Ricordo di Spadolini

4 agosto 1994, una dolorosa scomparsa

di Francesco Nucara

Non si può concepire un ricordo dell'uomo politico Giovanni Spadolini separatamente dal ricordo della sua azione intellettuale e del suo innovativo pensiero personale, determinato con costanza e coerenza a ridare attualità all'ideale (da lui ritenuto e definito "un fiume carsico che riemerge in determinati momenti della Storia d'Italia") laico, liberaldemocratico e radicale del nostro Risorgimento.

Giovanni Spadolini non fu mai amato fino in fondo da alcuni repubblicani, che lo consideravano un "usurpatore". D'altra parte la stessa sorte era toccata a Ugo La Malfa all'inizio degli anni ‘50. I cosiddetti "repubblicani storici" hanno sempre considerato "estranei" quelli che avevano avuto radici diverse nella loro formazione politica.

Quando il PRI era ridotto all'1,2%, Ugo La Malfa, assunta la segreteria nel ‘65, pensò di partire dal Mezzogiorno per creare un terreno di forza elettorale al Partito Repubblicano Italiano. Dopo il successo del ‘68 Ugo La Malfa spostò il suo raggio d'azione nel Settentrione e nel ‘72 compì un duplice "miracolo": rafforzò ancor più il Pri e consacrò il ricambio della classe dirigente. E proprio nel ‘72 al direttore del Corriere della Sera Giovanni Spadolini fu rivolto l'invito di entrare nelle file del Pri.

Giovanni Spadolini fu eletto al Senato a Milano. Entrò al Governo dapprima come primo Ministro dei Beni Culturali della Repubblica (fino ad allora i Beni Culturali erano stati gestiti da una Direzione Generale del Ministero degli Interni). In seguito fu più volte ministro e primo Presidente laico del Consiglio dei Ministri. E' stato anche Presidente del Senato. Fu eletto Segretario del PRI, nel settembre del 1979, subito dopo la morte di Ugo La Malfa, e ne fu consacrato leader al Congresso di Roma del 1981.

Spadolini non solo portò avanti con grande dignità la sua carica di successore di Ugo La Malfa alla segreteria del Partito Repubblicano, ma raggiunse traguardi memorabili, rivitalizzando letteralmente il partito, quando lo portò al massimo storico nel 1983, anno in cui conseguì il 5,1% dei consensi.

A Ugo La Malfa Spadolini era accomunato soprattutto da un enorme senso dello Stato, e alla continuità con il suo atteggiamento di profondo rispetto delle istituzioni improntò la sua azione politica. Ricordo che durante la sua Presidenza del Consiglio, quando gli chiesi di venire in Calabria per una manifestazione elettorale, mi rispose: "Io sono il Presidente degli italiani, per le manifestazioni elettorali devi chiamare il presidente del Pri".

"Continuità" è forse una delle parole che più possono aiutare a definire la personalità di Giovanni Spadolini, una personalità mai improvvisata, bensì costruita nella costanza della sua attività universitaria, giornalistica e politica e di una tensione etica sempre accesa e coerente.

Spadolini portò avanti il suo pensiero su vari fronti, e ci appare ora inscindibile l'intreccio delle molteplici attività che fecero di lui un "unicum" nella storia della politica italiana. Storico, giornalista, uomo di cultura, politico: Spadolini era tutto questo e molto di più. Era un maestro della comunicazione e la sua lunga esperienza di giornalista, direttore de La Nazione, Il Resto del Carlino, il Corriere della Sera e La Voce Repubblicana, integrava la sua innata inclinazione verso un approccio "critico" e allo stesso tempo fondato con estremo rigore su basi storiche.

Oltre che giornalista, Spadolini era infatti uno storico di grande valore, e le sue considerazioni politiche muovevano da una profonda conoscenza dei meccanismi della Storia. Il suo orientamento era tutto rivolto a quella che egli chiamava "l'Italia della ragione", ovvero l'Italia delle minoranze, del dissenso, del dubbio e della protesta, contrapposta all'Italia delle compiute maggioranze, delle soluzioni facili e definitive, del compromesso e della rinuncia. La sua era l'Italia del dubbio laico, dei legittimi interrogativi, come quello ad esempio che esprimeva nel ‘78 in uno dei suoi scritti: "La sinistra marxista, o ex marxista, sarebbe giunta alle correzioni decisive di oggi senza l'elaborazione intellettuale della scuola democratica, in tutte le sue forme?"

La forza delle idee doveva essere per Spadolini la necessaria fonte di alimentazione della politica, affinché quest'ultima non risultasse un mero esercizio del potere. La sua figura è stata spesso accostata a quella di Sandro Pertini, che lo scelse come Presidente del Consiglio nel 1981 (e a Spadolini piaceva ricordare con orgoglio di essere il primo Presidente del Consiglio laico nella storia della Repubblica italiana), in virtù di una comune visione ampia e illuminata della politica, che prevedeva un tacito progetto di apertura alle istanze profonde della società civile, alle esigenze dei cittadini che dalla politica italiana erano rappresentati. A questo proposito risultano di straordinaria attualità le sue parole al Congresso del 1981, quando riprese un estratto dal documento programmatico del Pri lanciato per le elezioni del giugno ‘79: "I grandi partiti di massa, Dc e Pci, credevano orgogliosamente di rappresentare tutto il paese perché avevano inseguito e fatto proprie tutte le più contraddittorie richieste di categorie. Ora si accorgono che hanno preso quasi tutti i voti ma non hanno costruito una maniera di governare. Hanno occupato lo Stato, ma non l'hanno diretto (…) La scelta, la decisione significa sacrificare una parte degli interessi in campo, farsi ‘nemica' questa o quella parte della propria clientela, avere un'idea dell'interesse generale".

A Giovanni Spadolini va riconosciuto, e non certo in ultima istanza, il merito di aver fatto tornare in edicola La Voce Repubblicana, dopo qualche anno di chiusura e dopo la fase "embrionale" de L'Informatore repubblicano. Non solo Spadolini riuscì a ridare vita alla testata storica del Pri, ma trasformò la sua redazione in una sorta di "scuola" di giornalismo, in un laboratorio di idee che per molti è stato anche un trampolino di lancio. È in quel periodo che collaborano con La Voce due tra i più prestigiosi giornalisti di oggi, attualmente direttori delle due testate italiane più importanti, rispettivamente per l'opinione pubblica e per l'economia: Stefano Folli al Corriere della Sera e Guido Gentili al Sole 24 ore. E potremmo citare molti altri giornalisti - adesso pienamente affermati non solo nel mondo della carta stampata, ma anche in quello della televisione - che mossero i loro "primi passi" alla Voce, e che ricordano con orgoglio e affetto la loro "gavetta". Spadolini contribuì a rendere la Voce qualcosa di molto più complesso e articolato di un organo di partito, raggiungendo un livello di qualità giornalistica che sarà sempre un patrimonio per il nostro giornale, apportando la sua esperienza nel mondo giornalistico, ma anche perpetuando una concezione "artigianale" della gestione interna che, a suo parere, era uno dei punti di forza della Voce Repubblicana. "La nuova Voce Repubblicana dovrà essere e restare povera, come i giornali di Dario Papa, di Arcangelo Ghisleri o di Giovanni Conti", diceva nel 1981.

La salda coerenza tra la tradizione del pensiero repubblicano e la concretezza dell'agire politico era un punto fermo di Spadolini. Ancora una volta, il suo intervento al Congresso del 1981 risulta illuminante: "Quello che il paese si aspetta da noi è una linea di conformità, anche nella guida del partito, a quello che diciamo. E se noi raccomandiamo un senso superiore di solidarietà sociale e nazionale, come abbiamo sempre raccomandato - perché siamo il partito del solidarismo - in un periodo di corporativismi e di egoismi minaccianti le stesse basi della convivenza nazionale, ma come potremmo non attuare intanto una solidarietà operante in casa repubblicana?".

Nell'anniversario della sua triste e dolorosa scomparsa, ci piace ricordarlo come fece il suo amico Indro Montanelli "uno Spadolini istituzionale, monumentale e monumento vivente a se stesso, ma con quel piglio da ragazzo timido che lo ha sempre contraddistinto (e contribuito a rendere popolare)."

Roma, 4 agosto 2003