"Sostenne la solidarietà fra Europa e America" di Antonio Del Pennino Ripercorrendo, a nove anni dalla scomparsa, le tappe della battaglia politica di Giovanni Spadolini, si possono individuare alcune costanti che l'hanno caratterizzata e che mantengono validità ancor oggi, sia pure in un quadro radicalmente modificato. Innanzitutto, una concezione alta delle istituzioni. Egli vedeva le istituzioni come un momento di garanzia "generale", pur nell'asprezza della lotta politica, e rifiutò ogni logica che subordinasse alle esigenze dei partiti l'autorità e l'autonomia dell'"istituzione" governo. Si discute molto oggi su come garantire unicità d'indirizzo nell'azione dell'esecutivo e le possibilità di coordinamento del Presidente del Consiglio, ma, a ben guardare, le proposte tese al rafforzamento del ruolo del premier affondano le loro radici in un'intuizione spadoliniana. Quella che lo indusse a porre al centro del suo decalogo istituzionale il problema di definire nuove regole per i governi di coalizione. Ma Spadolini, uomo delle istituzioni, non indulse mai alla facile polemica antipartitocratica, né sottovalutò il ruolo dei partiti in un sistema democratico, ma pose piuttosto il problema di definirne con chiarezza i compiti. Se ne trova una eco precisa nel discorso al Senato sulle mozioni concernenti le riforme istituzionali dell'aprile 1983. In quell'occasione, egli affermò: "Occorrono garanzie che penetrino anche all'interno della vita dei partiti (…) accettando il finanziamento pubblico i partiti si sono vincolati a una logica di pubblicità attualmente assai tenue (…). E ci vogliono garanzie che tutelino l'autonomia dei gruppi parlamentari e dei singoli deputati contro gli ukase delle direzioni partitiche". Si tratta di un'indicazione che conserva grande attualità e che il collega Luigi Compagna ed io abbiamo cercato di raccogliere presentando al Senato un disegno di legge sui partiti, cui proprio la Fondazione Spadolini ha dedicato un recente convegno. Altro elemento che ha caratterizzato l'azione di Spadolini fu la preoccupazione per quelli che egli chiamava "gli equilibri democratici complessivi" e, all'interno di questi, per il problema dei rapporti tra laici e cattolici. Quello dei rapporti col mondo cattolico era stato un tema su cui si era già a lungo intrattenuto da storico e giornalista, e che aveva riassunto nella formula di "un Tevere più largo". Ed è un tema cui anche lo Spadolini politico dedicò particolare attenzione. Egli fu sempre contrario alla prospettiva che risorgessero gli storici steccati, ma proprio per questa ragione era convinto della necessità di una presenza incisiva e autorevole delle forze laiche, in grado di condizionare la Dc, evitando che all'interno della stessa prevalessero le propensioni a chiusure integraliste e aiutando, invece, l'emergere dell'anima cattolico - liberale. E in tale logica, l'uomo che da storico aveva studiato le origini e lo sviluppo del movimento cattolico, non fu mai un teorico della rottura dell'unità politica dei cattolici. Questo, in allora, apparve a molti laici un suo limite. Ma come non rivalutare quell'impostazione oggi, quando, finita l'unità politica dei cattolici e ricollocati gli ex Dc in rilevanti posizioni nei due schieramenti, si assiste, sia da parte del centrodestra sia da parte del centrosinistra, alla rincorsa per compiacere le gerarchie ecclesiastiche, abbandonando ogni difesa dei principi propri di uno stato laico? Ripercorrendo le battaglie politiche di Giovanni Spadolini, potrei trovare molti altri spunti attuali. Mi limiterò a una considerazione sulla politica estera: un argomento al centro del confronto politico odierno. Spadolini fu un rigoroso sostenitore della solidarietà euroatlantica, contro ogni tentativo di contrapporre un partito europeo a un partito americano. Basta rileggere il suo ultimo discorso parlamentare: "Non sapremmo concepire il mondo moderno senza la grande lezione di civiltà e di amore per l'Europa che ci ha dato la democrazia nordamericana (…) Il rischio è un altro. L'isolazionismo che sorge dal Pacifico e che potrebbe spingere gli americani a separarsi dall'Europa, che in questo momento appare incerta e disorientata come non mai (…) non meno del terzaforzismo europeo con qualche venatura di nazionalismo e di nazionalpopulismo, due virus mai completamente debellati e che potrebbero tendere a staccarci dal vincolo euroatlantico. La vera rivoluzione è stata quella atlantica, che ha assorbito insieme la rivoluzione francese e la rivoluzione americana, creando un nuovo diritto umano che è compito nostro perfezionare e adeguare a un mondo che cambia". Ecco un altro monito che ha tuttora grande valenza. |