25 aprile 2005 Prima che militare la vittoria fu politica Tanto è stato già detto e scritto a proposito della Liberazione e del ruolo fondamentale che la Resistenza ha rivestito nel processo di nascita della nostra Repubblica. Qualche tempo fa il Presidente Ciampi ha affermato: "La Resistenza è stato il modo in cui un popolo ha conservato l'onore e il rispetto di se stesso". È una fra le infinite definizioni possibili, ma coglie a pieno il senso stesso di una pagina della storia d'Italia di cui è bene mantenere sempre salda memoria. A sessanta anni di distanza sembra ancora opportuno ricordare come, più che un mero fatto militare, la Resistenza vada ricordata, celebrata e divulgata alle generazioni future per il suo enorme spessore politico. Prima ancora di essere eventi di carattere militare, la guerra di liberazione e la lotta partigiana nel nostro Paese sono stati eventi di carattere squisitamente politico, nel senso più nobile del termine, ovvero movimenti interamente e profondamente rivolti al bene collettivo. La Resistenza fu infatti, come la definì Salvemini, una "guerra di popolo", né più né meno di quello che aveva dichiarato Parri ai primi di novembre del 1943, quando con Leo Valiani attraversò il confine svizzero per incontrare i delegati anglo-americani, che rimasero stupefatti quando egli affermò ripetutamente che puntava su una guerra del popolo italiano, condotta da un esercito del popolo: i partigiani. A quel tempo i partigiani che erano saliti in montagna ammontavano sì e no a qualche migliaio. Le vicende militari di questa "guerra del popolo" contro l'oppressore interessano soprattutto gli storici; tutto ciò che la Resistenza ha rappresentato dal punto di vista politico, sociale e culturale nel nostro Paese, è dovere di ogni cittadino conoscere e approfondire. I valori che con essa si affermarono sono e rimangono principi fondanti del nostro Paese: l'antifascismo, la democrazia, la libertà. Il frutto tangibile dell'esperienza partigiana, la nostra Costituzione, servì anche in qualche modo a codificare quei valori e a renderli inalienabili. All'indomani della Liberazione dell'alta Italia e della vittoria degli Alleati in Europa, si presentava in tutta la sua evidenza la necessità di ricostruire da zero il nostro Paese, promuovendo quella "rivoluzione democratica" cui il Partito d'Azione si era spesso richiamato nel suo programma e nella lotta partigiana: rottura della continuità giuridica con il vecchio stato monarchico e fascista, abrogazione delle leggi autoritarie cui esso aveva dato vita, promulgazione da parte dell'Assemblea Costituente di nuove leggi democratiche riguardanti le questioni strutturali dell'amministrazione, dell'ordine pubblico, della libertà d'espressione, della finanza pubblica, della giustizia, dell'assetto sociale. Per dare un significato politico, per stabilire un collegamento tra Resistenza e Costituzione, è utile ricordare il discorso di Piero Calamandrei ai giovani milanesi tenuto nel 1955, che si concluse con la forte immagine secondo la quale la Costituzione veniva presentata come un "testamento": il testamento dei caduti della Resistenza. Negli ultimi tempi abbiamo assistito a numerose "prese di coscienza", sono venuti alla luce alcuni aspetti di quel periodo storico che erano rimasti in ombra, si è fatto un gran parlare del "lato oscuro" dell'antifascismo. Forse è pleonastico ricordarlo, forse no: ricercare la completezza della verità storica non può e non deve significare mettere in discussione i valori dell'antifascismo. Basta consultare gli atti della Costituente per trovare il senso profondo dei principi che rappresentano le fondamenta del nostro Stato. Al monarchico Roberto Lucifero, che il 4 marzo 1947 propose di definire "afascista" e non "antifascista" la Costituzione stessa, risposero Piero Calamandrei del Partito D'Azione, il comunista Palmiro Togliatti e il democristiano Aldo Moro. Quest'ultimo affermò: "Non possiamo in questo senso fare una Costituzione afascista, cioè non possiamo prescindere da quello che è stato nel nostro Paese un movimento storico di importanza grandissima il quale nella sua negatività ha travolto per anni le coscienze e le istituzioni. Non possiamo dimenticare quello che è stato, perché questa nostra Costituzione emerge oggi da quella Resistenza, da quella lotta, per la quale ci siamo trovati insieme sul fonte della Resistenza e della guerra rivoluzionaria ed ora ci troviamo insieme per questo impegno di affermazione dei valori supremi della dignità umana e della vita sociale". Vi è anche chi stabilisce un legame ideale, un filo morale che partirebbe dal nostro Risorgimento per arrivare alla Costituzione repubblicana passando attraverso l'esperienza fondamentale della Resistenza italiana. Ieri si è celebrato il 60° anniversario della Liberazione, e mai come in questo particolare anniversario è utile ricordare che non si può separare la Costituzione dalla Resistenza al fascismo e dal 25 Aprile, perché con la lotta di Liberazione è nata la Repubblica e con la Repubblica la carta Costituzionale. Per capire a fondo quanto quella carta è stata ed è tuttora garanzia sostanziale della nostra democrazia, da salvaguardare e rispettare attraverso un'azione di governo coerente con i suoi principi, le parole di Leo Valiani sono illuminanti: "Senza rigore morale, senza autorità dello Stato, senza onestà da parte dei governanti e dei governati, la Costituzione è solo un testo cartaceo. Nella repubblica tedesca di Weimar, la socialdemocrazia, che ne era la forza più coerente, diceva, davanti alla crescita del nazismo, che essa non avrebbe abbandonato per prima il terreno della Costituzione. Come seconda, non ebbe più il tempo di difenderla: si trovò nei campi di concentramento. Noi non dobbiamo aspettarne il collasso, per difendere la Repubblica italiana". |