua al potere di un organo monocratico, rischierebbe di trasformare comuni e province italiani in feudi medioevali, restringendo i margini di quel ricambio democratico che è fisiologico al buon funzionamento delle istituzioni.

Secondo punto caratterizzante per i repubblicani, l'equilibrio di bilancio. Le riforme di questi anni hanno obiettivamente rafforzato il ruolo degli enti locali e i relativi poteri. A tale rafforzamento deve corrispondere maggiore responsabilità. Comuni e province debbono partecipare attivamente di una politica complessivamente orientata al rispetto del patto di stabilità e dei suoi vincoli, e comunque di quella politica economico-finanziaria che i repubblicani hanno sempre sostenuto e che si fonda

sul rigoroso rispetto degli equilibri finanziari.

Questo è tanto più vero dopo il parziale trasferimento agli enti locali di una potestà impositiva diretta, come per esempio l'ICI, e quindi della possibilità di mettere a punto vere e proprie politiche di bilancio, caratterizzate da maggiore o minore pressione fiscale e corrispondentemente da minore o maggiore dilatazione della spesa. Obiettivo programmatico dei repubblicani deve essere pertanto quello di utilizzare, anche a livello locale, le politiche di bilancio come essenziale strumento di politica economica - e di trasparenza di tale politica - anche per favorire la scelta dell'elettore e le sue conseguenti aspettative.

Del tutto pretestuosa, se collocata in questo contesto, appare anche la polemica che alcune organizzazioni rappresentative degli enti locali muovono nei confronti del governo, responsabile di aver tagliato i trasferimenti agli enti locali; e che dimostrano invece solo le irresponsabilità di tali organizzazioni nei confronti della politica complessiva di bilancio e una scarsa comprensione delle diverse condizioni in cui si esercita la finanza locale. Vanno sostenute, dovunque possibile, le politiche di privatizzazione delle aziende di servizio: che debbono essere, però, anche vere politiche di liberalizzazione, perché ha scarso significato sostituire un monopolio privato ad un monopolio pubblico. Il vero obiettivo deve essere, invece, quello di stabilire reali condizioni di concorrenza, tra l'altro secondo un indirizzo che è proprio dell'Unione Europea, in modo da garantire il massimo vantaggio per il consumatore, che deve essere ricollocato - come è proprio di una economia di mercato - al centro del processo economico.

Ultimo punto, ma non certo ultimo in ordine di importanza, le politiche di sviluppo sostenibile. Queste politiche stanno acquistando, soprattutto ma non solo nelle maggiori città, un'importanza, una centralità ed una urgenza sconosciute in passato; e

c'è il rischio che le risposte possano oscillare tra l'indifferenza e il fondamentalismo, tra la logica della crescita puramente quantitativa e il rifiuto della crescita stessa, che sembra spesso caratterizzare - almeno nel nostro paese - i verdi e le loro organizzazioni di riferimento.

Su questo terreno si accentua sempre più il ruolo degli enti locali. Ma troppo spesso le misure adottate - si pensi per esempio al periodico ricorso alle targhe alterne -, anche se imposte dall'urgenza dei problemi, sembrano più curare i mali a valle che a monte, incidere più sulle conseguenze che sulle cause. Vanno invece valutati con attenzione, per fare solo un esempio, quei tentativi - proposti da esperti ma anche da uomini delle istituzioni, come il presidente della regione Lombardia - che puntano, per quanto riguarda l'inquinamento indotto dalla circolazione automobilistica, sulla graduale ma necessaria riconversione - almeno nei centri urbani - del combustibile utilizzato dalle vetture.

E' solo un esempio, e in questo come in altre direzioni non mancherà di esercitarsi la fantasia e la capacità programmatica dei repubblicani. Non trascurando, peraltro, che preziosi suggerimenti e concreti sostegni potranno essere assicurati, su questo terreno, dalla presenza dell'amico Nucara al Ministero dell'Ambiente.

Su tale schema di proposta complessiva non mancheranno di collocarsi, come è ovvio, le più specifiche scelte programmatiche che riguardano le diverse realtà locali: ognuna con le sue peculiarità e i suoi problemi, come è proprio di questo nostro paese così vario e così articolato e, proprio per questo, così ricco. Ai repubblicani delle tante città e dei tanti comuni il compito di proporre, di approfondire, di scegliere: le loro realtà specifiche cresceranno anche grazie a questa capacità propositiva che non è mai venuta meno nella lunga storia del nostro partito.

Alla nettezza delle posizioni programmatiche dovranno fare riscontro scelte di schieramento altrettanto limpide e coerenti. Fino all'inizio degli anni novanta - per intenderci, negli anni della prima repubblica e delle leggi elettorali proporzionali - era possibile una maggiore articolazione delle posizioni locali, sia pure nell'ambito di una tendenziale omogeneità tra alleanze di governo nazionale e alleanze negli enti locali.

Il sistema maggioritario - che non abbiamo voluto noi e che non amiamo particolarmente, ma che è il sistema oggi in vigore - esclude questa possibilità. La collocazione del partito non può che essere unica, come unica deve essere l'immagine che il PRI trasmette agli elettori.

Al Congresso di Bari, alla vigilia delle elezioni politiche, il PRI ha scelto di collocarsi nel centro-destra. E dunque per l'intero arco di questa legislatura - salvo avvenimenti internazionali o interni che possano determinare l'interruzione traumatica della collaborazione - le nostre scelte di schieramento, anche a livello locale, non possono che ripetere le scelte fatte a livello nazionale.

Questo non significa, come è chiaro, mettere automaticamente in crisi o comunque abbandonare le maggioranze di cui si fa parte in seguito al mandato degli elettori: sempre che, ovviamente, non si ritengano esaurite le ragioni che diedero vita a tale collaborazione al momento delle elezioni. Ma certamente significa che il PRI dovrà collocarsi in modo omogeneo, il 26 maggio, con propria originalità programmatica, all'interno dello schieramento di centro-destra: salvo, come è ovvio, che il candidato sindaco proposto da tale schieramento risulti inaccettabile per acclarate ragioni personali e non politiche.

Alcune scelte le faremo forse senza eccessivo entusiasmo. Ma dobbiamo farle quale conseguenza della logica insita nel maggioritario, una logica per cui si sceglie non secondo il criterio "del meglio" ma secondo il criterio del "meno peggio". E dobbiamo invece chiederci - ma questo sarà argomento di altro dibattito - se non sia il caso di raccogliere le aperture del Presidente del Consiglio nei confronti del sistema proporzionale e di farne un nostro tema politico: sapendo che da tale sistema non vengono penalizzati i partiti minori - come impropriamente è stato scritto - ma solo i partiti minori "ingordi".

La linea politica qui delineata - e che offriamo al dibattito di questo Consiglio Nazionale - non deve essere vissuta dal partito e dai suoi dirigenti come normale certificazione dell'esistenza del PRI all'interno di un'alleanza politica; o, ancor peggio, come una imposizione subita e accettata malvolentieri. Faremmo, in questo caso, ben poca strada.

Questa linea politico-programmatica deve rappresentare la piattaforma intorno a cui richiamare lo sforzo e l'impegno di ceti sociali, imprenditoriali, intellettuali che sono orientati verso posizioni alternative al centro-sinistra ma che avvertono nello stesso tempo le inadeguatezze del centro-destra, le sue contraddizioni, certe insufficienze della sua classe dirigente. E sono tanti. Il partito deve attrezzarsi per accoglierli e ricomprenderli, per offrire una sponda laica a quanti nel centro-destra soffrono un'eccessiva propensione confessionale - particolarmente evidente su temi come la ricerca o la scuola -; a quanti si sentono scarsamente rappresentati da una classe dirigente costretta ad improvvisarsi tale nel corso di questa lunga e non completata transizione; a quanti vogliono provare o riprovare a fare politica in modo moderno ma nel solco di una lunga e gloriosa tradizione storica e culturale.

Ed è in questo spirito che dobbiamo rivolgerci non solo ai tanti repubblicani ora non impegnati, o al nostro elettorato di riferimento, ma anche, più in generale, a tutte quelle forze culturali e politiche di ispirazione risorgimentale, che si ritrovano nei concetti di patria e di nazione e nei valori della democrazia liberale, e per i quali possiamo rappresentare - e di fatto rappresentiamo - il solo e naturale punto di riferimento.

Sta soprattutto a noi, alla nostra capacità di costruire un partito aperto e moderno, vincere questa scommessa. A partire dal 26 maggio.

Roma 22 febbraio 2002

 

Replica di Nucara al Consiglio Nazionale del 22 febbraio 2002

Belle le parole dell'amico Balestrazzi: il rispetto delle persone, il rispetto della classe dirigente del partito. D'altro canto però mi pare molto difficile poter mantenere rapporti civili con chi scrive frasi come "avanti così, senza orgoglio e senza storia" (questa è Riscossa Repubblicana del Lazio).

Mi dispiace che uno dei promotori di queste scemenze sia Rocco Casciana, che ho modo di vedere molto spesso. Si tratta di sciocchezze e non di altro perché "avanti così senza orgoglio e senza storia" sono parole che io non sarei capace di dire a nessun repubblicano, nemmeno al mio peggior avversario interno. Dovreste vergognarvi, come avreste dovuto fare in altre occasioni. Ma di chi parlate? L'orgoglio e la storia non ci sono mai mancati.

Mi riferisco anche, caro Balestrazzi, all'affermazione che Berlusconi insegue l'elettorato attraverso i sondaggi. Ma che ci ha detto a proposito l'amico Giorgi di Carrara? Ci ha detto che non può andare con il centro-destra, perché perde l'elettorato; ma compito di un dirigente di partito è quello di guidare gli avvenimenti, non di farsi condizionare dai voti che prende. Cosa dovrei dire agli amici romagnoli o agli amici di Carrara: che se prendiamo più voti con il centro-destra, allora devono cambiare posizione? Ma la posizione politica non è in relazione a un risultato elettorale o in relazione a un assessore in più o in meno. Ma stiamo scherzando!!

Allora discutiamo serenamente, come io sono abituato a fare con tutti quelli che mi conoscono, perché capisco e vorrei che anche gli altri amici capissero le ragioni di tutti, nessuno escluso, sia di tutti coloro che stanno nel partito repubblicano, anche su posizioni diverse, ma sempre per il bene del partito, perchè noi facciamo coincidere sempre il bene del partito con il bene del paese.

Io mi auguro di poter rispondere a tutti, cari amici, anche a coloro che hanno forzato e strumentalizzato quello che ha detto La Malfa, e mi dispiace che non ci sia Giorgio La Malfa, perché probabilmente avrebbe risposto direttamente. La Malfa, riuscendo ad interpretare i sentimenti dei repubblicani, dice: "c'è chi anche al nostro interno, pur non condividendo questa scelta politica, fatta per necessità, ha ancora dei dubbi". Mi dispiace che sia dovuto andare via perché probabilmente, anzi sicuramente, avrebbe risposto direttamente. Io che vivo tutti i giorni vicino a lui, personalmente non credo che abbia di questi dubbi.

Vorrei adesso parlare delle critiche che mi ha fatto amabilmente Gallina sull'organizzazione dei lavori del Consiglio, sull'affermazione "io parlo quanto mi pare". Ho dovuto presiedere il Consiglio perché La Malfa si è dovuto assentare, ma ritengo, dato che il Consiglio dura un solo giorno, sia giusto far parlare tutti gli amici che vogliono intervenire, ma non possiamo concedere loro la parola alle 7 di sera. Quindi avevo fatto proposto di limitare la durata degli interventi. Non avendo ricevuto obiezioni, pensavo che fosse una proposta accettata da tutti, ma se qualcuno si fosse alzato ad obiettare io avrei accettato serenamente quello che l'assemblea avrebbe deciso, questo è fuori discussione. E non lo dico come dicono alcuni: "noi accettiamo il risultato del congresso di Bari, ci battiamo" - giustamente dal loro punto di vista - "perché la maggioranza diventi minoranza, però ci dovete lasciare fare quello che vogliamo". Non capisco la logica di questo assunto, proprio non riesco a capirla.

Allora forse è opportuno che parliamo tra noi più spesso, e se volete convochiamo anche un Consiglio Nazionale ogni mese, ma non si può dire: "a Bari avete deciso, noi accettiamo…. ". Il consiglio nazionale può, se vuole, contestare questa linea ed è giusto che lo faccia se ci crede, è un diritto ed anche un dovere verso se stessi e verso il popolo repubblicano. Quindi non è mia intenzione limitare il dibattito, ma non accetto di sentirmi dire "Berlusconi il padrone, il manovratore," ma dove siamo e dove stiamo andando? Io non pretendo certo di comandare in un'assemblea di repubblicani, che per loro natura sono anarchici, anarcoidi, anarchisti, ma bisogna avere rispetto di tutti se si vuole rispetto. Credo che questa sia anche una maniera che intendo perseguire, ma altra cosa è farsi insultare, ed io non mi faccio insultare da nessuno, così come per mia natura e per mio carattere non insulto mai nessuno.

Quindi tutto questo dire "c'è berlusconismo dentro il partito" veramente è una cosa che non sta in piedi. Sul conflitto di interessi poi, che qui sento richiamare, ogni volta, in ogni consiglio nazionale, ma perché non diciamo la verità, la verità sul conflitto di interessi? Diciamo che la Camera aveva approvato all'unanimità la legge sul conflitto di interessi e che poi la sinistra non ha voluto approvarla al Senato e non ha voluto nemmeno riproporla in questa legislatura.

E' facile parlare del conflitto di interessi di Berlusconi. L'avevano approvato tutti, pure la sinistra era d'accordo su quel provvedimento legislativo; è andato al Senato e non l'hanno approvato, eppure i partiti sono sempre quelli, non hanno voluto che si riproponesse in questa legislatura, e voi sapete che riproporre un progetto di legge già esaminato in una precedente legislatura ha, come dire, un percorso preferenziale.

Quindi anche su queste cose è giusto che si avanzino critiche, ma laddove è possibile farlo. Capisco che non tutti visitino il sito web del partito e quindi spesso non conoscano le prese di posizione critiche del partito, le mie e quelle di La Malfa, ma noi non siamo appiattiti sul governo Berlusconi, non siamo affatto appiattiti. Certo non abbiamo più la struttura per essere presenti su tutto. La mia teoria è che dobbiamo parlare di poche cose, perché non abbiamo gruppi parlamentari in grado di assisterci su tutto e quindi dobbiamo scegliere alcuni temi e battere su quelli. Leggendo gli interventi presenti sul sito si può ad esempio verificare che sulla scuola non siamo stati d'accordo con il governo Berlusconi, sui Savoia non siamo stati d'accordo con il governo Berlusconi, nemmeno sul Ponte dello Stretto di Messina siamo d'accordo con il governo Berlusconi.

Tuttavia si deve parlare solo quando non si condivide quello che sostiene il Governo.

Veniamo adesso al tema dell'autonomia: credo di essere stato chiaro sul problema dell'autonomia, di essere stato chiarissimo sia stamattina nel mio intervento, sia con i dirigenti del partito repubblicano che fanno parte della minoranza del partito ,quando in privato hanno voluto sapere in anticipo cosa avrei detto sull'argomento.

Ora, sul problema dell'autonomia è bene che ci chiariamo del tutto le idee. Voi dite che ogni organismo locale ha la sua autonomia e decide come crede opportuno. Ma non è così e voglio fare un esempio. Supponiamo che nella città di Milano un giorno si voti in contemporanea per il consiglio provinciale, per il comune e per la circoscrizione. La direzione provinciale decide di collegarsi con il centro-sinistra, l'unione comunale di Milano decide per il centro-destra, i consigli delle circoscrizioni scelgono di schierarsi in modi diversi. Che cosa capirebbe l'elettore che va a votare? Cosa capirebbe? Niente. Allora in quel caso la direzione provinciale, che dovrebbe essere un organismo gerarchicamente superiore rispetto all'unione comunale, dovrebbe dire: al comune andate con il centro sinistra come ci andiamo noi. Questi problemi dobbiamo porceli e anche risolverli - come diceva Mazzotti -: sono problemi reali che non possono essere lasciati senza soluzione politica. Non possiamo quindi dire "'autonomia estesa automaticamente a tutti gli organismi locali" perché questa autonomia non c'è, e nemmeno lo Statuto, che è stato tirato in ballo impropriamente, la prevede. Diverso è valutare un caso particolare, e torno a Carrara: è vero che oggi è molto probabile che il centro sinistra dica al partito repubblicano: "dateci un candidato a sindaco". Non so ancora se queste condizioni ci siano. Staremo a vedere. Ma prima del centro-sinistra, caro Giorgi, questa possibilità ce l'ha offerta il centro-destra. E voi non avete voluto nemmeno parlarne. E' perciò offensivo quando tu dici: state attenti a quello che fate, se andate con il centro-destra, perchè ci sono quelli che già ieri sera - nell'unione comunale di Carrara-, quelli per capirci che vogliono stare con la sinistra, che minacciavano l'uscita dal partito. Mentre quelli che si schiererebbero con il centro-destra hanno detto: comunque se voi andate con il centro sinistra noi restiamo e votiamo solo il simbolo. E mi pare che siano due modi diversi di vedere, io ripeto le parole che ha detto Giorgi, sono due modi diversi di stare dentro il partito repubblicano.

Io ricordo le parole, perché ero al congresso di Carrara, di Alberto Pincione, l'attuale segretario dell'unione comunale, nostro vecchio amico, - vecchio per militanza ovviamente - il quale disse: "noi capiamo la posizione del partito nazionale, andremo a tutto campo con il centro-sinistra e con il centro-destra". A me non pare che il segretario dell'unione comunale di Carrara abbia fatto questo. Allora permettete che forse è opportuno che qualcuno, con responsabilità, con sincerità, con onestà accerti se ci sono le condizioni perché a Carrara si vada con il centro-sinistra. Io non credo, sinceramente non credo che i repubblicani lascino automaticamente il partito a seconda delle scelte da esso compiute. Questa fase ha riguardato una stagione che si è fortunatamente chiusa. Perché è difficile che un vero è repubblicano lasci il partito, anche quando non condivide sino in fondo le posizioni politiche.

I Congressi: tutta questa storia dei congressi va chiarita perchè non c'è stata alcuna forzatura centralistica. Devo dare atto all'amico Raffi, e lo faccio con soddisfazione e ringraziandolo, che quando gli preannunciai l'ipotesi di spostare di qualche mese la celebrazione dei congressi, mi disse che se ciò poteva favorire in via generale il partito, non avrebbe avuto difficoltà a rinviare il Congresso di Massa Carrara. Quindi tutto questo parlare della minoranza sullo spostamento dei Congressi è una forzatura. La celebrazione dei congressi riguarda in fondo solo Ravenna.

E ,cari amici, non si disturba nessun manovratore. Vorrei solo evitare che i giornali nazionali di ogni genere e specie strumentalizzassero la posizione di Ravenna, che presumo sarà a sinistra e presumo che comincino a comparire sui giornali titoli come "la Romagna contro il partito nazionale", "la Romagna contro questo e contro quello." Quindi si tratta solo di fare il congresso dopo il 26 maggio e non di annullare i congressi. Celebrateli dopo il 26 maggio, non mi pare che caschi il mondo se li celebrate qualche mese dopo la data che avete già fissato.

E anche sul problema delle rogatorie, che io ho particolarmente a cuore, possiamo parlare serenamente. Sulle rogatorie sono d'accordo con quello che ha fatto il Parlamento italiano. Noi, i repubblicani, siamo per difendere la magistratura, non i magistrati, così come siamo per difendere i lavoratori, non gli occupati, ed è questo il nostro problema di repubblicani. Difendiamo la magistratura come istituzione, difendiamo la politica e non i politici, che hanno le loro responsabilità. Non si può arrestare la gente, caro Paolo Gambi, tu sei avvocato e dovresti saperlo molto meglio di me, anche se queste cose le conosco fin troppo bene per averle sofferte, non si arresta la gente usando come prova delle fotocopie: si possono usare come prove solo i documenti originali. Non sono state abolite le rogatorie. E' stato abolito il metodo che è stato usato. Se volete c'è soltanto una contraddizione sulla retroattività. Ma la condanna che una persona potrebbe subire ingiustamente vale bene la retroattività. La scuola repubblicana ci dovrebbe insegnare che sono meglio dieci colpevoli fuori che un innocente in galera: questo ci ha insegnato la scuola repubblicana.

Cari amici io credo di aver finito e mi scuso per la veemenza con cui tratto alcuni problemi, ma sono problemi che sento, che non possiamo ignorare e che dobbiamo discutere sino in fondo.

Dico un'ultima cosa all'amico Collura. Egli ci rimprovera - se non ho capito male - di interessarci troppo dei problemi della sinistra: ne ho parlato nella mia relazione, lo ha fatto anche Giorgio La Malfa nella sua introduzione. I problemi della sinistra, caro Collura, ci appartengono come repubblicani e come italiani. Il problema della sinistra italiana è il problema dei DS. Uno potrebbe dire: sono contento se i DS si dividono. Io dico: non sono contento invece, perché il problema della sinistra italiana è il problema della democrazia italiana, e allora sarebbe bene che avessero guide più sicure, guide più certe, ma i DS scomparissero. Forse non mi piace la sopravvivenza della Margherita ma penso che non durerà a lungo , ma che i Ds svolgano un ruolo nella democrazia italiana è quello che noi abbiamo sempre auspicato. In altri tempi abbiamo aiutato il PCI, lo abbiamo stimolato e sollecitato dialetticamete, ad entrare nell'alveo democratico di questo paese; potremmo aiutare oggi i DS a dire cose più sensate, a fare cose più sensate e meno contraddittorie. I Ds hanno una crisi di leadership ed hanno anche una crisi di proposta politica. Ci auguriamo per loro e per noi, ma soprattutto per la democrazia italiana, che possano superarle entrambe. Grazie.

In seguito Nucara ha accettato la proposta di Collura di convocare un Congresso Straordinario entro il prossimo autunno.