Un ordine del giorno del presidente del Pri sul riassetto del settore energetico in Italia, un Paese posto di fronte a delle scelte decisive/Rinnovabili: quali le prospettive per il solare, sia nelle applicazioni civili sia in quelle industriali. L'enfasi che è stata fino ad oggi posta sull'eolico e i dubbi risultati raggiunti nella Penisola Quando la nostra dipendenza dalle importazioni indica scenari ormai non più rinviabili Riproduciamo il testo di un Ordine del giorno presentato in Aula dall'onorevole Giorgio La Malfa nella seduta del 30 luglio 2004, accolto dal governo come raccomandazione. L'Atto Camera è il 3297-C:"Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia". La Camera, premesso che: il record storico dei consumi dell'energia elettrica (53.500 megawatt) raggiunto nel nostro Paese il 23 luglio 2004 e le tensioni crescenti registratesi negli ultimi mesi nel mercato del petrolio, tensioni da considerarsi strutturali a fronte della fortissima domanda dei Paesi economicamente emergenti quali Cina ed India cui fa riscontro la preoccupante diminuzione della capacità produttiva di riserva dei Paesi Opec, destinata a far fronte alle tensioni del mercato ed alle emergenze, pongono l'Italia di fronte a scelte energetiche decisive per il proprio futuro; se da un lato va annotata con favore la crescente diversificazione delle fonti operata dall'Enel, sì da ridurre la dipendenza da petrolio, dall'altro l'Italia resta il Paese nel quale si importano 6 gigawatt annui da Paesi esteri, dove il costo dell'energia è mediamente più elevato rispetto ai partners europei, dove resta elevatissima la dipendenza da combustibili fossili, che non abbiamo; il Protocollo di Kyoto, dall'Italia sottoscritto e sostenuto con vigore in sede internazionale, non ha prodotto risultati apprezzabili nell'attività di regolazione ad esso riferibile; la carbon tax è al palo, per non introdurre un ulteriore elemento di crisi nel sistema industriale e dei trasporti, mentre forti perplessità devono sollevarsi sulla direzione che prendono le sovvenzioni per le fonti di energia rinnovabile già sollevate nel novembre scorso dalla Commissione attività produttive in sede di parere sul decreto attuativo della direttiva in materia, la 2001/77/CE; Lega Ambiente ha recentemente dimostrato che i cosiddetti contributi CIP6, 0,007 euro ogni kWh consumato, in media 20 euro a famiglia per un totale nazionale di 1840 milioni di euro all'anno, solo per il 19 per cento pagano energia da tecnologie rinnovabili. La maggior parte dei soldi (circa 1.300 milioni all'anno) va alle cosiddette "assimilabili", che includono molti impianti tradizionali a idrocarburi, trasformandosi in una tassa per finanziare l'arretratezza; senza considerare che l'incenerimento dei rifiuti, in buona parte plastica derivata dal petrolio, è stato considerato "energia rinnovabile"; il fallimento delle nostre politiche attuative di Kyoto è condensabile in tre elementi: l'Autorità per l'energia ha emesso il 27 aprile 2004 un provvedimento per controlli e sopralluoghi, tramite la Guardia di Finanza, agli impianti che godono degli incentivi; la Commissione europea nei giorni scorsi ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia per il mancato invio del piano nazionale per le emissioni; d'altro canto le emissioni lorde di gas serra nel nostro Paese hanno superato i 545 milioni di tonnellate nel 2001, rispetto ai 508 milioni del 1990, con una crescita del 7,3 per cento, invece che una riduzione; viceversa il Regno Unito, Paese petrolifero, ha ridotto le emissioni del 12, per cento e la Germania addirittura del 17,7 per cento; la maggior parte delle sovvenzioni per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è stata sinora assorbita dall'energia eolica, settore nel quale il nostro Paese è al quarto posto tra i produttori in Europa con 904 MW installati e prodotti da circa 1.300 torri eoliche, ben lontani dai 14.000 MW della Germania, dai 6.200 della Spagna e dai 3.100 della Danimarca; la loro installazione, in un Paese stretto ed antropizzato come il nostro, ha prodotto crescenti reazioni che hanno visto opporsi gruppi locali ambientalisti ad imprese, ad enti territoriali e financo alle proprie organizzazioni in sede nazionale, responsabili di un'accettazione che non ha tenuto pieno conto di una attenta valutazione costi-benefici, abbagliati dal miraggio della raggiunta valenza industriale di un metodo pulito di produzione energetica; per quanto le si voglia chiamare "fattorie del vento", gli impianti eolici sono impianti industriali a tutti gli effetti, in particolare quelli delle ultime generazioni con altezze complessive ben superiori ai 100 metri e rotori di oltre 90, essendo l'altezza crescente direttamente proporzionale alla capacità produttiva; sinteticamente le obiezioni all'installazione delle torri eoliche possono così esemplificarsi: a) l'energia eolica è intermittente ed imprevedibile; oggi non si può sapere se domani, o tra un'ora, si produrrà. Su oltre 8.000 ore annue l'Italia ha una media di ore utilizzabili dalle torri (con vento tra 4 e 22 metri al secondo) non superiore alle 2.000 ore, a fronte delle oltre 3.000 dei Paesi del Nord Europa; inoltre l'intermittenza obbliga a mantenere centrali tradizionali a sostegno: il gestore di rete tedesco ha dichiarato (der Spiegel aprile 2004) che per ogni MW di eolico occorre mantenere 800 kW tradizionali di sostegno, con un "accendi e spegni" tutt'altro che economico; b) se l'obiettivo è quello di produrre con il vento il 3,5 per cento dell'energia elettrica e quindi 1'1,2 per cento dell'energia totale consumata dal sistema Italia (nel limite dei 5000 MW installabili di energia elettrica da fonte rinnovabile intermittente), al fine di ridurre le emissioni nocive dell' 1,6 per cento, l'installazione di oltre 5000-6000 torri eoliche alte in media 100 metri, produrrebbe un risparmio irrisorio, del tutto inefficace per il raggiungimento degli impegni di Kyoto, se si considera che il consumo di petrolio e di altri combustibili fossili aumenta ogni anno in Italia di oltre il 2 per cento; c) viceversa, nel caso esposto, gli impatti sul paesaggio italiano, costituzionalmente tutelato, sarebbero abnormi; gli impianti eolici vanno installati sui crinali di montagna, ad altezze superiori agli 800 metri o in aree costiere di notevole pregio, quali quelle della Sardegna, della Sicilia, della Campania, della Calabria o della Puglia, distruggendo in modo indelebile i caratteri culturali, agricoli, turistici e paesaggistici del nostro Paese, con una dequalificazione di intere province e con costi economici ed ambientali incalcolabili; una per tutte: la strenua opposizione del Ministro per i beni e le attività culturali alle installazioni eoliche in Umbria, anche perché "..si sa che di energia elettrica ne producono poca.." (dichiarazione del 23 gennaio 2004); d) non si tratta solo di installare torri da cento metri, ma anche di predisporre in zone intatte reti stradali in grado di sopportare il traffico di autoarticolati di oltre 45 metri, sgomberare vaste zone di bosco e di macchia (le torri distano in media 250 metri l'una dall'altra e vanno collegate tra loro), creare basi di cemento da 800 e più tonnellate che scendono nel sottosuolo per decine di metri, collegare con reti elettriche aeree l'impianto alla rete nazionale; e) impatti rilevanti si verificano anche sulla qualità della vita e sulle possibilità di sviluppo turistico delle zone limitrofe agli impianti; rumore a bassa frequenza, disturbo delle trasmissioni televisive, "effetto discoteca" dovuto alle luci notturne collocate sulle pale; l'esperienza della Germania, dove sono installati oltre 15.000 "asparagi", ha altresì dimostrato che risultano precluse le possibilità di sviluppo turistico e che si è creato un danno economico alle comunità, poiché case e terreni scendono drasticamente di valore ed in molti casi diventano invendibili; f) tutt'altro che "ecologici" sono anche gli approcci delle società eoliche: "i sindaci dei piccoli Comuni sardi non riescono a resistere a 300 milioni all'anno e così, per un piatto di lenticchie, stiamo distruggendo per sempre il paesaggio della Sardegna. Le società eoliche arrivano di soppiatto, vanno prima dai proprietari delle cime delle colline dove vogliono installare enormi pali di 140 metri e promettono 30 milioni, poi fanno lo stesso con un'altra famiglia. Alla fine, un sindaco non riesce a dire no a 40, 50 famiglie. E così, facendo finta di portare ricchezza e lavoro in Sardegna, approfittano della povertà della gente". Così si è espresso il Presidente della regione Sardegna. Nel Mezzogiorno le società procedono chiedendo concessioni ai comuni, strutturalmente affetti da cronica mancanza di risorse, aggravata dalle nuove funzioni che il Centro trasferisce loro. Il "cedimento" di un comune è il segnale per il cedimento di tutti gli altri, tanto ormai paesaggio e prospettive di sviluppo alternative sono rovinati. È così che il Fortore si trova ad avere una selva di oltre 450 pali, dacché dovevano essere meno di 50; è questa la fine che rischia di fare il Cilento ancora intatto, dove ogni comune ha la sua richiesta di società eolica o la sua delibera d'insediamento approvata, ma aspetta che parta l'altro; la scarsezza dei rendimenti economici per i comuni e, viceversa, la rilevante redditività garantita per legge alle imprese si configurano come una sorta di "nuovo colonialismo" che, come il vecchio, produce esproprio o utilizzo improprio del territorio, nonché straniamento degli assetti economici e culturali locali, cioè l'esatto opposto del concetto di corretto sviluppo civile ed economico; g) non ultimi, gli impatti violenti sulla fauna ed in particolare sull'avifauna, al punto che anche i cacciatori, nel mensile ‘Diana' di giugno 2004 si sono apertamente schierati contro l'eolico; è pur vero che le convenzioni tra società eoliche ed associazioni ambientaliste prevedono la non installazione nelle zone di passo migratorio, ma è anche vero che ciò non sembra in grado di scongiurare le stragi di rapaci dell'Appennino, né la distruzione di habitat particolari quale quello degli ultimi orsi bruni, in difesa dei quali sono in corso strenue lotte in Abruzzo; viceversa l'Italia è il Paese del sole, come bene sanno anche gli italiani; da un rapporto dell'Ispo del luglio 2004, l'energia solare è la rinnovabile più conosciuta dagli intervistati (88 per cento del campione); in linea di principio essa è maggiormente affidabile, ha minore impatto sul territorio e crea una miriade di autoproduttori, poiché può diffondersi su gran parte degli edifici civili, salvo, anche qui, il rispetto dei valori paesaggistici; tuttavia dal 1999 ad oggi, le incentivazioni economiche sono state principalmente utilizzate per sostenere gli impianti eolici, impedendo in tal modo il decollo dell'industria fotovoltaica italiana, che nell'ultimo anno ha installato pannelli per 1 MW, contro gli 80 MW della Germania e i 135 MW del Giappone, Paesi molto meno soleggiati del nostro e che tuttavia ci surclassano in questo settore; secondo Legambiente, "basterebbe poco per portare l'Italia ad un ruolo d'avanguardia nello sviluppo delle tecnologie energetiche del futuro", ma il timore è che gli incentivi per il solare previsti dalla legge n. 387 del 2003, rischiano di essere irrisori e questo a fronte dei 1300 milioni di euro "gettati al vento con la farsa dei contributi CIP6"; i pochi fondi disponibili del meritorio programma nazionale "Tetti fotovoltaici" sono stati utilizzati essenzialmente e giustamente per edifici pubblici, scuole in particolare, mentre la regione Lazio sta per approvare una legge d'avanguardia che prevede un forte risparmio energetico nelle nuove abitazioni e l'installazione obbligatoria dei pannelli solari per la produzione di acqua calda; nel progetto della regione sono previsti contributi, ma è la leva fiscale a garantirne un prevedibile successo, mediante detrazione Irpef del 36 per cento ed IVA ridotta al 10 per cento; sono gli sviluppi scientifici dello sfruttamento dell'energia solare ad essere di enorme interesse, non solo perché sembrano garantire la continuità di resa energetica, ma anche la possibilità di utilizzo dell'energia così prodotta a scopi industriali; ci si riferisce sia al gruppo di lavoro istituito dall'Agenzia Internazionale per l'Energia (Iea), denominato Task 33, rispetto al quale plaudiamo l'adesione dell'Italia nel giugno di quest'anno, per promuovere l'impiego di impianti solari termici a bassa e media temperatura (sino a 250 gradi) nelle industrie alimentari, tessili e chimiche, sia in particolare al "progetto Archimede" elaborato dal premio Nobel per la fisica Carlo Rubbia in Sicilia, il nuovo solare termodinamico ad alta temperatura in cui l'energia catturata dagli specchi parabolici e immagazzinata da un fluido salino, consentirà di produrre dalla fonte solare anche di notte; secondo Rubbia questa miscela di sali permette di raggiungere temperature fino a 550 gradi, industrialmente utilizzabili, "una fonte pulita, perfettamente competitiva, abbondante e sicura. E per giunta è tecnologia italiana: una ricchezza che possiamo utilizzare direttamente ed esportare"; allo stato il progetto Rubbia prevede la produzione di 20 Mw, praticamente effettivi e non fittizi come gli eolici, utilizzando un'area di 200 mila metri quadrati. Con un quadrato di tre chilometri di lato, le dimensioni di un aeroporto, può ottenersi l'energia di una centrale nucleare, i presentatori di questo documento non sono riusciti ad astenersi dal pensare, accostando l'immagine del riarso ed immenso deserto africano a quella delle immani tragedie umane che si stanno consumando al di là del Mar Mediterraneo, quale imperdibile occasione di salvezza e di riscatto potrebbe rappresentare un simile progetto per i nostri fratelli africani, impegna il Governo ad individuare l'energia solare quale fonte energetica rinnovabile con maggiore prospettiva di sviluppo, sia nelle applicazioni civili che in quelle industriali, in grado potenzialmente di liberare il Paese dagli attuali elevati livelli di dipendenza energetica, di consentire il rispetto degli impegni di Kyoto, di avviare un volano di sviluppo quale industria nazionale d'avanguardia; ad emanare direttive agli enti pubblici di ricerca competenti, convogliando le opportune quote di finanziamenti pubblici, al fine di ampliare, anche mediante collaborazioni internazionali, la ricerca pubblica sull'energia solare e sulle sue applicazioni tecnologiche, nonché sulle problematiche concernenti l'inadeguatezza degli attuali sistemi di conservazione e trasmissione dell'energia elettrica; ad incentivare la ricerca privata e delle imprese in ambito di sviluppo tecnologico e di utilizzo industriale dell'energia elettrica prodotta da fonte solare, nella prospettiva ineludibile dell'indipendenza energetica del Paese; ad adottare le iniziative di propria competenza volte a prevedere una moratoria per l'installazione di impianti eolici nelle regioni in cui non sia stato redatto il Piano energetico regionale; in tale ambito, a valorizzare i Piani energetici provinciali quale elemento fondamentale per la corretta individuazione degli insediamenti, in quanto frutto della concertazione paritaria tra enti locali; ad approfondire gli effetti dell'installazione degli impianti eolici sulle comunità civili limitrofe e sulle attività economiche, in particolare sull'attività turistica, nonché edilizia-immobiliare; ad impedire, per quanto di propria competenza, l'insediamento di impianti eolici nelle zone di pregio paesaggistico-ambientale, comunque definite, prevedendo inoltre adeguate "zone-cuscinetto", nelle zone fortemente antropizzate, nelle zone costiere, nelle zone di passo dell'avifauna, nelle zone di insediamento dei rapaci e di altre specie animali particolarmente sensibili alle modificazioni dell'habitat; in particolare, per quel che riguarda l'avifauna, ad inserire il parere obbligatorio dell'Istituto nazionale della fauna selvatica nel procedimento autorizzatorio; ad emanare direttive alle regioni nelle quali si stabilisca che il procedimento autorizzatorio di centrali elettriche da fonti rinnovabili o di centrali tradizionali minori di loro spettanza, sia adeguatamente pubblicizzato e di assoluta trasparenza sin dalla sua proposizione e che preveda la puntuale valutazione dei costi e dei benefici, ivi compresi gli impatti e le limitazioni allo sviluppo economico dei comuni o delle popolazioni limitrofe; a ridurre progressivamente il peso delle fonti assimilate nel quadro delle energie incentivate, spostando le risorse, già dalla prossima legge finanziaria, verso forme di agevolazione fiscale simili a quelle previste per le ristrutturazioni edilizie, in favore del risparmio energetico e dell'utilizzo dell'energia solare, o eolica a basso impatto, in ambito civile; ad emanare, in fine, le linee guida per la tutela del paesaggio, permeandole di uno spirito che esalti il suo valore economico, in qualità di bene utile e scarso, ed introducendo elementi che consentano concretamente di valutare il danno paesaggistico-ambientale come risultante della somma dei danni materiali, ivi compreso il lucro cessante, e dei danni morali, per mancata fruizione, sofferti dalla comunità nazionale e dalle comunità locali. Giorgio La Malfa |