Intervista a Giulio Tremonti/Il decreto Bersani? 5% di liberalizzazioni, 95% di vessazioni

Questa sinistra non è all'altezza delle sfide di oggi

di Riccardo Bruno

Giulio Tremonti è un uomo nel centro del mirino. Dopo Berlusconi, di fatto è il principale bersaglio del centrosinistra, non gli è stata risparmiata neppure una (spassosa per la verità) imitazione dei professionisti della satira militante. Tremonti viene accusato di rappresentare il lato cinico, burocratico e sistematico del populismo berlusconiano. Una volta viene dipinto come l'uomo della "fantasia creativa" che sfascia i conti dello Stato, poi quello del "buco", che li ha sfasciati; se poi non c'è proprio modo di prenderlo di petto, eccolo accusato di essere il nuovo Colbert, che vuole ingessare il sistema economico dietro misure protezionistiche. La verità è che "La Voce Repubblicana" conosce Giulio Tremonti da molti anni, ben prima che entrasse nella politica attiva. All'epoca Tremonti era uno dei più giovani e brillanti economisti italiani, ed era anche uno dei pochi riformisti. Saranno molti nostri lettori a ricordarne le tesi e le suggestioni. Forse c'è da chiedersi se tanto accanimento nei suoi confronti non derivi dall'aver sofferto la scelta a favore di Forza Italia, tale da apparire uno smacco per una sinistra che magari pensava di poter acquisire una personalità con le qualità intellettuali di Giulio Tremonti. Tremonti, in più, non si scompone affatto alle provocazioni. E si comprende bene che egli giudichi il ruolo svolto in Forza Italia in questi anni una dimostrazione di coerenza e di continuità con la sua storia personale ed il suo modo originale di vedere le cose.

"La sinistra italiana ha mostrato di essere in grave ritardo rispetto all'evoluzione del sistema economico e ai nuovi scenari internazionali. Ha avuto un progressivo declino". Un po' come se fosse rimasta sepolta dalle macerie del muro di Berlino e faccia ancora fatica a liberarsene. L'89 è infatti per Tremonti una delle date cardine, "che hanno cambiato la struttura e la velocità del mondo in cui viviamo". La sinistra italiana non era pronta ed è andata facilmente in affanno, lo dimostra la sua classe dirigente, che "non è adeguata a misurarsi con i problemi che abbiamo di fronte". Per questo li ha accusati di recente di dilettantismo? "Non era mia intenzione offendere nessuno. Ma bisogna essere all'altezza degli obiettivi che ci si pone, se li si vuole realizzare sul serio".

Le doti di immaginazione e di fantasia di Tremonti non ne precludono il pragmatismo. Un suo motto potrebbe essere "la realtà è la realtà", come ha detto recentemente al "Corriere della Sera". Con essa bisogna sapersi misurare e dimostrare le qualità necessarie se si vuole incidere e costruire qualcosa. "Noi siamo riformisti e in cinque anni di governo le riforme ci siamo impegnati a farle e le abbiamo fatte. Abbiamo il terzo debito del mondo, ma non siamo la terza economia del mondo. Aver saputo tenere testa a questa situazione per un'intera legislatura va considerato un successo. Ed abbiamo tenuto grazie a riforme strutturali. La legge fallimentare sta funzionando ed è una riforma di mercato. Se l'avessimo fatta come Bersani vuole fare le liberalizzazioni, avremmo dovuto confrontarci con tutte le categorie e l'avremmo progressivamente stravolta. La stessa riforma del risparmio, che abbiamo approvato pur con qualche difficoltà, si è anche dimostrata una buona riforma". Sono fatti pesanti che il ministro dell'Economia della passata legislatura rivendica con un certo legittimo orgoglio. "Non basta volere le riforme, serve anche un metodo congruo", è la sua lezione di oggi. "Questo governo il metodo non sa cosa sia. Vive di slogan e procede alla bersagliera, noi abbiamo dimostrato maggiore serietà".

Abbiamo capito che non le piacciono le liberalizzazioni di Bersani. Tremonti sorride. "Non mi piace un decreto che contiene il 5% di liberalizzazioni ed il 95% di vessazioni". Di più: "Le liberalizzazioni sono la cosa giusta fatta nel modo sbagliato. Vedi i taxi. E' un problema che si risolve su base locale. Non è certo un caso che la soluzione l'abbia trovata Veltroni". Insomma, è d'accordo con Monti. "Io sono d'accordo con me stesso. Non si può immaginare una realtà diversa dalla realtà. Altrimenti si scivola nell'arroganza. Non possiamo avere l'economia italiana e gli studi americani". L'ossessione realistica di Tremonti riapparire improvvisa, ed è complementare, questa volta, alla denuncia di come il centrosinistra sia affatto privo di senso della realtà.

Ma se le cose stanno così, allora ha ragione chi crede che il governo non possa durare molto a lungo. Tremonti scandisce le parole: "L'impressione di un osservatore dall'esterno è che questo governo sia in sella da almeno tre anni. Sono appena passati tre mesi, ma ad ascoltare i toni ed a vedere certi comportamenti, siamo già alla crisi del terzo anno. Colpisce non l'intensità dei conflitti, che pure è altissima, ma la continuità dei conflitti: c'è un conflitto al giorno. La Tav, l'Afghanistan, l'indulto, le intercettazioni. E' perfino difficile compilare l'elenco, seguirli tutti. Quello che è però evidente, fin troppo, è l'immediato esaurimento dello slancio vitale di questa coalizione, tanto che oramai è davanti a tutti l'abisso che si è aperto fra il programma elettorale e la mera azione realizzativa del governo Prodi".

Forse la sua intervista al "Corriere della Sera" della settimana scorsa sembrava proprio incoraggiare una soluzione politica diversa, un ruolo attivo da far giocare al principale partito di opposizione per uscire da questa paralisi, senza "colpi di biliardo". Tremonti frena, o forse nicchia: "L'opposizione deve fare l'opposizione. Il governo viene in aula con i suoi provvedimenti, noi ci confrontiamo nel merito".

E quando il nuovo governo si lamenta del buco lasciato dall'esecutivo precedente, cosa fa l'opposizione e soprattutto cosa dice il titolare del dicastero economico del governo accusato del buco? "Potete scrivere che io mi riconosco perfettamente nei numeri del Dpef. Noi avevamo detto 3,8% di scostamento del deficit, loro 4. Quale sarebbe questa grande differenza, lo 0,2? Il governo ha scelto di drammatizzare i dati e poi immediatamente di minimizzare, ma questa non è una strategia". In effetti è una scelta che ha del ridicolo. "Lo ha detto lei, non io". Comunque sia, la condizione della maggioranza è tale da creare non pochi ripensamenti nell'opinione pubblica e già vi sono i pentiti fra coloro che pure pochi mesi fa desideravano innanzitutto mandare a casa Berlusconi. Fra i compiti dell'opposizione ritiene necessario anche mettere all'ordine del giorno la creazione di un partito unico del centrodestra, magari proprio per rassicurare gli italiani di un progetto coeso alternativo alle ubbìe e alle contraddizioni dell'attuale maggioranza? "Il partito unico non è un compito di lavoro: E' un destino. Con il tempo le differenze di oggi si attenueranno, mi immagino un percorso simile a quello che si è realizzato con l'Ump in Francia". Ci sarebbe da pensare al complesso rapporto fra Berlusconi e l'Udc, alla questione della leadership del centrodestra, ma Tremonti preferisce schivare. In Francia però, gli si fa osservare, c'è un partito socialista vero. "E' chiaro che anche la strutturazione del campo opposto ha un peso". E lei ritiene probabile che anche a sinistra si formi il partito unico? Tremonti ha una ulteriore pausa di riflessione. Allora incalzo: forse che a sinistra il partito unico non si può considerare un destino? Annuisce. "Sì, si può dire così". E se invece, come qualcuno pensa, Berlusconi esce un giorno di scena e Margherita e Forza Italia si intendono più facilmente che Ds e Margherita? La domanda non è "politicamente corretta", ma Tremonti non la disdegna: "La Margherita è molto eterogenea. Ha al suo interno una forte sinistra cattolica di ispirazione dossettiana che guarda al sistema di mercato con antipatia, per esempio. E' da escludere che ormai questa possa più trovare un'intesa con componenti cattoliche liberali, di ispirazione atlantica come pure avvenne ai tempi della Dc. Allora c'era la guerra fredda. Preferirà comunque una collaborazione con la sinistra piuttosto che con noi". Converrà che questa è pur sempre un'anomalia rispetto al panorama politico europeo. D'altra parte lei sull'Europa ha un punto di vista molto originale. Tremonti non tentenna. Ricorda l'Aramis di Dumas all'assedio della Rochelle. Piovono bombe dal cielo e lui arrota la lama della spada. Poi recita: "Tutta la nostra azione politica di governo è stata conforme ed ispirata ad una linea europeista. Io sono europeo".

Ed è per difendere questo suo europeismo che voleva rispolverare il protezionismo? "Essendo questa materia complessa, di scarsa comunicazione politica e giornalistica, ho dovuto scrivere un libro per spiegarla". Il libro è "Rischi fatali", edito da Mondadori l'ottobre scorso. Vi si spiega che "non è l'Europa che è entrata nella globalizzazione", ma che "è la globalizzazione che è entrata in Europa".

Ma soprattutto c'è l'attacco al Wto: "Mercato unico, errore unico", e si vede come nella elevata cultura economica di Giulio Tremonti, un posto di rispetto lo abbiano anche i vecchi Marx ed Engels: "Lo stregone non può più dominare le potenze sotterranee da lui evocate". Ecco, ora però ci spiega: "Se il Taiwan cresce al 9% è un fantastico risultato economico del Taiwan. Ma se la Cina cresce al 9%, per un continente come il nostro che cresce allo 0,3, diventa un trauma. Nel dopoguerra l'Occidente ha aperto al Giappone, che allora era appena un decimo di quello che ora può essere la Cina. Eppure non si può dire che allora l'Occidente fosse dominato da ideologie antimercato. All'opposto, erano proprio le ragioni del vecchio liberalismo che da una parte spingevano per l'apertura. Ma dall'altra anche per la prudenza. L'obiettivo era l'apertura del mercato, ma la base di partenza erano dazi di ingresso e quote commerciali, destinati a essere progressivamente abbattuti". Per cui, sostiene Tremonti, "pensare che con il Wto l'apertura mondiale del mercato potesse svilupparsi linearmente, era semplicemente folle. E un'Europa debole come la nostra, fondata solo sulla moneta e la Banca centrale europea, non sarebbe stato in grado di fronteggiarla".

Sconfitto il fantasma del comunismo, se ne aggira un altro per il continente? "Il tempo del Wto è stato un tempo suicida, per l'Europa in particolare, un'Europa che negli ultimi anni è diventata la camicia di forza delle idee e delle identità diverse. Voi repubblicani sapete che l'idea di Europa di Altiero Spinelli, di Ugo La Malfa, era molto diversa". Sì lo sappiamo, come capiamo, conversando con Tremonti, che vi è una ragione profonda nella scelta politica che ci ha condotti a trovarci dalla stessa parte del campo di battaglia pur nella nostra autonomia.