Gerusalemme nel cuore/Parla Anav presidente della Comunità ebraica italiana in Israele La speranza della pace, la quotidianità della guerra di Riccardo Bruno Vito Anav è il presidente della comunità ebraica italiana
in Israele. Ha 48 anni, "romano de Roma", la stazza di uno che
da ragazzo è stato nelle unità combattenti di Tzahal. Mantiene
ancora la vitalità di un paracadutista in battaglia: accompagna
la delegazione del Pri dal primo momento che è sbarcata all'aeroporto
Ben Gurion di Tel Aviv e ci mette alla frusta per tutto il soggiorno.
Il suo eloquio è interminabile, conosce il territorio israeliano
come il palmo della sua mano e ogni tanto non trattiene un "ammazza"
ed un "ahò", retaggio di una infanzia romana che non
si è perduta del tutto. E così che è iniziata la tua attività all'interno della comunità? Sì, nel senso che il tempio della comunità italiana ebraica di Gerusalemme era quello che frequentavo anche perché era nel mio quartiere. (Vito ne è orgogliosissimo e te lo fa girare in ogni angolo per mostrartelo). E' del 500. Non era in queste condizioni ottimali trent'anni fa. Lo dobbiamo alla dedizione degli amici della comunità. Con olio di gomito e tanti sacrifici sono riusciti a rimetterlo a posto. Guarda che splendore! Mogano, broccati, intarsi. Una biblioteca che è una delle più preziose in tutto il mondo ebraico. ![]() Ma a parte vantarsi della propria bellezza, quali funzioni svolge la comunità? (Vito finge solo per un attimo di impermalosirsi) A parte quello di accompagnarvi per tutto il vostro percorso in lungo ed in largo e di mantenere i contatti con la comunità ebraica italiana e tutte le nostre delegazioni che arrivano in Israele, noi svolgiamo una funzione che bisogna considerare molto importante, e cioè quella di "pontiere". Cioè? Significa che la nostra comunità non accetta la divaricazione che si sta creando nell'ebraismo, fra laici e ortodossi. I due campi si radicalizzano e noi svolgiamo una mediazione. L'ebraismo italiano, con la sua lunga tradizione di ortodossia da un lato, ed apertura umanistica dall'altro, può svolgere e svolge la funzione di ponte tra gli Ebrei Laici e gli Ebrei ortodossi, accettandoli entrambi, e cercando di coinvolgere entrambi. Cerchiamo i punti comuni e non le differenze. Quindi c'è una preoccupazione alla base di questo vostro ruolo? Sì, perché capita che, se un ortodosso rispetta il digiuno del kippur, un laico si metta a cucinargli la carne sul terrazzo di fronte alla sua abitazione. E a sua volta può avvenire che la parti si invertano. Non ci possiamo permettere provocazioni nel nostro campo, non siamo nelle condizioni di alimentare divisioni. Israele è sempre minacciata e la sicurezza militare non è sufficiente. Occorre che il popolo sia unito. Siamo stati a Sderot, lì certo l'impressione è che il processo di pace sia piuttosto lontano. Hai visto come si vive a Sderot, no? Qualche anno fa i missili avevano una testata di un chilo e mezzo. E che volete che sia, ci dicevano. Oggi sono già di dieci chili. Il raggio dei qassam era di pochi chilometri, oggi supera i diciotto. A volte non ci si ricorda come Israele sia un paese piccolo, poco più della nostra Sicilia. Ci vuole poco per sentirsi presi in trappola. Ma secondo te è una sensazione dominante della popolazione? (Vito non mi risponde, guarda il suo grosso orologio militare e mi dice): Sbrigati, che dobbiamo andare al museo dell'Olocausto e siamo già in ritardo. Butta via quel panino, perdinci, stai sempre a mangiare! (Per la verità è il primo boccone di cibo dalle sei del mattino alle 15 e nemmeno l'ho finito tutto, ma non importa. Yad Vashem fa uno strano effetto. Arriviamo che siamo affiancati da un plotone dell'esercito. Entriamo e ne troviamo un altro. Cento metri ed eccone almeno altri due. Ci saranno almeno tre reggimenti). Sono dei ragazzini! Sì e fra tre mesi saranno in grado di essere impegnati in guerra e mostrarsi dei soldati eccellenti. Sono già tutti pratici della morte. Tre anni fa un amico di mio figlio di dodici anni è saltato su un bus. Ed io ero desolato anche per il mio ragazzo che aveva perso il suo compagno di giochi preferito. Quando siamo andati al funerale, mi ha detto semplicemente: non ti preoccupare, succede. Ecco, ora questi soldati hanno solo qualche anno più di mio figlio e pure la stessa esperienza. Combatteranno, se occorre, e si faranno onore perché sanno che o si muore combattendo o si viene ammazzati come cani, come ad Auschwitz, a Buchenwald. Guarda le scarpe. (Vito indica sotto una teca di vetro migliaia di scarpe annerite seppellite nel pavimento del museo, quello che resta delle vittime dei forni crematori). Meglio morire battendosi, no? Ma alla pace non ci credi? A chiunque piacerebbe credere alla pace, è ovvio. Ma quando apri il telegiornale e oramai hai fatto il callo ad Hamas, ai missili lanciati su Sderot, al conflitto libanese - che non è affatto finito, vedrete - e ti senti il presidente iraniano che dice che Israele deve essere cancellata dalle mappe, beh, senti, puoi credere alla pace finché ti pare, ma dammi retta, preparati lo stesso alla guerra. Le culture sono diverse, l'atteggiamento ed il rispetto per la vita umana è differente. La pace in Medioriente. si ottiene solo da una posizione di forza e di sicurezza da parte di Israele. |